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Nuovi contratti e vecchia schiavitù

8 settembre 2010 1 commento

Amore appena sbocciatoLa nuova famiglia, quella più vicina all’industria, quella meno eloquente e meno evidente agli occhi del povero tapino.
In pochi mesi Fiat e Confindustria hanno regalato all’Italia del lavoro, quello della fabbrica, quello della piccola azienda, quello dell’industria piccola italiana e al mondo del lavoro stesso il nuovo sistema contrattuale imposto, si fa per dire, dal noto Marchionne.
Per la verità la storia nasce da molto più lontano e dalla riforma Maroni (ex Biagi) la D. Lgs. 10 settembre 2003 n. 276, “Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30” legge che segno lo spartiacque tra il mondo occupazionale e quello imprenditoriale.
Quello al quale assistiamo adesso è solo che la conclusione di un percorso che ci ha portato ad una situazione di insostenibilità, in cui i presupposti occupazionali sono stati sostituiti dagli interessi personali degli imprenditori senza tener conto della moltitudine degli occupati stessi che hanno collaborato per anni allo sviluppo ed alla crescita aziendale italiana.

In un mondo in cui non esistono più confini (commerciali) e in cui qualsiasi attività imposta ha la precedenza sulla vita dell’uomo non possiamo meravigliarci se alcuni  avvoltoi, anzi quasi tutti, hanno sentito odor di carogna e si sono rivolti in altre nazioni ben disposte ad accettare l’onta di essere sfruttate. Non ultima la nuova azione della Mercegaglia disposta a sovvertire i contratti già in essere dal 2012. Siamo di fronte ad un nuovo periodo, un’epoca in cui il ritorno al feudalesimo, quello più oscuro e più dilaniato da lotte intestine, darà spazio alle brame ricattatorie della forza padronale; epoca in cui la voce del lavoratore sarà ascoltata come si ascolta il chiaccherio di un bar; epoca nella quale la vita di intere famiglie sarà ostaggio degli interessi e delle convenienze di alcuni; epoca in cui i diritti al lavoro ed al benessere sociale saranno sovvertiti, smontati e portati alla stregua di un paese del terzo mondo. Non possiamo lagnarci, ci siamo scelti i politici e abbiamo dato loro la delega affinché gestiscano e amministrino il nostro futuro.

Purtroppo in queste manovre ci sono anche chi le sostiene a piene mani, è il caso di Giannino Oscar che in suo articolo ostinatamente dimostra le ragioni di Marchionne e successivamente quelle di confindustria.

Afferma che “c’è un mondo post crisi” e definisce questo mondo quella parte in cui le manifatture vengono prodotte a costi ineguagliabili nella nostra Europa, ma anche in USA. Questo è il mondo e non è vero che è una fiaba della sx, perché la sx come la intende Giannino, in Italia non è mai esistita, anzi è sempre esistita quella parte della moneta che a volte cadeva da un lato ed altre dall’altro, ma il lanciatore non era altro che la solita banda di manigoldi manipolatori dei mercati. Nulla di nuovo sotto il sole, no?

La realtà che ci voglio far passare come innovazione e come rivoluzione sociale è null’altro che la speculazione sui nostri sacrifici, sulle nostre capacità di fare squadra e sulle esperienze che sono state acquisite in questi ultimi 50 anni. Ma d’altronde ai responsabili finanziari di una multinazionale non interessa nulla se Tizio o Caio sono dei bravi tornitori, a loro interessa l’utile finanziario di un’azienda e basta. Sappiamo quante aziende sane estere in Italia sono state chiuse anche a scapito di portafogli attivi, eppure le sinistre, così come le destre, non hanno battuto ciglio e migliaia di persone si sono ritrovate dall’oggi al domani a battere le porte alla ricerca di un tozzo di pane.

Questa è la vera rivoluzione:  cinesizzazione!!

Adesso invece c’è la rivoluzione sociale: basta diritti, basta tutto. Adesso la flessibilità del lavoro deve permettere all’azienda di operare come meglio crede. Giusto, ma lo stesso deve valere per i prodotti e per i suoi costi e se un’azienda licenzia perché il mercato non permette allora, di conseguenza, o i suoi costi dei prodotti scendono oppure l’azienda chiude.
Quando un operaio perde il lavoro perde tutto e non c’è cassa integrazione che tenga (che fra le altre cose è la porcata voluta proprio da quelli che hanno disfatto l’industria italiana). Non c’è confronto con il datore di lavoro che con la sua società s’è messo al riparo da problemi di insolvibilità. No lui non paga e chiude e intanto i suoi risparmi stanno al coperto, mentre operai e impiegati battono le scarpe sui marciapiedi.

Usiamo un metro? Che sia valido per tutti!

Vogliamo rivoluzione sociale a tutto tondo, benissimo!!!

Responsabilità sociale anche delle aziende (basta con le spa, i trust, le srl o varie accomandite) in cui i soci mettono tutto il loro avere nell’azienda , perché sono le aziende con l’aiuto delle maestranze che mantengono attivo uno stato, mentre quelle che invece fanno speculazione lavorano non solo contro il mantenimento del tessuto sociale di uno stato, ma anche contro le sue stesse maestranze. Allora la rivoluzione si può fare se i termini sono questi, perché in tutte le questioni, si sappia, il peso deve essere portato da tutti

Adesso con questo annuncio la Mercegaglia non fa altro che sottoscrivere a chiare lettere che è finita la pacchia, finita per tutti e si ritorna in fabbrica (in quelle poche che ancora lavorano) al proprio posto, in attesa che gli eventi facciano chiudere anche quella. L’Italia è un paese industriale ci viene raccontato e ci raccontavano, quando invece sappiamo che non solo non lo è mai stato e quel poco di industria che c’era è stata, anno dopo anno, completamente distrutta e smontata esportando in luoghi più convenienti l’intera produzione italiana.

Le maestranze ringraziano.