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Io vengo dalla Bosnia

12 febbraio 2022 Lascia un commento

I tempi, le forze in causa, le migliaia di miliardi in ballo, la “pandemia” e quelle a venire, le azioni delle banche centrali sulla vita delle nazioni e dei continenti, le attività, da tempo programmate sulle vicende del Donbass non lasciano ben sperare.

Dal blog di Andrea Cecchi.

Ho già condiviso questo pezzo privatamente con alcuni amici. Si tratta di una mia traduzione del 2017, tratta dalle memorie di un sopravvissuto alla guerra in Bosnia. Perché ho deciso di pubblicarlo oggi sulla newsletter? Perché il nuovo trend che ci aspetta e che è già iniziato prevede il verificarsi di sempre più gravi disordini pubblici con episodi anche di guerriglia urbana dilagante. La crisi economica, la disoccupazione e l’influsso sempre più massiccio di immigrazione di varie etnie, saranno la miccia che sarà usata per scatenare inevitabilmente conflitti, principalmente giocati sulle differenze dovute al profilo razziale. Il multiculturalismo è fallito. Le etnie si scontrano, non si integrano. Ma ogni scusa sarà buona per creare caos.

COSA FARE SE SCOPPIA IL CAOS

LE MEMORIE DI UN SOPRAVVISSUTO ALLA GUERRA IN BOSNIA

Trad. Andrea Cecchi 17/07/2017

Io vengo dalla Bosnia. Come sapete dal 1992 al 1995  c’è stato l’inferno. Sono riuscito a sopravvivere un anno in una cittadina di 6mila abitanti senza acqua, elettricità, carburante, assistenza medica, pubblica sicurezza, servizi di distribuzione, e ogni tipo di servizio pubblico tradizionale e controllo centralizzato.

La nostra città era stata isolata dall’esercito e per un anno intero la vita si è trasformata in un vero e proprio inferno. Non c’era nessun corpo di polizia, solo gruppi armati. Chi era armato proteggeva la propria famiglia e la propria casa. Quando tutto ebbe inizio, alcuni erano più preparati di altri, ma la maggior parte delle famiglie avevano cibo disponibile solo per pochi giorni. Alcuni avevano delle pistole. Pochi avevano AK47 o fucili da caccia. Dopo uno o due mesi iniziarono ad agire le gang, distruggendo tutto. Massacri, genocidio e pulizia etnica. Gli ospedali, per esempio, si trasformarono in mattatoi.  La polizia non c’era più e il personale dell’ospedale se n’era andato.

Io sono stato fortunato: la mia famiglia a quel tempo era abbastanza larga (15 persone in una casa grande, 6 pistole e 3 AK), e siamo sopravvissuti quasi tutti. Gli americani lanciavano viveri dagli aerei ogni 10 giorni per aiutare le città sottoposte a blocco militare.  Non era mai abbastanza.

Alcuni (molto pochi) avevano il giardino.

Ci vollero tre mesi prima che le persone iniziassero a morire di fame e di freddo.

Noi andavamo a prendere porte e finestre dalle case abbandonate. Strappando via i pavimenti in legno e i mobili pur di avere qualcosa da bruciare per riscaldarci.

Molti morirono di malattia, specialmente per colpa dell’acqua (due nella mia famiglia). Noi bevevamo soprattutto l’acqua piovana, mangiavamo piccioni e topi. Il denaro divenne presto inutile. Si tornò al baratto.  Per un barattolo di Tushonka (carne in scatola) potevi avere una donna (è triste dirlo ma era così). La maggior parte delle donne che si prostituivano erano madri disperate.

Armi, munizioni, candele, accendini, antibiotici, benzina, pile, batterie e cibo: combattevamo per queste cose come animali. In queste situazioni, cambia tutto.  Le persone diventano mostri. Era disgustoso. La forza stava nei numeri, per una persona da sola, l’essere ucciso o rapinato era solo questione di tempo, anche se era armata.

Oggi io e la mia famiglia siamo preparati bene. Sono ben armato e ho fatto esperienza. Non importa quello che può accadere – un terremoto, uno tsunami, una guerra, gli alieni, i terroristi, un collasso economico, disordine civile – La cosa importante è ricordarsi che qualcosa accadrà.

Ecco la mia esperienza. Regola numero uno, non separarsi dalla famiglia. Bisogna prepararsi insieme, anche scegliendosi  amici fidati.

  1. Come muoversi per la città in sicurezza. La città era divisa in comunità lungo le vie. La nostra via era formata da 15-20 case pattugliate costantemente da cinque uomini armati per proteggerci dalle gang e dai nemici. Tutti gli scambi avvenivano nelle strade. A circa cinque chilometri di distanza c’era un’intera strada adibita agli scambi, ma arrivarci era pericoloso a causa dei cecchini. Poteva accadere anche di essere derubati dai banditi. Io ci sono andato solo due volte quando avevo bisogno di medicine, soprattutto antibiotici.Nessuno usava più le automobili in città. Le strade erano bloccate dalle macerie e da altre automobili. La benzina era molto costosa. Se c’era la necessità di andare da qualche parte, bisognava farlo di notte. Mai spostarsi da soli o in gruppi troppo numerosi – sempre 2 o 3 uomini al massimo. Tutti armati, spostarsi rapidamente, nell’ombra, attraversando le strade accanto alle macerie e mai nelle zone aperte.  C’erano molte gang di 15-20 uomini. Alcune anche di 50 uomini, ma c’erano anche molte persone normali come tu ed io, padri o nonni che ammazzavano e rubavano. Non c’erano buoni o cattivi, ma una via di mezzo, sempre pronti al peggio.
  2. E la legna? La città era circondata da boschi, perché bruciavate porte e  mobili?  Non c’erano tanti boschi intorno alla città. Era una bella città, con ristoranti, cinema, scuole, persino un aeroporto. Ogni albero in città e nei parchi venne tagliato nei primi due mesi,  come combustibile per riscaldare e per cucinare. Bruciavamo tutto ciò che bruciasse. Mobili, arredamento, porte, finestre pavimenti. Legna che brucia velocemente. Non c’erano fattorie perché quelle fuori città erano controllate dal nemico. Eravamo circondati. Anche in città non sapevamo mai chi fosse il nemico.
  3. Quale tipo di conoscenza ti è tornata utile in quel periodo? Per avere ben chiara la situazione in quel momento bisogna capire che è stato come tornare all’età della pietra. Per esempio, avevo una bombola di gas da cucina, ma non lo usavo per riscaldamento, era troppo costoso! Ho attaccato alla valvola della bombola un adattatore da me congegnato e con quello ci ricaricavo gli accendini. Gli accendini erano preziosi. Se veniva qualcuno con un accendino vuoto, io glielo ricaricavo e in cambio mi dava una scatoletta di cibo o una candela. Io ero un paramedico. In quelle condizione, le mie conoscenze divennero la mia ricchezza. In quella situazione, l’abilità di riparare le cose vale più dell’oro. Le scorte e gli oggetti finivano, ma la le tue capacità riuscivano a procurarti da mangiare. Vorrei dire questo:  imparate a riaccomodare le cose, le scarpe o le persone. Il mio vicino ad esempio sapeva fare il kerosene per le lampade e non ha mai sofferto la fame.
  4. Se tu avessi 3 mesi per prepararti, adesso che faresti? Me ne andrei da questo paese! (scherzo). Adesso so che qualsiasi cosa può collassare all’improvviso. Ho una bella scorta di cibo, articoli per l’igiene, pile, ..almeno per 6 mesi di autonomia. Abito in una casa sicura ed ho una casa con il bunker a 5 chilometri da qui con altri 6 mesi di scorte pure lì. È in un piccolo villaggio. Anche le altre persone che ci abitano sono ben preparate. La guerra ci ha insegnato. Ho quattro armi da fuoco e 2000 munizioni per ognuna di esse. Ho il giardino e ho imparato a fare l’orto. Mi fido del mio istinto, Quando senti dire che va tutto bene io se che invece ci potrebbe essere un altro collasso ed io ho la forza di proteggere la mia famiglia, perché quando tutto collassa, devi essere pronto a fare cose brutte, per tenere in vita i tuoi figli e i tuoi familiari. Sopravvivere da soli è praticamente impossibile. Anche se sei armato e pronto, se sei solo morirai. L’ho visto accadere molte volte. È molto meglio quando si è in gruppi abbastanza larghi di familiari e amici, tutti preparati e con competenze e abilità in vari campi.
  5. Di cosa è necessario fare scorta? Dipende. Se hai in programma di vivere rubando, ti servono solo armi e munizioni. Tante, tantissime munizioni. Altrimenti cibo in scatola, articoli per l’igiene, pile, accumulatori e piccoli oggetti per gli scambi come coltelli, accendini, tabacco, acciarini, sapone. Anche l’alcol. Quello che si conserva bene. Il whisky economico è ottimo per barattare.  Molte persone morirono per mancanza di igiene. Quello che serve sono piccole cose semplici, ma in grande quantità. I sacchi dell’immondizia, ad esempio; ne occorrono tanti. Anche la carta igienica e piatti e posate di plastica non riutilizzabile. Lo so perché non ne avevamo e per me, una buona scorta di articoli igienici è più importante del cibo. Puoi sempre riuscire a sparare a un piccione o trovare qualche pianta commestibile, ma non puoi sparare al disinfettante. Disinfettante, varechina, sapone, guanti di gomma, maschere protettive e kit del pronto soccorso con cui curare le ferite e le bruciature. Puoi anche riuscire a trovare un dottore ma poi non riesci a pagarlo. È meglio saper usare gli antibiotici. Ce ne vogliono un sacco ed è sempre bene farne scorta. Bisogna scegliere armi semplici. Io porto con me una Glock.45, mi piace, ma è un’arma rara da queste parti e allora ho anche due pistole TT (il tipo più usato di pistola per cui anche le munizioni sono facili da reperire). Non mi piacciono i Kalashnikov, ma vale lo stesso ragionamento: ce l’hanno tutti e allora lo devi avere anche te. È utile avere piccoli oggetti che passino inosservati. Ad esempio: un generatore può essere utile, ma 1000 accendini Bic sono meglio. Un generatore fa rumore e attira l’attenzione, ma 1000 accendini sono piccoli, compatti e possono essere facilmente barattati. Noi raccoglievamo l’acqua piovana in 4 grossi barili e poi la facevamo bollire. C’era anche il fiume, ma l’acqua divenne sporca quasi subito.  Per questo è indispensabile avere contenitori per l’acqua, taniche, bidoni e secchi.
  6. Oro e argento erano importanti? Si. Personalmente ho scambiato tutto l’oro che avevamo per ottenere delle munizioni. A volte riuscivamo a mettere le mani su soldi come dollari o marchi tedeschi. Potevamo usarli per comprarci qualcosa ma erano rari e il corrispettivo era astronomico, ad esempio, una scatoletta di fagioli costava 30-40$. La valuta locale invece, perse subito tutto il valore. Tutto ciò che ci serviva lo ottenevamo attraverso il baratto.
  7. Il sale era caro? Si. Ma il caffè e le sigarette molto di più. Io avevo molto alcol, così barattavo senza problemi.  Il consumo di alcol crebbe vertiginosamente. Oltre 10 volte rispetto al tempo di pace. Forse oggi sarebbe più utile fare scorta di sigarette, accendini, pile. Prendono meno spazio, ma io a quei tempi non ero un survivalist. Non ci fu tempo per prepararsi.  Fino a pochi giorni prima che iniziasse lo sfacelo, i politici continuavano a ripeterci in TV che era tutto apposto e che non c’era motivo di preoccuparsi.  Quando c’è caduto il cielo sulla testa abbiamo portato via quello che siamo riusciti a prendere.
  8. Era difficile comprare le armi da fuoco? La polizia aveva confiscato molte armi prima della guerra, ma noi le avevamo nascoste. Adesso ho un’arma registrata legalmente. Secondo la legge ciò si definisce detenzione temporanea.  In caso di disordine pubblico, il governo confisca tutte le armi registrate, è bene ricordarselo. Ci sono persone che hanno armi detenute legalmente, ma anche altre armi possedute in modo anonimo in caso che quelle legali vengano confiscate. Chi ha dei beni facilmente scambiabili può riuscire ad ottenere un’arma anche in situazioni difficili, ma ricordate: il momento peggiore sono i primi giorni e lì non c’è tempo di cercare un’arma per proteggere la propria famiglia. È una pessima idea farsi trovare disarmati durante il caos e il panico.  Nel mio caso, c’era un uomo che aveva bisogno di una batteria per auto per alimentare la sua radio e gliene procurai una in cambio di due fucili da caccia. A volte ho scambiato munizioni per del cibo. Mai fare gli scambi a casa e mai per grossi volumi. Erano pochissimi quelli che sapevano cosa c’era a casa mia. La cosa importante è di immagazzinare più cose possibile in base allo spazio disponibile. Col tempo si capisce cosa ha più valore. Anzi, mi correggo, al primo posto della lista ci sono le armi e munizioni, e poi, forse al secondo posto, maschere e filtri antigas.
  9. E per la sicurezza? La nostra strategia di difesa era molto semplice. Ripeto, non eravamo preparati e abbiamo usato ciò che potevamo usare. Le finestre erano fracassate e i tetti danneggiati dopo i bombardamenti. Abbiamo sbarrato le finestre con sacchi di sabbia e con le pietre. Il cancello l’ho bloccato con macerie e immondizia e usavo una scala per scavalcare il muro di casa.  Quando tornavo a casa, qualcuno da dentro mi passava la scala. C’era un tizio nella nostra strada che si era completamente barricato in casa. Aveva fatto un buco nel muro nella casa abbandonata del vicino e lo usava per entrare in casa sua. Una sorta di passaggio segreto. Sembrerà strano, ma le case più protette furono le prime ad essere distrutte e saccheggiate. Nella zona dove abitavo io, c’erano delle belle ville con muri di cinta, cani, allarmi e sbarre alle finestre. Sono state le prime ad essere attaccate. Alcune hanno retto,  altre no. Dipendeva da quante mani e armi c’erano dentro a difenderle. Penso che la difesa sia molto importante, ma bisogna farlo in modo discreto. Se siete in una città e scoppia il caos, occorre un posto semplice che non dia nell’occhio con molte armi e munizioni. Quante munizioni? Il più possibile. Fate in modo che la vostra casa sia il meno attraente possibile. Adesso ho una porta blindata, ma quella serve soltanto a contenere la prima ondata di caos.  Se dovesse accadere di nuovo, adesso, passata la prima ondata, lascerei la città per unirmi ad un gruppo allargato di familiari e amici. Si sono verificate delle situazioni, durante la guerra, ..non c’è bisogno di entrare nei dettagli, ma noi avevamo sempre una superiorità di fuoco e un muro di mattoni davanti a casa. Inoltre, c’era sempre qualcuno che guardava per strada. La qualità di come ci si organizza è fondamentale contro gli attacchi delle gang armate. In città si sparava continuamente. Il nostro perimetro era difeso in modo primitivo – tutte le uscite barricate dalle quali si aprivano feritoie per sparare. All’interno c’erano sempre almeno cinque membri della famiglia ponti ad aprire in fuoco in ogni momento e uno di noi stava fuori a controllare, nascosto in un rifugio. Durante il giorno stavamo sempre dentro per evitare i colpi dei cecchini. I più deboli sono i primi a morire. Chi sopravvive, combatte. Durante il giorno le strade erano vuote per paura dei cecchini.  La difesa era orientata verso il combattimento a breve raggio. Molti morirono uscendo di casa alla ricerca di informazioni. Ecco, è importante ricordare che eravamo completamente isolati senza né radio né TV – solo cose per sentito dire e nient’altro. Non c’era un esercito organizzato, ognuno combatteva per se stesso Non c’era alternativa. Tutti erano armati e pronti a difendersi. Mai indossare accessori di qualità quando bisogna andare in città. Ti ammazzano per prenderteli.  Se il caos scoppiasse domani, mi vestirei in modo anonimo per mescolarmi con gli altri e manterrei un atteggiamento umile e piagnucoloso. Non mi metterei abbigliamento tattico da guerriglia per segnalare le mie intenzioni belligeranti, gridando frasi tipo “ siete spacciati”! . No, …me ne starei in disparte, ben armato e preparato, ..osservando e calcolando bene le mie possibilità e la mia strategia insieme ai miei amici e fratelli.  Super difesa e super mega armi non hanno senso. Se qualcuno vede che hai cose preziose e utili e decide di rubartele, lo farà. È soltanto questione di tempo e di quante mani e armi si uniscono nell’intento.
  10. Come facevate ad andare in bagno? Abbiamo usato delle pale e un pezzo di terra vicino alla casa. Pensate che sia una cosa sudicia? Si, lo era. Ci lavavamo con l’acqua piovana o nel fiume, ma nel fiume era diventato troppo pericoloso. Non avevamo carta igienica e se ne avessimo avuta l’avremmo comunque barattata.  Era sempre un grande schifo. Posso darti un consiglio? Per prima cosa ti servono armi e munizioni, poi tutto il resto. E dico TUTTO ! Dipende sempre da quanto spazio e quanti soldi hai. Se ti dimentichi di far scorta di qualcosa puoi sempre ottenerlo scambiandolo con qualcuno, ma se non hai armi e munizioni non puoi aver accesso alle zone di baratto. E non pensare che le famiglie numerose siano bocche extra da sfamare. Una famiglia numerosa vuol dire più armi e più forza. Partendo da qui ognuno si prepara come può.
  11. Come venivano trattati i malati e i feriti? La maggior parte delle ferite erano ferite da arma da fuoco. Senza uno specialista e senza equipaggiamento medicale, anche se un ferito riusciva a trovare un medico aveva circa il 30% di probabilità di sopravvivere. Non è come nei film. La gente moriva. Molti morivano per infezioni da ferite superficiali. È una morte orrenda. Io avevo antibiotici a largo spettro – solo per la mia famiglia, naturalmente. Abbastanza  spesso accadeva di morire per cause stupide. Una semplice diarrea ti ammazza in pochi giorni senza medicine adeguate e con poca acqua potabile a disposizione per reidratarsi. C’erano molti casi di malattie della pelle e di intossicazione alimentare. Molti usavano piante locali e alcol. Rimedi di breve durata ma totalmente inefficaci nel lungo periodo. L’igiene era molto importante così come avere abbastanza medicine, specialmente antibiotici.

Queste memorie sono state raccolte non perché  ci aspettiamo che possa succedere qualcosa di così estremo anche nel mondo occidentale, ma perché il racconto è comunque interessante da leggere.

ref: Andrea Cecchi

Francia, ipotesi o certezze?

10 gennaio 2015 3 commenti

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Ancora una volta la Francia diventa l’obbiettivo di queste fantomatiche cellule terroristiche islamiche. Che sia vero? Tutto il mondo occidentale raccoglie questa notizia con disprezzo per quello che è accaduto a Parigi, ma pochi, almeno sino ad ora, provano a vedere come la situazione potrebbe realmente essere.

Proviamo a fare una panoramica degli eventi.

Belgio: un criminale, cosiddetto islamista, compie una strage. Molte ombre e dubbi sulla paternità del criminale assalto, lo stesso Telegraph sostiene la tesi di una guerra interna alle forze dei servizi segreti sionisti. Ma anche Haaretz porta avanti la stessa ipotesi.

Francia 2012: un islamico, Mohammed Merah, un individuo in scooter, con
il casco, spara e uccide prima un parà francese a Toulouse, poi altri tre a Montauban (tutti
nordafricani, fra l’altro), infine quattro studenti e insegnanti di una scuola ebraica. Verrà identificato come una vecchia conoscenza della DCRI (Direction Centrale du Réinsegnement Interieur, la loro Digos). Su questo personaggio si riscontrano alcune cose strane: aveva una pistola (una colt 45) caratterizzata da una modifica fatta solo ed unicamente per le forze speciali francesi, inoltre indossava un giubbotto antiproiettile della polizia tagliato su misura del suo minuto corpo. Sul Il Foglio dell’epoca si leggeva che Merah aveva viaggiato in Medioriente sotto copertura della DGSE (Servizi segreti Francesi), mentre lo Shin Beth l’aveva arrestato anni prima in possesso di un coltello. Molti dubbi e domande se le pongono anche i francesi su questi caso rimasto irrisolto. Ma anche il noto musicista ebreo Gilad Atzom ipotizza che Merah fosse stato istruito dalle forze dei servizi israeliani per creare dei false-flag.

Ma perché dovrebbero essere così sciocchi da colpire degli ebrei? E perché oggi si colpiscono delle persone appartenenti ad un giornale satirico proprio nella terra dell’illuminismo, della libertà di pensiero, purché non antisemita? Chi si giova di questi misfatti?

Vien da pensare che il mondo islamico sia impazzito tutto d’un tratto, che abbia perso completamente il pragmatismo che lo caratterizza, ma soprattutto che si stia tirando la zappa sui piedi in maniera anche troppo evidente. Ha senso? No! I pazzi in ogni comunità esistono da tutte le parti, ma arrivare a compiere un atto di sabotaggio come quello odierno ripreso da tutte le tv internazionali è al limite del grottesco, salvo l’impunità degli esecutori che potrebbero avere coperture molto altolocate nei servizi deviati francesi e con la collaborazione sempre attenta e precisa del Mossad.

E perché mai dovrebbero coprire degli assassini? La Francia in questi ultimi mesi ha messo a punto un documento che rappresenta per la comunista sionista francese e americana una spina al fianco della rivoluzione illuministica: il riconoscimento dello stato della Palestina, e non solo, la Palestina il 1°aprile dovrebbe far parte della Corte Internazionale contro i crimini di guerra (ICC) anche se gli Usa hanno evidenziato che la Palestina non essendo stato riconosciuto non è qualificata ad entrare nella Corte Internazionale.  Quale miglior occasione per far capire all’opinione pubblica francese e soprattutto europea che il mondo islamico è il peggior nemico? Quello che si mostra agli occhi è che l’islamismo non accetta nessuna satira, nessuna voce che esca dai canoni teologici che vogliono farci credere. L’Isis ne è una rappresentazione canonica della radicata idea alimentata proficuamente dagli interessi americani e sionisti di Israele.

La cosa più evidente in questa buffonata è che tutti i cosiddetti attentatori sono stati freddati e contro ogni logica non si saprà mai chi sono, chi li ha mandati, cosa volevano fare, quali erano i loro progetti. Stesso sistema usato con Merah, freddato lucidamente prima che si potesse sapere qualcosa. Eppure le forze dell’ordine sanno che una flebile testimonianza vale più di mille cartucce, ma in Francia come in altri luoghi d’oltreoceano si preferisce zittire anziché verificare. C’è comunque una coreografia degna di Hollywood: 88.000 agenti di polizia e delle forze speciali a caccia di 3 deficienti, forse 4 con un costo sociale mostruosamente enorme. C’è qualcosa che non quadra, così almeno appare.

In Francia si accoppano alcuni giornalisti (12) più 4 ostaggi del supermercato Kosher, si mobilitano esercito (le forze speciali), le teste di cuoio (o di legno), migliaia di agenti, l’aeronautica, vigli del fuoco, in servizi segreti in abbinata a quelli americani della Nsa e inglesi del MI6/MI5 compresi i sempre presenti del Mossad e nel frattempo, nelle stesse ore in Nigeria  le squadre di un altro pazzo (Boko Haram) fanno strage di almeno 2000 persone massacrandole a colpi di macete e quant’altro la fantasia produca.

Eppure i nostri media sono tutti febbrilmente eccitati di riportare la notizia più cruenta di quanto accaduto a Parigi. Caspita: non c’è sangue, non si vedono morti, non c’è il parapiglia e il terrore nelle facce della gente come si poteva scorgere in quelli di Kiev o del Donbass, ma il giornalismo affannato cerca comunque di emulare la sensazione dell’11/9 americano come dire “Anche noi! Anche noi abbiamo avuto un attacco di Al-Qaeda”. Possiamo essere da meno dei nostri cari alleati? Certo che no! Eppure analizzando alcune immagini è possibile scoprire che ci sono molti dubbi: il sangue del poliziotto freddato NON si vede, l’auto dei due attentatori ha le calottine dei retrovisori bianche, quella ritrovata dello stesso colore ha invece le calottine nere;

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questi fantomatici fratelli che hanno eseguito un’operazione di guerra istruiti (così ci dicono) nello Yemen, sono così istruiti da dimenticare addirittura la carta d’identità nell’auto per farsi riconoscere. Ma so proprio scemi ‘sti due qua, vi pare? Addirittura uno perde una scarpa, ma il giornalismo becero ci indica la freddezza dell’uomo, la raccoglie e se ne va con calma in auto. Altra cosa le riprese video:come facevano i giornalisti a sapere che in quella pare della strada si sarebbe stato un evento del genere? Mistero e perché assieme a loro c’erano anche alcune persone con giubbotto antiproiettile? Come mai è stato ammazzato proprio colui (Bernard Maris) che aveva proposto la cancellazione del debito pubblico francese? E come mai un ufficiale di polizia si suicida prima di inviare il suo rapporto sulla sorveglianza di alcune vittime di Hebdo?

Le domande sono tante e per ora non c’è una risposta assoluta, ma quello che rimane dopo un avvenimento del genere, che probabilmente ha creato dei lutti, è il vuoto, l’assenza completa della sensazione di far parte di una società che ormai è completamente priva di valori, allo sbando senza nessun riferimento alla realtà. Questi fatti sono sicuramente reali, almeno dovrebbero esserlo, ma si poggiano su un castello di sabbia che prima o dopo crollerà rovinosamente su chi li ha architettati, purtroppo con loro molti di noi ci andranno dietro.

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Aggiornamento:

I fatti di Charlie Ebdo, che caso, sono stati secretati, ovvero top-secret, segreto di stato.

Ma non erano stati dei terroristi a compiere questi misfatti? Chissà Hollande cosa risponderebbe a qualche impavido giornalista che si arrischiasse di fargli una domanda sulle indagine di questa “strage”.

Taranto, what’s up?

26 novembre 2012 Lascia un commento

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Le primarie sono terminate, grazie al cielo e per qualche giorno non sentiremo più farneticazioni di sorta proferite dai vari piazzisti. Da destra a sinistra un coro di promesse di cambiamenti, di giuramenti, di discussioni noiosissime e scontate come sempre accade in Italia. Chi urla di più, a volte è ascoltato.

In questo frastuono pre-elettorale continua invece indefessamente l’attività dei giudici di Taranto sul problema dell’inquinamento del polo industriale della città. Sono stati arrestati i proprietari dell’Ilva assieme ad altre persone tra le quali Michele Conserva, ex assessore all’Ambiente della provincia di Taranto. I problemi dei sequestri e dismissioni ce li hanno urlati nelle orecchie per molti mesi: inquinamento, salute pubblica e ambiente.

Tutte cose sulle quali non si può scherzare e che pone la questione su due aspetti fondamentali: l’acciaio in Italia e la sua localizzazione.

Come per l’Alcoa in Sardegna anche nel caso dell’acciaio ci sono delle crepe informative che non rendono giustizia a ciò che accade. Nel caso dell’Alcoa i forni per la fusione vengono alimentati da corrente elettrica che viene erogata ad un prezzo molto più basso di quello che altre industrie pagano. La differenza di costo viene pagata dalla popolazione italiana. Si spiega quindi perché l’Alcoa, una multinazionale, sia più interessata a fare i suoi investimenti in altre zone dove il costo dell’energia non abbia ripercussioni sul prezzo finale del prodotto. Nel caso dell’Ilva le cose non sono diverse. Anche in questo caso i costi di produzione per gli alti forni sono per una altissima percentuale alimentati con energia elettrica, anche qui a costo convenuto, la cui differenza viene assorbita da pantalone.

La località che vede il polo di Taranto il principale produttore europeo di acciaio è alquanto bizzarra: 1100 km di distanza dal confine del Brennero, oppure la navigazione lungo il Mediterraneo-Atlantico-Canale della Manica-Mare del Nord per giungere nei porti industriali di Germania, Olanda e Inghilterra. I costi dei trasporti, nonostante siano calati paurosamente in questi ultimi 5 anni, hanno comunque un peso notevole per una materia prima essenziale per molte parti dell’economie. Non solleviamo il problema del trasporto su gomma che con gli aumenti del costo dei carburanti e la lunghezza solo per arrivare al confine italiano vedrebbe vanificare qualsiasi economia di scala. Insomma la scelta di Taranto come luogo per la produzione dell’acciaio, non solo è bizzarra, ma è frutto di una politica affaristica per lo sviluppo del mezzogiorno degli ultimi 40 anni che non sembra aver prodotto benessere sociale diffuso, ma sviluppato tutta una serie infinita di problematiche legate all’inquinamento e alla salute pubblica.

Qui si inserisce quindi la considerazione, che già altri sottolinearono, del perché proprio ora, in questo periodo preciso della nostra politica nazionale e internazionale (si faccia mente locale sugli sviluppi che stanno avvenendo nel Medioriente), alcuni giudici abbiamo mosso le loro carte al fine di far chiudere per sempre un’industria italiana, uno delle poche rimaste. La domanda che sorge spontanea e che non avrà mai nessuna risposta: questi giudici dove stavano prima? Perché hanno omesso per anni di indagare sui devastanti effetti cancerogeni e nocivi delle emissioni gassose dell’Ilva? Sono anch’essi colpevoli, alla pari dei proprietari dell’Ilva, di omissione d’atti d’ufficio?

E’ pacifico che non ci potrà essere nessuna risposta, la casta dei magistrati è intoccabile. Però a guardare bene i fatti le domande sorgono spontanee, mentre invece la gran cassa mediatica dei soliti giornalisti proni al potere costituito preservarono su considerazioni spesso al limite del pettegolezzo da lavandaie.

Eppure, nelle fessure mediatiche, alcune indicazioni sembrano prendere corpo in maniera specifica sulle operazioni che i nostri governi hanno compiuto in collegamento con quelli americani. Non sappiamo se queste operazioni sia state imposte o condivise, ma ‘sembra’ che la cessione del polo industriale dell’Ilva abbia nella realtà un interesse per la US Navy che vede nel porto di Taranto un’occasione eccezionale per installare un polo di smistamento di sottomarini nucleari, sfruttando l’area che sarà dismessa dell’Ilva come base operativa per la VI° flotta americana. Lo scopo è evidente: ascoltare, indagare, carpire tutte le informazioni e comunicazioni provenienti dall’est, ma al tempo stesso controllando quella parte del Mediterraneo che diventerà sempre più incandescente.

Esistono quindi due filosofie per affrontare questo problema: cessione della propria sovranità, conversione industriale del settore acciaio e reimpiego degli attuali 12.000 dipendenti dell’Ilva e risanamento ambientale. E’ pacifico che nessuno saprà esattamente quello che accadrà, ma sapendo di che pasta sono i nostri amministratori, spesso servili e facilmente soggiogabili, non è impossibile pensare che la soluzione che andrà presa sarà la cessione della propria sovranità cedendo alla Us Navy Forces l’intera area. Il cambio sarà probabilmente indolore per le nostre casse, a primo vista, ma la ricaduta sociale ed economica sarà devastante. Probabilmente gli stranieri si preoccuperanno di ‘risanare’ a modo loro l’area sulla quale non avremmo nessun controllo e della quale non sapremo, per esempio, che fine faranno le scorie degli alti forni e dove verranno gettate. I futuri amministratori diranno che con una fava abbiamo preso due piccioni: risanamento dell’area e reimpiego di parte delle maestranze all’interno del mega porto militare di Taranto.

Depistaggi Nato e False Flag

27 giugno 2012 Lascia un commento

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Qualche giorno fa è stato abbattuto un aereo ricognitore turco dai siriani, questa la notizia che ha la Turchia ha dato: “stava sorvolando una zona del territorio turco al confine con la Siria, ma che vi è stato uno sconfinamento logistico“. Il ministro del esteri turco corregge successivamente la versione affermando che il velivolo abbattuto si trovava in acqua internazionali, privo di armamento e con i sistema di riconoscimento attivo.

Alcune osservazioni sono necessarie. Un aereo ricognitore NON è un F-4 che invece è un cacciabombardiere e non ha nessuna caratteristica per essere un ricognitore, inoltre il suddetto aereo anche se vecchio, era aggiornato nell’avionica dagli israeliani. L’aereo abbattuto, secondo le dichiarazioni dei siriani, si trovava ad 1 km dalle coste siriane e volava a 100 metri d’altezza.

Due versioni contrastanti ed opposte, ma nessuno si è preso la briga di capire che ci faceva un aereo turco in quella zona e perché.

Si da il caso che già a marzo la coalizione Nato-Europea e di alcuni paesi arabi (Arabia Saudita, Qatar) svolse nei cieli turchi una esercitazione aeronautica denominata Anatolian Eagle 2012/1, mentre a giugno si è conclusa la fase Anatolian Eagle 2012/2 quella che ha visto impegnata anche la nostra Aeronautica Militare. Le operazioni, stando ad alcune dichiarazione ufficiale del Pentagono, hanno lo scopo di “Condurre tutta una serie di missioni aeree comprese l’interdizione (sottinteso di sorvolo, ossia la «no fly zone»), l’attacco, la superiorità aerea, la soppressione della difesa aerea, il ponte aereo, il rifornimento in volo, la ricognizione”. In sostanza si sta mettendo a punto un sistema simile alla no-fly-zone come attuato in a suo tempo in Libia. Ma la Siria non è la Libia, e la risposta non s’è fatta attendere.

Nei fatti il problema di fondo è che l’aeronautica turca ha violato per mesi lo spazio aereo siriano in missioni di ricognizione per conto della NATO, fornendo informazioni sulle posizioni e movimenti dell’esercito siriano ai mercenari ASL e agli stranieri che combattono in Siria per cercare di rovesciare il governo siriano. (1)

Anche in Russia le osservazioni sembrano puntare, più che ad un errore dei piloti turchi, ad una vera e propria provocazione della Nato per verificare il sistema di difesa siriano, ma la cosa più sorprendente che, ipoteticamente, potrebbe essere presa in considerazione, è che l’evento sia stato la risposta più marcata delle forze russe  che fino ad ora hanno sempre mantenuto un basso profilo in tutte le attività compiute dai mercenari, dalla Nato e dai signori dell’Arabia Saudita e del Qatar in questi ultimi anni. Tant’è che anche i sempre bene informati amicioni della Nato (Israele) notano con un  certo disappunto, la presenza di nuovi sistema di arma di difesa contraerea consegnati qualche mese fa alle forze siriane per difendere la base navale di Tarus. (2)

Si tratta di un sistema d’arma (Pantsir-1) contraereo capace di un volume di fuoco che ha pochi eguali nelle forze attuali. I siriani per contro non ancora perfettamente addestrati sicuramente hanno sicuramente lasciato agli istruttori russi il compito di abbattere il velivolo turco.(2)

Ci sono da fare alcune considerazioni su questo fatto. La Russia nonostante le diverse provocazioni, come detto, ha sempre reagito in maniera strategicamente passiva, optando per lo più nei rifornimenti dei suoi alleati, (caso diverso quello della Libia, in cui sarebbe da indagare le motivazioni del disinteresse russo in quel fronte che avrebbe comunque garantito la sicurezza della propria presenza nel Mediterraneo). Ora infatti, rimasto l’ultimo alleato in Mediterraneo, la Russia non può permettersi la perdita di una testa di ponte come la Siria, e con quest’espediente la Russia di Putin, osteggiata dai vari neocon e dalle varie rivoluzione colorate, ha posto un veto politicamente molto forte senza scomporre forze navali, squadroni o altre forze come invece fece e sta facendo Nato e Usa. Ha dato la dimostrazione che nella strategia non serve essere grandi, mastodontici e potenti, ma è sufficiente porre dei paletti evidenziando ancora una volta la prepotenza della Nato e soprattutto  la codardia europea.

Redenzione e mimetismo rapace

9 giugno 2012 2 commenti

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Quello che ci tocca leggere in questi giorni è particolarmente rivoltante e vergognoso, soprattutto se a dire certe cose è un rappresentante importante come il presidente della Repubblica Italiana.

In un’intervista Napolitano rievoca il suo passato macchiato di errori e dall’impulso della gioventù

"Il sentiero della mia vita è un processo passato attraverso prove ed errori. Sono partito dagli ideali che in gioventù ho sposato  -  più che per scelta ideologica  -  per impulso morale e sensibilità sociale".

Non possiamo che essere d’accordo nell’affermare che la sensibilità morale e sociale che svolsero i carri armati sovietici quando entrarono a Budapest nei confronti della popolazione magiara fu un atto umanitario e di lodevole democrazia, come adesso l’Italia ha compiuto nei confronti della popolazione libica e nell’omicidio di Gheddafi.

Ma il trasformismo del personaggio supera ogni aspetto quando afferma che

"Innanzitutto fu una tragedia, anche per il Pci, un errore grave e clamoroso del gruppo dirigente, a partire da Togliatti. Poi, anche prima che si ammettesse l’errore, si comprese la lezione: per cui, quando nel 1968 (Togliatti era già deceduto da 4 anni) ebbe luogo l’intervento armato dell’Urss e degli altri paesi del blocco sovietico in Cecoslovacchia, il Pci ufficialmente si schierò contro quell’intervento".

Un errore di Togliatti, lui afferma, una tragedia applaudita e sostenuta da tutti i dirigenti politici dell’epoca compreso lo stesso Napolitano che non afferma, però, il suo distacco da quegli eventi rimanendo nel generico e continuando ad ammettere "…in cui ero membro attivo di un Partito Comunista che non era un partito stalinista come molti altri in quanto aveva una fondamentale matrice antifascista e democratica e comprendeva forti componenti liberali…"

Peccato che l’intervistatore non abbia colto l’essenza del ragionamento e del suo trasformismo opportunistico, peccato anche che non abbia chiesto spiegazione sull’appellativo che Kissinger gli aveva coniato e che gli è rimasto:"my favourite communist".

‘Syria war will turn ME into blood lake’

23 dicembre 2011 Lascia un commento

Le continue manipolazioni della Nato e dell’occidente negli affari interni della Siria, secondo il capo del partito democratico turco Namik Kemal Zeybek, produrranno in medio-oriente un bagno di sangue.

Le ingerenze straniere, nella copertura delle fazioni anti-Assad, stanno attuando i piani di aiuti contro la Siria direttamente con attacchi terroristici dalla Turchia. Questi sforzi non possono avere altro scopo che quello di spingere la Turchia ad un intervento armato contro la Siria.

Tale guerra è però controproducente per gli interessi del popolo islamico, ma favorisce quelli delle potenze straniere che spingono in questo senso. Gli islamici potrebbero accettare una guerra solo a difesa del proprio territorio e solo se legittima.

I turchi quindi non possono scatenare una guerra per proteggere gli interessi di alcuni paesi che sarebbe origine di un disastro umano con la perdita di centinaia di migliaia di vite umane e del quale non si vedrebbe la fine.

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Gheddafi morto, si apre il vaso di Pandora.

21 ottobre 2011 2 commenti

Il cerchio si sta chiudendo, le ultime pedine sono state posizionate e le attività frenetiche dei servizi e dell’intellighenzia delle diverse potenze internazionali stanno rifinendo le ultime modalità per far cadere l’altro dittatore di Assad per poi passare al vero scenario che si aprirà nel mediterraneo.

In questo prospettiva allucinante – decisa e sostenta dai grandi economisti, strateghi e politici di fama internazionale – le forze messe in campo sono pronte a sferrare e a cercare il vero motivo per provocare e spingere la grande Repubblica Islamica dell’Iran nelle mani dei suoi carnefici: Usa ed Israele.

Nel frattempo, mentre le bestia infernale si lecca le fauci dal pasto infernale del sangue di Gheddafi, le nuove teste di ponte anglosassoni e francesi puntano ai capisaldi della ricchezza interna libica fomentando e innescando una battaglia tra poveri e prezzolati al soldo di un barile di petrolio o di qualche lingotto d’oro, poveri illusi.

Tutto l’occidente – quello che ha combattuto una guerra preventiva, una guerra per difendere la popolazione – esulta di fronte all’efferatezza del massacro, del vilipendio che ricorda quanto accadde all’epoca della seconda guerra mondiale con Mussolini. E’ il totem, il simulacro talmudico, l’offesa peggiore che un branco di pecorai zoticoni, incolti, guidati da un ladro, stupratore, saccheggiatore, pedofilo di Mosè compì a suo tempo di solito usa nei riguardi dei goym. E’ la punizione per il ribelle che ha osato imporre un’idea diversa di stato e nazione  che ha cercato di dare un volto nuovo alla Libia.

Ma per fortuna che non tutto il mondo editoriale è soccombente all’idea massacratrice che ormai pervade l’umanità giudaicizzata.

Da La Stampa di Massimo Gramellini

Non c’è mai nulla di glorioso nell’esecuzione di un tiranno. La vendetta resta una pulsione orribile anche quando si gonfia di ragioni. Ci vogliono Sofocle e Shakespeare, non gli scatti sfocati di un telefonino, per sublimarla in catarsi. Gli sputi, i calci e gli oltraggi a una vittima inerme – sia essa Gesù o Gheddafi – degradano chi li compie a un rango subumano.

Dal governo del baciamano ci si sarebbe aspettati qualche parola di pietà nei confronti del vecchio sodale tramutato in un cencio sporco di sangue. Invece è toccato leggere le parole del ministro degli Esteri Frattini, che appena tre anni fa chiamava Gheddafi «un grande alleato dell’Italia» e adesso definisce la sua barbara fine «una grande vittoria del popolo libico». Davvero «grande» anche lui, il signor ministro con delega alla coerenza e alla sensibilità. La Russa non poteva essergli da meno e infatti non lo è stato. Ha detto: «Dobbiamo gioire». Per la nuova Libia, immagino. Ma con che razza di cuore si può abbinare un verbo di festa alle immagini di un corpo trascinato sull’asfalto? Ho vanamente cercato parole simili nelle dichiarazioni dei ministri francesi, tedeschi, americani. Forse i nostri sono solo più ruspanti: parlano prima di pensare, o anche senza pensare, né prima né dopo. Al confronto giganteggia persino il filosofo di Palazzo Chigi ed ex amicone del rais. Il suo «Sic transit gloria mundi» sulla volubilità della condizione umana (Gloria Mundi non è il nome di una ragazza) sembra voler dar voce, se non a un presentimento, a un tormento interiore.

U.N. MEMBER STATES MUST DEMAND INVESTIGATIONS AND ACTION AGAINST NATO WAR CRIMES

15 ottobre 2011 2 commenti

U.N. MEMBER STATES MUST DEMAND INVESTIGATIONS AND ACTION AGAINST NATO WAR CRIMES.

If the US used the Nuremberg principles to charge Germany for “starting an unprovoked war” shouldn’t the US be charged on similar grounds?

With only 28 nations making up the NATO alliance, the UN has 53 African member nations and 48 Middle-East and Asian nations and 12 nations in South America. It is opportune for these non-NATO members to make a voice within the UN and demand that NATO be investigated for all of its war crimes and be charged for every war crime committed.

Crimine contro l’Umanità: assetare il popolo libico.

28 luglio 2011 5 commenti

Siccome questa infame guerra contro la Libia sta languendo, le bombe a grappolo (cluster bombs) sono in esaurimento, i politicanti delle varie nazioni della coalizione belligerante hanno le pezze al culo, i finanziatori di questa infame guerra sono degli avvoltoi che si spostano da una carogna all’altra e Gheddafi non è ancora una carogna, allora, per mostrare al mondo la loro potenza distruttrice mostrano finalmente la vera faccia che nostro malgrado difficilmente potremo leggere sui media allineati.

Si legge infatti che la Nato con grande ed impetuosa forza, venerdì 22.07.2011, ha bombardato alcuni obbiettivi del vitale acquedotto libico: il Great Man Made River. Negli articoli Gheddafi: un sanguinario da Premio Nobel e in La vera ricchezza della Libia davo una breve e non esaustiva spiegazione del lavoro fatto da Gheddafi nella costruzione di questo faraonico progetto – non ancora completamente terminato – che portava a tutte le popolazione della Libia l’essenziale e vitale materia prima per tutte le attività dell’uomo: l’acqua. Leggi tutto…

La Nato accusata di crimini di guerra in Libia

9 Maggio 2011 1 commento

Un avvocato francese Philippe Missamou ha denunciato la Nato per crimini di guerra compiuti in Libia inclusi l’omicidio dei nipoti e del figlio di Gheddafi.

L’attacco contro la residenza del leader libico è contro le regole d’ingaggio (ROE) non essendo quell’abitazione un obbiettivo militare. E’ un omicidio che non può rimanere impunito, così afferma l’avvocato francese, il quale continua affermando che verranno usati tutti gli strumenti legali per risarcire la famiglia Geddafi di quanto è stato fatto.

L’avvocato prosegue dicendo che quanto accade in Libia non ha nulla in comune con quello che è successo il Egitto o Tunisia. Il mondo intero è testimone di un’insurrezione armata da parte di un piccolo grupo nella zona della Cirenaica e il Governo di Tripoli ha tutto il diritto di rispondere con i mezzi di cui dispone.

E’ un problema interno nel quale nessun paese straniero ha il diritto di intervenire e molte organizzazioni inclusa la  Federation of African Workers in France (FETAF), and the Association of Guineans (AGRE) hanno espresso il loro sdegno a seguito dei bombadamenti condotti dalle forze della Nato. (1)

fonte: (1) afriquejet

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