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Taranto, what’s up?
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Le primarie sono terminate, grazie al cielo e per qualche giorno non sentiremo più farneticazioni di sorta proferite dai vari piazzisti. Da destra a sinistra un coro di promesse di cambiamenti, di giuramenti, di discussioni noiosissime e scontate come sempre accade in Italia. Chi urla di più, a volte è ascoltato.
In questo frastuono pre-elettorale continua invece indefessamente l’attività dei giudici di Taranto sul problema dell’inquinamento del polo industriale della città. Sono stati arrestati i proprietari dell’Ilva assieme ad altre persone tra le quali Michele Conserva, ex assessore all’Ambiente della provincia di Taranto. I problemi dei sequestri e dismissioni ce li hanno urlati nelle orecchie per molti mesi: inquinamento, salute pubblica e ambiente.
Tutte cose sulle quali non si può scherzare e che pone la questione su due aspetti fondamentali: l’acciaio in Italia e la sua localizzazione.
Come per l’Alcoa in Sardegna anche nel caso dell’acciaio ci sono delle crepe informative che non rendono giustizia a ciò che accade. Nel caso dell’Alcoa i forni per la fusione vengono alimentati da corrente elettrica che viene erogata ad un prezzo molto più basso di quello che altre industrie pagano. La differenza di costo viene pagata dalla popolazione italiana. Si spiega quindi perché l’Alcoa, una multinazionale, sia più interessata a fare i suoi investimenti in altre zone dove il costo dell’energia non abbia ripercussioni sul prezzo finale del prodotto. Nel caso dell’Ilva le cose non sono diverse. Anche in questo caso i costi di produzione per gli alti forni sono per una altissima percentuale alimentati con energia elettrica, anche qui a costo convenuto, la cui differenza viene assorbita da pantalone.
La località che vede il polo di Taranto il principale produttore europeo di acciaio è alquanto bizzarra: 1100 km di distanza dal confine del Brennero, oppure la navigazione lungo il Mediterraneo-Atlantico-Canale della Manica-Mare del Nord per giungere nei porti industriali di Germania, Olanda e Inghilterra. I costi dei trasporti, nonostante siano calati paurosamente in questi ultimi 5 anni, hanno comunque un peso notevole per una materia prima essenziale per molte parti dell’economie. Non solleviamo il problema del trasporto su gomma che con gli aumenti del costo dei carburanti e la lunghezza solo per arrivare al confine italiano vedrebbe vanificare qualsiasi economia di scala. Insomma la scelta di Taranto come luogo per la produzione dell’acciaio, non solo è bizzarra, ma è frutto di una politica affaristica per lo sviluppo del mezzogiorno degli ultimi 40 anni che non sembra aver prodotto benessere sociale diffuso, ma sviluppato tutta una serie infinita di problematiche legate all’inquinamento e alla salute pubblica.
Qui si inserisce quindi la considerazione, che già altri sottolinearono, del perché proprio ora, in questo periodo preciso della nostra politica nazionale e internazionale (si faccia mente locale sugli sviluppi che stanno avvenendo nel Medioriente), alcuni giudici abbiamo mosso le loro carte al fine di far chiudere per sempre un’industria italiana, uno delle poche rimaste. La domanda che sorge spontanea e che non avrà mai nessuna risposta: questi giudici dove stavano prima? Perché hanno omesso per anni di indagare sui devastanti effetti cancerogeni e nocivi delle emissioni gassose dell’Ilva? Sono anch’essi colpevoli, alla pari dei proprietari dell’Ilva, di omissione d’atti d’ufficio?
E’ pacifico che non ci potrà essere nessuna risposta, la casta dei magistrati è intoccabile. Però a guardare bene i fatti le domande sorgono spontanee, mentre invece la gran cassa mediatica dei soliti giornalisti proni al potere costituito preservarono su considerazioni spesso al limite del pettegolezzo da lavandaie.
Eppure, nelle fessure mediatiche, alcune indicazioni sembrano prendere corpo in maniera specifica sulle operazioni che i nostri governi hanno compiuto in collegamento con quelli americani. Non sappiamo se queste operazioni sia state imposte o condivise, ma ‘sembra’ che la cessione del polo industriale dell’Ilva abbia nella realtà un interesse per la US Navy che vede nel porto di Taranto un’occasione eccezionale per installare un polo di smistamento di sottomarini nucleari, sfruttando l’area che sarà dismessa dell’Ilva come base operativa per la VI° flotta americana. Lo scopo è evidente: ascoltare, indagare, carpire tutte le informazioni e comunicazioni provenienti dall’est, ma al tempo stesso controllando quella parte del Mediterraneo che diventerà sempre più incandescente.
Esistono quindi due filosofie per affrontare questo problema: cessione della propria sovranità, conversione industriale del settore acciaio e reimpiego degli attuali 12.000 dipendenti dell’Ilva e risanamento ambientale. E’ pacifico che nessuno saprà esattamente quello che accadrà, ma sapendo di che pasta sono i nostri amministratori, spesso servili e facilmente soggiogabili, non è impossibile pensare che la soluzione che andrà presa sarà la cessione della propria sovranità cedendo alla Us Navy Forces l’intera area. Il cambio sarà probabilmente indolore per le nostre casse, a primo vista, ma la ricaduta sociale ed economica sarà devastante. Probabilmente gli stranieri si preoccuperanno di ‘risanare’ a modo loro l’area sulla quale non avremmo nessun controllo e della quale non sapremo, per esempio, che fine faranno le scorie degli alti forni e dove verranno gettate. I futuri amministratori diranno che con una fava abbiamo preso due piccioni: risanamento dell’area e reimpiego di parte delle maestranze all’interno del mega porto militare di Taranto.
Ma a cosa sono serviti questi referendum?
Ebbene dopo anni in cui il qorum andava alle ortiche, questa volta è stato azzeccato.
I sì hanno vinto e senza entrare nelle varie percentuali, molti le hanno riportate, potremmo fare qualche piccola considerazione.
E’ stato un voto politico oppure è una formula plebiscitaria contro il nucleare, la privatizzazione dei servizi delle risorse idriche, o sopratutto contro Berlusconi? Io credo che, come sempre accade in Italia, la vera spinta sia stata data dalle forze politiche per combattere l’egemonia berlusconiana, mentre i quesiti referendari sono stati il mezzo per ottenere il consenso popolare, che non è stato molto alto si vanno a vedere le affluenze alle urne.
Quindi l’impressione è che si sia usato questo sistema per mettere ancora una volta il governo in difficoltà, sì, perché a guardare bene questi referendum non sono serviti a nulla se non a portare altra confusione e a distogliere le realtà vere che imperversano in questa fetida nazione.
Prendiamo l’esempio dell’acqua. L’Italia ha recepito alcune direttive europee (92/50/CEE e 93/38/CEE) sulla privatizzazione dei servizi pubblici, nelle quali però di acqua non si parla. Strano? No vero!
Il fatto strano è che a voler far entrare anche i servizi idrici nelle privatizzazioni siano stati alcuni personaggi, perché secondo le direttive a cui si fa riferimento l’acqua non viene nemmeno menzionata.
Nei fatti l’Unione Europea non si è mai sognata di chiedere a nessun Paese membro di privatizzare l’acqua e i servizi idrici. Almeno non attraverso il proprio Parlamento e i propri atti ufficiali. Al contrario: la cosiddetta “direttiva Bolkestein” tiene fuori dalla libera circolazione dei servizi proprio il servizio idrico e affida ai singoli Stati membri il compito di stabilire quali siano i servizi “a interesse economico” e quali quelli “intrinsecamente non a scopo di lucro”. (1)
In Italia, quindi, si sta portando avanti, contrariamente alle direttive europee, politiche e “maneggiamenti” totalmente opposti favorendo quindi, ancora una volta, gli interessi dei privati che andranno a lucrare sulle necessità primari di uno stato.
Nonostante il Parlamento europeo avesse definito l’acqua un diritto dell’umanità e non un semplice bene economico, i commissari europei ignorarono completamente la risoluzione del Parlamento europeo e tornarono a definire l’acqua un bene economico. E’ buona norma sapere che i commissari della Commissione Europea NON vengono eletti, ma proposti dagli stati membri dell’Europa. Nei fatti è da notare che:
« [..] i membri della Commissione sono scelti in base alla loro competenza generale e devono offrire ogni garanzia d’indipendenza » (Trattato Comunità Europea, art. 157 par.1)
« [..] i membri della Commissione devono esercitare le loro funzioni in piena indipendenza nell’interesse generale della Comunità. Non sollecitano né accettano istruzioni da alcun Governo, né da alcun organismo. »(Trattato Comunità Europea, art. 157 par.2)
Non solo. Quando i parlamentari di Strasburgo chiesero conto della loro condotta, i commissari risposero di aver agito su mandato del Consiglio dei ministri della Ue , che in maggioranza erano favorevoli alla liberalizzazione dell’acqua. E così – questa è una di quelle “magie” europee a cui bisognerebbe rimediare prima che sia troppo tardi – un organo eletto dai popoli degli Stati membri, il Parlamento, è stato surclassato e messo alla berlina da un manipolo di signori nominati dai singoli governi.(1)
L’Italia però ha qualcosa in più. L’Italia ha le facce di bronzo. Del governo e della cosiddetta opposizione. Capaci di votare tutti insieme appassionatamente – come hanno fatto Pd, Pdl, Udc e Lega Nord – a favore dell’emendamento presentato dalla coppia Filippo Bubbico- Giovanni Procacci (senatori del Pd). L’emendamento dice che l’acqua, come risorsa, resta pubblica, ma la gestione dev’essere privata. Esattamente ciò che voleva il governo. Tanto è vero che il senatore Gasparri e il ministro Ronchi hanno elogiato e applaudito il duo Bubbico-Procacci, che si è poi vantato di aver scongiurato con il proprio emendamento la privatizzazione dell’acqua.(1)
Ora con i risultati referendari cosa accadrà? Nulla, anzi, accadrà che tutto quanto servirà nei servizi idrici verrà demandato alle risorse private sia con gare d’appalto che tramite altri servizi non propriamente limpidi, come accaduto ad esempio a Latina. Il referendum ha quindi convalidato uno status quo che già esisteva e sul quale per ora nessuno dice effettivamente quali saranno le conseguenze referendarie. Strana la cosa vi pare? Però, a tutta pagina e con titoloni cubitali, i giornali riportano notizie di carattere politico e non informano sulle conseguenze dei referendum.
C’è poi un’altra considerazione abbastanza buffa. Non vogliamo che l’acqua sia privatizzata, è vero! Però in milioni andiamo ad acquistare l’acqua privata pagandola una follia, perché in cuor nostro consideriamo l’acqua pubblica, quella del rubinetto, non così affidabile come le acque delle aziende private. Siamo quindi così deficenti, beceri ed infami da voler a tutti i costi l’acqua pubblica, ma allo stesso tempo siamo, nella vita quotidiana, così infami da dimostrare con i fatti che preferiamo l’acqua dei privati che ci fanno spendere una follia per ogni litro di acqua – mediamente 0,4 euro/litro = 400 euro/m3 – mentre l’acqua pubblica costa mediamente 0,50 euro/m3!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Chiediamoci: siamo dei coglioni oppure abbiamo delle convenienze economiche con chi ci deruba delle nostre necessità essenziali?
Referendum Nucleare: in Egitto esplosione taciuta
Mentre le notizie su Fukushima si stanno diradando a favore del referendum sul nucleare, ecco che ne salta fuori un’altra taciuta dai media lecchini e servi dei grandi gruppi.
Succede che in Egitto ad Anshas ci sia stata un’esplosione nella centrale Nucleare.
L’esplosione avrebbe rotto alcune condutture dell’acqua di raffredamento delle barre del combustibile disperdendo l’acqua radioattiva (alcune migliaia di litri) nell’atmosfera circostante. Ma si sa gli arabi sono una sottospecie, quindi che ci frega?
L’incidente è avvenuto a 60 km dal Cairo ed è stato classificato il grado di pericolosità al livello 3.
Nessuno ne parla, ovviamente, e in corsa per il referendum sarebbe una pubblicità negativa, però quelli lì, quelli che andiamo a sfruttare durante le nostre vacanze, quelli si stanno sorbendo una bella nuvoletta radiottiva, alla faccia delle vacanze e dei vari night club, dischoteche e altre porcate da turista colonialista.
Ecco, beccateve questa bella notiziola, e godete del male altrui.
fonte: adnkronos.com
Libertà! Un grido disperato da Israele
Il richiamo della patria, della Sacra Patria, della terra tanto agognata, della terra promessa da Dio è irrinunciabile per tutti quelli che dalla diaspora si sono sparsi nel mondo. Il ritorno, il poter mettere nuovamente le radice in quella terra è per molte persone di fede ebraica la conclusione di un ciclo di vita.
Così non è però per altri, per quelli che in quella terra “promessa” e rubata ai suoi proprietari hanno dovuto scontrarsi con le regole di una società permissiva, “democratica” e fedele ai concetti più stretti di razza.
La discriminazione esercitata in quel paese è cosa nota a tutti, nonostante pochissimi media siano capaci di evidenziare i fatti come stanno e non edulcorati attraverso il filtro della collusione e della connivenza.
In quel paese, palesemente “democratico”, una persona ha deciso di chiedere la revoca della sua cittadinanza per i maltrattamenti subiti, per l’incarcerazione durata 18anni e per le vessazioni continuate dopo la sua liberazione. Quest’uomo è Mordecahi Vanunu, ricercatore nucleare che anni fa, in una conferenza stampa, indicava pubblicamente che Israele stava acquisendo materiali nucleari per costruire il suo arsenale atomico (300 testate atomiche che Israele ha sempre negato di avere). Per queste rilevazioni fu rapito a Roma dai servizi segreti del suo paese e suppongo anche con la compiacenza dei nostri, portato in Israele e lì condannato senza appello a 18 anni nel carcere Askelon, molti dei quali trascorsi in isolamento.
La fortuna di una nuova legislazione israeliana, approvata il 22 aprile di quest’anno, permetterà, ce lo auguriamo tutti, a Mordechai di poter ritornare ad essere un umo libero come è diritto di ogni essere umano.
Israele prepara di attaccare l’Iran.
Qualche giorno fa postavo sui vari motivi dell’attacco unilaterale alla Libia delle forze europee e degli Usa. I motivi, per quello che potrebbero a prima vista sembrare, sono abbastanza ovvi a tutti anche perché decantati dalla stampa occidentale più o meno allineata: petrolio, ricchezza in oro della Banca Nazionale Libica, l’esclusione del dollaro come moneta di riferimento sui pagamenti del petrolio.
Ora, alla luce di alcune notizie, e forse perché volutamente sfuggito dalla gran cassa mediatica, il vero obbiettivo di tutto questo sembra essere un’altra cosa: la vera roccaforte dell’Islamismo, l’ultimo baluardo delle tradizioni islamiche (non allineate agli Usa e Gran Bretagna): l’Iran.
Ma cosa sarebbe successo di così grave da concepire una cosa del genere?
Nella realtà sappiamo tutti che da anni Israele cerca l’appoggio americano per radere al suolo l’Iran; sappiamo che la politica americana ed israeliana è imperniata sul pericolo che le centrali atomiche in Iran siano usate per la fabbricazione delle bombe atomiche, dimenticando che Israele ha almeno 200 testate atomiche e che un tecnico israeliano Mordechai Vanunu è rimasto in galera per anni per aver rivelato al mondo la presenza di queste testate; sappiamo che molte volte le varie amministrazioni americane hanno sostenuto a piene mani la politica israeliana attraverso sanzioni e blocco dei rapporti commerciali con l’Iran; sappiamo che gli Usa hanno un’economia ormai ridotta al lumicino e nonostante le sparate dei loro economisti la realtà cruda è che il 90% degli stati americani è in banca rotta; sappiamo anche degli sforzi che sta facendo Obama per dare il contentino ai democratici ed ai repubblicani per mantenere la sella del potere; sappiamo pure che le condizioni mondiali della rinascita economica è fallita prima ancora di iniziare (la Cina, il maggior produttore mondiale ha già alzato i suoi tassi di interesse prima di tutti gli altri!!). Queste le premesse.
Nel contempo avvengono cose che potrebbero essere digerite senza opposizione circa le rivolte, più o meno colorate, che si sono svolte nei paesi arabi: Yemen, Sudan, Bahrein, Egitto, Tunisia, Algeria, Siria, Marocco, senza dimenticare l’Iraq, l’Afghanistan ed il Pakistan in perenne stato di agitazione. Dall’altra parte del mondo l’Indonesia (stato al 90% di fede islamica) è sotto la minaccia di terremoti, maremoti e rivoluzioni spesso sedate con violenza e nel sangue.
Il mondo islamico è tutto in subbuglio e questo nell’arco di pochissimo tempo, ma il vero fulcro sul quale le forze sembrano concentrarsi è e rimane l’Iran.
Le motivazioni potrebbero essere molteplici sia che si cerchi una spiegazione economica, militare e/o geo-strategica e forse tutte hanno dei punti in comune che nel nuovo ordine mondiale che si va delineando l’islam non accetta che vi sia usura sul denaro prestato, così come lo non voleva anche il cattolicesimo nelle sue forme più pure in passato, e a tutt’oggi è quella religione che applica questa regola. Questo potrebbe essere un validissimo motivo per i giganti della finanza [Inter-Alpha Group, FMI, Banca Mondiale, BIS o dei vari grandi gruppi bancari come Citigroup Inc (Usa) – Icbc (Cina) – Bank of America (Usa) – Hsbc Holdings (Uk) – JP Morgan Chase (Usa)181 – Unicredit Group (Ita) – Ubs (Ch) – Royal Bank of Scotland (Uk) – Wells Fargo (Usa) – Mitsubishi Ufj Financial (Jap) – Bnp Paribas (Fr) – Banco Santander (Sp) – Wachovia (Usa)] e della gestione del denaro mondiale: chi controlla i flussi di denaro controlla i popoli.
Inoltre la situazione attuale delle economie “occidentali” globalizzate sono allo sbando. LEAP/E2020 in Geab 54 prevede per l’autunno di quest’anno una crisi sistemica profonda e dolorosissima che al confronto quella del 2007/2009 ne è stato solo un piccolo assaggio. “la prossima tappa della crisi sarà davvero il “gravissimo collasso del sistema economico, finanziario e monetario mondiale”, e che questo storico fallimento avverrà nell’autunno del 2011. Le conseguenze monetarie, finanziarie, economiche e geopolitiche di questo “gravissimo collasso” saranno di proporzioni storiche, e faranno vedere la crisi dell’Autunno del 2008 per quello che essa era nella realtà: un semplice detonatore.”
I problemi sul tavolo quindi appaino gravissimi e irrisolvibili: come si fa a cancellare un debito di una nazione senza che i creditori non ne risentano? Pensiamo a quanto ammonta il debito Usa, a quello Europeo dei vari stati e l’Italia non è da meno, ovviamente. Debiti immensi che nessuna nazione sarebbe in grado di pagare, debiti così grandi che nessuna attività reale potrebbe mai sanare. Sembrano cose fantascientifiche, ma è la realtà e supera di molto le fantasie degli scrittori. Il problema, da questo punto di vista, è sicuramente irrisolvibile: alcuni paventano la corsa al rialzo dei tassi, ma è la misura stessa ad essere un’arma a doppio taglio. Il debito Usa schizzerebbe alle stelle e i famosi T-Bond sarebbero, come già lo sono, carta straccia. Il principale detentore del debito Usa, la Cina, si sta guardando attorno con estrema cautela, diversificando con investimenti multimiliardari pagando in dollari Usa e questo lascia spazio, per poco, ad una minima rivalutazione della moneta americana nel breve periodo. Ma più in là nessuno si azzarda a fare previsioni: nebbia totale e pericolo di scogli affioranti. La barca economico e finanziaria mondiale della sfrenata globalizzazione che molti hanno voluto, sta adesso viaggiando a vista senza nessun riferimento e sopratutto perché, a mio avviso, il gioco è diventato così grande e complesso che anche i loro fautori non sanno più da che parte indirizzare gli sforzi per evitare il collasso finale, inevitabile!
Le premesse, dal mio punto di vista, sembrano sempre più chiare e a questo punto del “guado” gli esploratori non sanno più cosa fare: ritornare indietro è impossibile, ma attuabile; rimanere fermi ed attendere è catastrofico; andare avanti non da nessuna sicurezza di quello che si incontrerà, poiché il peso che stiamo portando è sempre più gravoso. Il fiume si sta ingrossando e l’onda di piena a monte arriva sempre più in fretta. In questi frangenti la soluzione migliore è buttare tutto quello che si ha sulle spalle, nuotare più velocemente possibile seguendo la corrente del fiume in maniera diagonale così da raggiungere la riva ed un riparo sicuro. Questa la teoria di sopravvivenza, ma nel mondo geo-politico-economico-finanziario non è proprio così, anzi di solito le soluzioni sono per lo più quelle che vengono attuate tra bambini: le sberle. Sì le sberle che in questa occasione vedono la via d’uscita da tante grane e da tanti problemi. In parole povere: guerra.
Nel passato ce ne sono state a iosa, tante e poi tante ed hanno anche aiutato proprio quegli stati che nella guerra hanno visto la soluzione dei problemi economici, finanziari e sociali. Ce le hanno fatte passare per guerre d’invasione, di libertà, di giustizia di religione o di altre cavolate assurde, ma nella realtà in tutte queste attività s’è attuato quello che è normale che avvenga tra esseri umani: voglio avere quello che tu hai, anche a costo della tua vita (come i bambini da prendere a ceffoni che dicono: è miooooo!). E’ inutile nascondersi dietro a dei panegirici assurdi, il fatto concreto è che l’uomo è il peggior virus che mai mondo abbia ospitato e la sua indole violenta, vendicatrice e sanguinaria prevale sempre.
Ricapitoliamo: gli Stati Uniti non possono e non vogliono entrare in un conflitto che degeneri successivamente in una rivoluzione interna a casa loro, perché già molte sono le insofferenze che in Usa si vivono. La costruzione di centinaia di Campi costruiti e messi a punta dalla FEMA e da alcuni centinaia di migliaia di “coffins” (bare) con una capienza tale da farci stare dalle 4 alle 5 persone dovrebbe far pensare molto. Però non se ne parla e addirittura la FEMA nel suo sito avverte che questi campi (di sterminio aggiungo io) sono stati realizzati per aiutare la popolazione americana in caso di stragi batteriologiche (???). Nella realtà le attività belliche sono già in atto, sotto forma più “umana”: combattere il narco traffico dell’America del Sud e spostare una buona parte dei suoi interessi in un’area più locale anziché europea. Questo non distoglie però le aziende di produzione militari e del relativo indotto a produrre per quei/quel paese che ne fosse interessato (Israele), con il risultato di incrementare la propria ricchezza e di dare un’alea di benessere sociale localizzato, ma mai più trainante. Dall’altro, i paesi coinvolti nel prossimo conflitto vedrebbero lo scenario molto più da vicino che non gli Usa, fatto salvo che qualcuno in Cina e in Russia non intenda diversamente, sarà da vedere. Nel frattempo Israele ha già piazzato molti velivoli alla base di al-Asad in Iraq (F-15, F-16, F-18, F-22, e KC-10), e una fonte molto vicina al gruppo di Muqtada al-Sader hanno visto questi stessi aerei effettuare esercitazioni al fine di colpire obbiettivi iraniani presso la base israeliana di Dov, la più grande di Israele dopo quello di Ben Gurion.
Lo stesso Nicolas Hopton, Direttore del Foreign Office International Security Directorate, ha tenuto una conferenza in Brasile il 22 marzo in cui enfatizzava la necessità di applicare delle sanzioni all’Iran per prevenire “uno scenario molto pericoloso” come quello che Israele sta preparando per bombardare l’Iran.
I vari paesi, potenzialmente alleati dell’Iran in virtù della religione sono oramai ridotti a fantocci in mano delle potenze straniere americane europee ed israeliane. Solo una per ora resiste accanitamente (la Siria), ma costantemente vengono inviati agenti americani e squadre specializzate per innescare quel processo che ha visto capovolgere le dittature negli altri paesi arabi. Tra tutti quelli che potrebbero essere in coalizione con l’Iran potrebbero essere: Siria, Turchia, Russia e Cina. Dal mio punto di vista ho molti dubbi sull’intervento cinese e russo, fatto salvo che lo potrebbero attuare solo con forniture militari, ma in questi casi il voltafaccia e d’obbligo, perché Cina e Russia anche se ultimamente si sono legati con faraonici progetti in Siberia, dall’altro hanno ancora dei conti in sospeso per la Manciuria e parte della Mongolia.
Siamo in un tempo che non vedrà mai più nel breve termine dei prossimi dieci anni un sole di pace e di benessere, ma dolore e immani sacrifici. A questo proposito mi vengono in mente le parole del nostro comunista presidente della repubblica Italiana che nell’incontro per i festeggiamenti dei 150 dell’unità d’Italia a New York affermo che “ci aspettano tempi molto duri, sopratutto per l’Italia, ma ce la caveremo…”
Giappone e i riflessi italiani.
Dopo gli avvenimenti catastrofici giapponesi e le ripercussioni succedutesi e non ancora terminati, in Italia – come sempre – si macina l’acqua nel mortaio.
Conferenze, incontri e dibattiti sul sesso degli angeli, ma con una unica idea: portare avanti gli investimenti sul nucleare.
La Germania come altri paesi, sta rivedendo le sue politiche energetiche sopratutto sulla sicurezza delle centrali proprio per evitare che in occasioni di eventi eccezionali, si verifichi quanto è successo in Giappone.
L’Italia, per sua fortuna non ne ha, ma sfrutta abbondantemente l’energia prodotta dai paesi vicini come Francia, Svizzera e Slovenia.
Possiamo pensare di stare tranquilli? Non credo vista la cartina, e sopratutto perché in caso di incidente nucleare simile o peggiore di quello di Fukushima, ci troveremo sommersi dalla ricaduta radioattiva (fallout) delle centrali circostanti.
Quello che è interessante notare è che la direzioni dei venti principali spirano, a seconda delle stagioni, proprio dalle direzioni dove sono maggiormente concentrate le centrali. Così per i venti atlantici da Ovest avremo il fallout dalla Francia, mentre per quelli autunno/invernali/primaverili avremmo quelli dal quadrante di Nord e Nord-est.
Non c’è che dire saremmo completamente invasi e contaminati in men che non si dica. Dovremo emigrare? E dove?
La qualità delle centrali nucleari inoltre non sono, così come si vuol far credere, perfettamente in ordine. Il caso francese, messo a tacere in pochissimo tempo, dovrebbe far pensare, però è evidente che molti gruppi di lavoro e moltissimi denari stanno sul piatto della bilancia.
Non ultimo gli annunci della Prestigiacomo, la quale afferma che il Governo andrà avanti nei sui programmi di sviluppo del nucleare (è evidente che è necessario sbatterle su muso una delle barre di uarnio!). Ma addirittura è critica nelle affermazioni della Germani di chiudere 7 centrali:
Lo dico con tutto il rispetto: è una decisione presa sull’onda dell’emotività, tra poche settimane sono in programma elezioni amministrative… Prima il governo tedesco aveva dichiarato che sarebbe uscito dal nucleare, poi più realisticamente ha deciso di prolungare la vita delle centrali. La moratoria di 3 mesi serve probabilmente per verificare quattro centrali, le più vecchie, per rassicurare l’opinione pubblica. Tutti dobbiamo riflettere e fare considerazioni solo quando questa vicenda sarà conclusa. Non mi piacciono le speculazioni a usi domestici con ancora in corsa l’onda dello tsunami, come ho visto fare qui in Italia venerdì scorso.
E’ evidente che una sana politica energetica del nucleare non spiega assolutamente nulla. Anzi e la cosa appare sempre più nebulosa, il problema delle scorie è sempre più evidente. Suppongo che pochi o nessuna sappiano dove esattamente stanno e già questo è un grosso problema.
Eppure le energie alternative sono lì fuori alla portata di tutti, ma è sicuramente più conveniente usare quelle che creano maggior guadagno anziché la salute di tutte le popolazioni. Il fatto che vi sia solo una sola centrale solare in Sicilia a Priolo inaugurata in pompa magna e solo in via sperimentare fa capire esattamente le intenzioni dei vari business-men che controllano quei cialtroni dei nostri parlamentari.
La gente dice…