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Essere o Avere (i coglioni)

Fino allo scoppio della Prima guerra mondiale alla frontiera svizzera ogni giorno c’era un flusso di svizzeri che venivano in Italia a lavorare e tornavano a casa alla sera: un secolo fa i frontalieri erano loro.
Nel 1936, in piena era fascista, il socialista Alberto Beneduce (1877 – 1944) separò le banche commerciali dalle banche finanziarie, nazionalizzò la Banca d’Italia e proibì la libera circolazione del capitale straniero in Italia.
Tra il 1950 e il 1960 Mattei e l’Eni fornivano metano e petrolio all’Italia.
Nel 1953 l’Italia era tanto ricca che cancellava la metà del debito che la Germania doveva pagarle. Anche l’altra metà non è mai stata pagata.
Nel 1954 la Olivetti produceva il primo Personal Computer al mondo.
Tra il 1955 e 1960 la lira era la moneta più forte e stabile di tutta Europa e faceva aggio sull’oro [1].
Negli anni ’70 gli studenti in pari col piano di studi ricevevano dall’università un presalario per poter studiare e vivere.
A metà degli anni ’70 a Bologna gli autobus erano gratuiti.
Negli anni ’80 l’Italia era il quinto paese più industrializzato.
Fino agli anni ‘80 l’Italia era il paese più politicizzato d’Europa.
Nel 2000 gli italiani erano il popolo più ricco al mondo con un deposito medio in banca di 35.000 euro a testa.
Nel 1990 il 70% degli italiani aveva la casa di proprietà, nel 2007 la percentuale era salita al 81%, la più alta al mondo.
POI cos’è successo?
La Prima guerra mondiale ha depredato l’economia italiana mentre la Svizzera si è arricchita dei depositi delle persone ricche delle nazioni coinvolte nella guerra.
La Germania non ha pagato i debiti né della Prima né della Seconda guerra mondiale, prima perché non aveva i soldi e poi perché doveva riunificarsi.
Nel 1960 l’ing. Adriano Olivetti stava viaggiando su un treno e quando il treno esce da una galleria Olivetti è morto. Un anno dopo, in uno strano incidente stradale, muore Mario Tchou, l’ingegnere che aveva inventato Elea 9003, il primo personal computer a transistor al mondo. Con queste due morti l’informatica passava dall’Italia agli Usa di IBM.
Nel 1962 una bomba fa precipitare l’aereo su cui volava Enrico Mattei, e precipita anche la realizzazione di un’autonomia energetica dell’Italia che torna sotto il controllo delle Sette Sorelle petrolifere di Usa e GB.
La lira è stata aggredita dal dollaro e siamo tornati ad essere succubi del potere politico economico e culturale di GB e Usa.
Gli italiani sono troppo politicizzati? E allora li spoliticizziamo! Come?
- Dando in pasto tutti i giorni programmi radio e TV da deficienti si rende deficiente chiunque;
- Facendo credere che l’importante sia il calcio, si distrae dai problemi veri; siamo l’unico paese al mondo con tre giornali sportivi che escono tutti i giorni!!
- Se il vino è troppo forte lo si può diluire, così si è fatto con gli italiani: 10 milioni di immigrati affamati e senza idee politiche hanno diluito 45 milioni di italiani politicizzati e con chiaramente in testa quali erano i loro diritti acquisiti in un secolo di lotte. Una buona attuazione del Piano Kallergi.
Le segreterie dei partiti hanno scelto e mandato in parlamento e al governo persone sempre più corrotte, corruttibili, deficienti, criminali, ignoranti, mafiose. Politici che pensavano ad essere rieletti, non statisti che pensavano al bene della popolazione.
I sindacati hanno subito la stessa fine, basti un dato: nel 1975 un gruppo di sbarbatelli senza soldi per seguire le lotte studentesche e nelle fabbriche apre in una soffitta di Bologna Radio Alice, una radio libera dal controllo della Rai. Il Partito Radicale, un gruppo di altri senza quattrini, da quarant’anni trasmette da Roma le sue idee in tutta Italia. Nel mondo della comunicazione globale, i sindacati forti della maggior massa di lavoratori della nazione, non hanno ancora una radio, un giornale, un volantino un megafono col quale comunicare coi lavoratori e i disoccupati. Cecità politica? Stupidità al potere? Piano per spoliticizzare la popolazione?
Il trasporto pubblico, un tempo gratuito per agevolare i mezzi pubblici e ridurre l’inquinamento, è passato dal pubblico al privato e il privato che pensa solo a far cassa si fa pagare salatamente i trasporti.
Per elevare il livello culturale della popolazione un secolo fa lo stato investiva nell’istruzione e un maestro aveva uno stipendio equiparato a quello di un magistrato, oggi a quello di … ha ancora uno stipendio?
Grazie all’IRI, alle sue banche e alle aziende di stato l’Italia ha sempre avuto una struttura industriale in grado di fare ricerca e sviluppare nuove tecnologie che a cascata finivano anche alle piccole aziende private. Da quando sono sbarcati gli ospiti del Britannia in crociera attorno alle coste italiane, il tandem Prodi/Berlusconi, al potere da un quarto di secolo, ha destrutturato l’Iri, regalato i gioielli dello stato e demolito il potere industriale e bancario dell’Italia realizzando il progetto dello stato liberale di von Hayek.
Nel 1992 il socialista Giuliano Amato e compagni distruggono la riforma Beneduce: permettono la libera circolazione dei capitali stranieri in Italia (la globalizzazione), privatizzano la Banca d’Italia, permettono la commistione tra banche commerciali e finanziarie, privatizzano il settore pubblico.
L’introduzione dell’euro ha dimezzato di colpo il capitale degli italiani. Un caffè che costava mille lire adesso costa un euro, ovvero il doppio, e come il caffè ora costa tutto il doppio.
Al calo del potere d’acquisto si è aggiunto il calo degli stipendi. Nel 1974 per comperare una casa di 60 metri quadri a Milano servivano tre anni e sei mesi dello stipendio medio di un dipendente, nel 2015 per gli stessi metri quadri servivano nove anni di stipendio, oggi 11.
Negli anni ’50 e ’60 era normale vedere famiglie con due o tre figli; con lo stipendio di una sola persona si viveva decentemente, si compravano gli elettrodomestici, l’auto e poi la casa. Oggi il 30% degli italiani è single o separato, il 20% sono coppie senza figli, il 50% è sposato e raramente ha più di un figlio. La politica e l’economia hanno distrutto la famiglia italiana.
Il mattone, il bene rifugio tradizionale degli italiani, l’unico bene che si è sempre rivalutato nel tempo, con l’introduzione delle classi energetiche è diventato un bene che non solo non si rivaluta nel tempo ma, come un’auto, con gli anni perde valore, si deprezza, ha un costo di mantenimento che non verrà mai più recuperato. Con una legge semplice e apparentemente innocua si è colpito anche il mattone, e il patrimonio degli italiani diminuisce sempre più di valore.
Nel 1951 il 7% della popolazione aveva più di 65 anni, oggi un quarto della popolazione italiana ha più di 65 anni.
Ogni anno 145.000 giovani, solitamente laureati o con un alto grado di istruzione, emigrano verso altri stati con una situazione economica, politica e culturale migliore.
Che fare? Scriveva un secolo fa Lenin …
Chi resta in Italia può solo scegliere tra:
- accettare di impoverire sempre più o
- buttarsi nella lotta e cambiare il corso della storia e dell’Italia.
Una scelta che si riassume in due verbi: essere o avere.
Essere coglioni o avere i coglioni
© Galileo Ferraresi
Rif: Scenari Economici
Quanto costa all’Italia la guerra in Ucraina
La guerra è in corso ormai da mesi, si sta radicalizzando in una guerra di posizione che vede le parti in gioco trincerarsi in posizioni sempre più radicate, delle quali ogni evento è un successo per una parte e un fallimento per l’altra. L’occidente consociato con la Nato invia armi e denari per contrastare la forza russa, ma nel contempo queste scelte guerresche producono nei paesi europei malumore e sopratutto enormi debiti della spesa pubblica. In Italia come siamo messi?
La guerra in Ucraina, oltre alle migliaia di morti e alle inaudite sofferenze, ha generato un enorme fiume di denaro che sta abbeverando i colossi delle materie prime, i produttori di armi e la grande finanza internazionale.
A sborsare questi soldi come sempre è Pantalone, ovvero i Paesi occidentali, quindi i loro cittadini, anche se il conto più salato lo andranno a pagare gli ucraini una volta che questa guerra sarà finalmente giunta a conclusione. Facendo una stima al ribasso e assolutamente parziale, visto che tutti i segnali farebbero pensare a una guerra in Ucraina che potrebbe andare avanti ancora a lungo, finora dall’Occidente sarebbero stati spesi, o messi in preventivo, almeno 1.000 miliardi di dollari.
Assai salato sarebbe il conto anche per l’Italia, con il nostro Paese che entro la fine anno potrebbe aver avuto quasi 200 miliardi di spese in più a causa dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia.
Lo scorso giugno un articolo di Massimiliano Di Pace pubblicato dall’Huffington Post, ha stimato per l’Italia un costo complessivo per la guerra in Ucraina che potrebbe arrivare entro la fine dell’anno alla cifra monstre di 180 miliardi.
Al conto però mancano i 14 miliardi stanziati dal decreto Aiuti ter licenziato a settembre, che si sono sommati ai circa 50 miliardi dei due provvedimenti precedenti per mitigare l’aumento del costo del gas, oltre ai 25 miliardi che dovrebbero essere la dotazione dell’Aiuti quater, nuovo pacchetto di misure che sarà il primo atto ufficiale del governo Meloni; in più ci sono i vari bonus e i tagli al prezzo della benzina che sono stati prorogati.
Stando all’Ukraine support trucker, da quando è scoppiata la guerra l’Italia finora ha elargito all’Ucraina 150 milioni di aiuti militari e 510 milioni di aiuti finanziari, contro i 52 miliardi di dollari totali degli Usa; inoltre lo scorso luglio il nostro Parlamento ha deciso di aumentare la spesa militare di 1,2 miliardi l’anno.
Poi ci sono gli effetti indiretti, come la contrazione del Pil tanto che l’Italia stando al Fmi nel 2023 dovrebbe entrare in recessione. Sempre il Fondo Monetario Internazionale ha stimato per il Belpaese una inflazione al +7% nel 2022 e del +9% per il 2023.
Altra voce sono gli aiuti comunitari all’Ucraina, con Ursula von der Leyen che nelle scorse ore ha annunciato 1,5 miliardi di aiuti mensili a Kiev. Briciole queste in confronto a quanto costerà la ricostruzione del Paese ora martoriato dalla guerra: la Banca Mondiale ha parlato di 350 miliardi, ma altre analisi hanno ipotizzato una cifra doppia. Da tempo a riguardo si parla di un Piano Marshall da parte dell’Occidente che si è “spartito” le varie zone dell’Ucraina da ricostruire: all’Italia spetterà il Donetsk, ora in buona parte in mano alla Russia.
Tra crollo del Pil, lo spettro della recessione, aiuti all’Ucraina, crescita delle spese militari, aumento dell’inflazione e delle bollette per non parlare del caro-carburante, la guerra sembrerebbe poter avere un effetto ancora più devastante del Covid per le nostre tasche, tanto che in meno di un anno i costi sembrerebbero essere superiori ai 191,5 miliardi che incasseremo complessivamente dal Pnrr.
Ref: money.it, 26 ottobre 2022
London School of Economics: “Non rimarrà nulla dell’Italia”
Questo articolo da solo esprime nella migliore maniera il futuro del nostro paese fintanto che una “forza” non contrasterà questo declino ineluttabile.
Non c’è speranza se non quella di una lenta agonia e di un disastro sempre maggiore in tutti i settori.
London School of Economics: “Non rimarrà nulla dell’Italia”.
Costituzione da abrogare?
Negli Stati Uniti la costituzione ha 7 articoli e 27 emendamenti, l’Italia ha 139 articoli e definire quale sia la migliore non rientra nei compiti di questo articolo.
La nostra costituzione nasce nell’800 ad opera delle centrali massoniche franco-inglesi con il chiaro scopo di ingabbiare una società, quella italiana, in regole libertarie al fine di esautorare il potere monarchico come unico referente. La successione temporale, attraverso la quale la costituzione si è sviluppata, segue un percorso che appare come un grande vantaggio per la popolazione italiana, ma alla lunga si dimostrerà una gabbia. La rappresentatività costituzionale del popolo avvenne con molta gradualità permettendo ai grandi gruppi economici dell’epoca maggior peso rispetto a quella del popolo.
Il popolo aveva quindi una parvenza di potersi esprimere, ma solo attraverso una serie di gradi di accesso al potere. Non tutti potevano votare e molte erano le fasce sociali escluse. Con l’unificazione parziale dell’Italia nel 1861 buona parte del processo costituzionale si era compiuto sulla base di regole che scimmiottavano le istituzioni inglesi. L’avvento del fascismo pose un’interruzione al processo riformatore costituzionale, mentre con la fine della 2a guerra mondiale e la vittoria degli anglo-americani, prese corpo l’attuale forma redatta dall’assemblea costituente composta da quella parte di italiani che avevano sabotato l’Italia, prima, durante e dopo il fascismo con il chiaro intento di sabotare l’unificazione monarchica, fascista e democratica.
Ora siamo a 66 anni da quel giorno in cui De Nicola firmò la Carta Costituzionale e da allora ad oggi molte cose sono cambiate nel nostro paese. Socialmente ci consideriamo più evoluti (è strano considerare evolute persone che sfasciano una città per una partita di pallone, ma accettano di buon grado di farsi licenziare e di rimanere disoccupati); il grado di istruzione appare distribuito in maniera coerente con la media europea (ma produce una classe insegnante peggiore d’Europa) , le diversificazioni di reddito e il benessere non è più appannaggio di certe classi sociale, e molti adesso hanno accesso al credito (quando le banche lo permettono).
Insomma, tanto fumo e poco arrosto.
L’articolo 1 della costituzione recita:
L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
Di per se solo questo articolo è premessa della falsità oggettiva di questa carta costituzionale. Una repubblica fondata sul lavoro? Non su valori etici, di rispetto sociale, umano, sulla vita dell’uomo e sulle sue opere di arte e di ingegno? Che razza di regola è quella di fondare una costituzione sul lavoro? Sul lavoro si costituisce un esercizio commerciale, una industria, un opificio, una società per azioni, ma uno stato (che si definisce democratico) mai! In uno stato questi valori, non sono quelli che in primo piano hanno maggior rilievo, ma ne sono parte integrante, ovvia, insignificante al confronto co il rispetto della vita, delle genti e delle loro tradizioni storiche, artistiche, morali e anche religiose. No! La nostra costituzione è fondata sul lavoro, sullo sfruttamento e svuotamento della ricchezza millenaria che ci ha visto primeggiare in ogni campo. Questo “non s’ha da fare”. Manzoni, procace cattolico, e cripto-massone, ne aveva ben donde nel definire e nel combattere il potere ecclesiastico, sempre inviso alla massoneria. Lui sapeva e scriveva romanzi che sono un inno alla massoneria. Ma parliamo di molto tempo fa, tempi in cui la lettura e l’istruzione scolastica ancora arrancava in una struttura di uno stato appena abbozzato e non ancora sperimentato, ma ricco di appetiti.
Oggi però questa carta costituzionale pare, agli occhi di molti, un decalogo fuori tempo, obsoleto, vecchio, antico per delle regole che via via nell’arco di pochi anni sono state disattese: lavoro, sindacati, parlamento, poteri dello stato, esercito. Anche il Wall street Journal critica questa obsoleta carta e richiama all’ordine che ci impedisce il miglioramento sociale, il progresso economico e la rinascita. Così pure la grande banca d’affari J.P.Morgan, grande finanziatore del nazismo e dello stalinismo, sempre pronta ad intravvedere gli spazi proficui per i loro interessi. Ma non hanno torto. L’attuale carta costituzionale è, oltre che anacronistica, talmente inadatta all’ordine impostoci dal Fondo Monetario Internazionale alla Banca Mondiale, all’Onu, alla Nato che noi, italiani, abitanti di una penisola immersa nel Mediterraneo, dovremmo accettare di buon grado questi disinteressati consigli.
Già negli anni passati è iniziata l’abbattimento della costituzione con le nuove normative del 2001, con il Trattato di Roma e con quello di Mastricht, senza dimenticare quello di Lisbona che ci ha imposta un asservimento totale in ogni campo sul nostro territorio. Siamo esautorati di qualsiasi diritto, dal cibo al vestire, al pensare. Attraverso l’ONU, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’Ocse e il World Trade Union si è realizzato un insieme di regole alimentari per cui non è più possibile poterci coltivare i nostri prodotti, quelli antichi, quelli che per millenni ci hanno mantenuti sani e robusti, ma dobbiamo accettare le regole imposteci dal Codex Alimentarius, prodotto delle suddette organizzazioni, così come nella sanità, ed in tutti quei campi che possono rinfocolare quel senso di unione e di compattezza nazionale.
E’ lapalissiano che di fronte a queste bordate da corazzata Potëmkin non possiamo che alzare bandiera bianca: “Ehi voi…qual novità? Il morbo infuria, il pan ci manca, sul ponte sventola bandiera bianca”.
Italiani, svegliatevi dal torpore!!!
“Quando uno Stato dipende per il denaro dai banchieri, sono questi stessi e non i capi dello Stato che dirigono le cose. La mano che dà sta sopra a quella che prende. I finanzieri sono senza patriottismo e senza decoro”. (Napoleone Bonaparte)
Schiavitù o zelante lavoratore?
In un’epoca come quella attuale, dove il lavoro è diventato un bene prezioso, circola in molti l’idea che essere impiegati in un’attività sia il primo gradino della propria indipendenza e il primo mattone che permetta di costruirsi una famiglia. In epoche molto lontane il lavoro come lo intendiamo oggi non esisteva, si era solamente cacciatori-raccoglitori e tutto era condito da una vita breve e piena di pericoli. I più deboli morivano e i più forti avevano qualche possibilità, ma dovevano rischiare giorno dopo giorno contro le belve, i pericoli dei parassiti, degli insetti e dei fortuiti incidenti, delle malattie e non avevano nessun rimedio se non quello di alcune cure “magiche”.
Successivamente l’uomo scoprì la possibilità che si poteva coltivare ed allevare gli animali, realizzando quindi un profondo cambiamento nello stile di vita: la sedentarietà. Il villaggio e i piccoli gruppi di individui, iniziarono a costituire con il passare dei secoli, il punto focale di nuove società. La promiscuità necessaria, l’uso della coltivazione dei primi cereali e la coabitazione forzata con gli animali creò però l’insorgere delle malattie trasmettibili all’uomo. Un vero disastro sociale, poiché sconosciute e delle quali non esistevano metodi e soluzioni se non migrare in altri siti, ritenuti, più sani. Nascevano le regole sociali, le basi di un mondo che ci avrebbe portato in quello attuale.
Durante l’epoca di Roma e prima ancora anche nella democratica Grecia e nella terra di Sion la schiavitù era una regola comune che i vinti subivano. Purtroppo non si conosce quando abbia avuto inizio l’uso degli umani per gli umani.
La schiavitù permetteva la realizzazione di opere pubbliche e private quasi gratuitamente (non è vero), ma nell’uso comune e nell’ignoranza comune si credeva che lo fosse.
In tempi moderni la schiavitù è stata un grande affare per alcune nazioni (Svezia, Norvegia, Inghilterra, Olanda, Danimarca) che ne hanno tratto un enorme beneficio. L’Inghilterra inoltre, nota come esempio di democrazia occidentale, usava gli irlandesi come bassa schiavitù, nel senso che questi avevano un valore più basso degli schiavi africani o delle indie. Il pasto, per questi irlandesi spesso era la carne dei loro stessi connazionali e le bassezze inglesi sono spesso celate, o mascherate da motivi religiosi anziché predatori e pirateschi alla pari delle efferatezze dei salafiti in Siria o in Libia. E’ emblematico che in moltissimi filmati si parli spesso degli irlandesi come una razza bastarda. Si provi quindi a pensare da cosa nasce l’odio irlandese, ormai sopito dalla droga, dall’alcol e dal globalismo, durante i giorni di Belfast.
Dicevamo che gli schiavi sono gratuiti, ma non è vero. Ai tempi di Roma, ma anche nella prima parte del 1000, la schiavitù era abbastanza diffusa anche in Italia e tutte le scorrerie barbariche seppero sfruttare quanto era in uso e comune all’epoca: si conquistava un territorio, lo si depredava, si prendevano donne e bambini e si utilizzavano come manovalanza, per uso e consumo. I maschi di buona costituzione finivano spesso nelle fila degli eserciti, soprattutto nelle prime file e chi indietreggiava veniva infilzato, senza troppi problemi. E fu così fino all’alba del 1700 e ancora più avanti fino all’abolizione recente della schiavitù in Usa.
Ma l’abolizione, nel corso della storia, non fu un atto di pietà, Lincoln era anche lui uno schiavista, così come tutta la schiatta che lo adulava, ma aveva bisogno di uomini da portare al fronte, di mostrare un forte segno politico, insomma un atto demagogico che in pratica mise sulle barricate migliaia di negri per una causa che non c’entrava nulla con la razza, ma bensì con gli interessi economici e finanziari e teologici (ricordiamo che Licoln era un seguace della Pilgrim Society tra i primi fondatori delle enclave che ancora governano gli Usa, tutti indistintamente sionisti).
Con il passare degli anni però si osservò che lo schiavo (sia donna che uomo) per le famiglie che li detenevano, aveva un costo altissimo che non poteva essere più sopportato. A questo, se si aggiungono le innovazioni tecnologiche del 1800 il passo alla liberazione degli schiavi è breve, ma solo per una semplice questione ragionieristica di convenienza dello schiavista: lo schiavo voleva dire mantenimento, casa, malattie, figli. Costi enormi per famiglie che con il passare degli anni si vedevano ridurre il loro potere. Cosa fare? Liberare gli schiavi, tutti e lasciare che si mantengano da soli e in caso di necessità per il lavoro delle aziende assumerli, facendo loro crede alla libertà acquisita che possono gestirsi come vogliono, ma allo stesso tempo controllarli relegandoli in ghetti per evitare il “contagio”.
La quadratura del cerchio era stata trovata ed a costo quasi zero, anzi il guadagno era ancor più aumentato proprio in virtù del fatto che adesso i liberi schiavi potevano gestirsi come volevano: non avevano obblighi nei riguardi di nessuno, potevano mangiare a casa loro, che dovevano pagare; se stavano male dovevano curarsi per conto loro, a pagamento; se avevano figli se li tiravano su loro a spese proprie. Un guadagno assoluto, anzi in questa liberazioni le grandi nazioni e le compagnie degli schiavi si trasformavano in banche, assicurazioni, aziende farmaceutiche, e i grandi latifondisti si rinnovavano producendo più cibo per le nuove bocche da sfamare. la catena produttiva era arrivata alla sua completezza: lo schiavo frustato non esisteva più, sulla carta, e il suo posto era stato preso da salariati, stipendiati. Tutti concorrevano alla produzione di ciò che tutti consumavano, un guadagno insperato, ma sicuro.
Venendo ai tempi nostri , la stessa cosa accadde anche da noi in Italia. E più recentemente con il lavoro alle donne: manodopera a costo bassissimo veicolato da messaggi profondamente ingannevoli: libere donne, il sesso è libero, fate quello che volete, fine della patria potestà, o con messaggi tipo “l’utero è mio e lo gestisco io” oppure come altre frasi del tipo “oggi in piazza ad abortire, domani in piazza con il fucile” tutte cose che la Bonino, per esempio, conosce bene. La donna, sacro altare del nostro futuro, è stata usata, manipolata e violentata due volte, sul lavoro e sulla moralità del futuro di una popolazione.
La schiavitù, si pensa non esiste più. Abbiamo alzato la testa troppo violentemente (meglio si potrebbe dire che ci hanno permesso di alzare la testa) e le classi schiaviste, quelle di sempre, non tollerano che questi schiavi abbiano anche l’ardire di porre delle condizioni, no! Tutte le battaglie fatte e combattute sono state vanificate dai contratti a cottimo, a progetto, dalle partite Iva, dal tempo determinato. Il futuro per una giovane coppia è diventato talmente incerto che è più facile guadagnare la giornata con il gioco delle tre carte che con il lavoro che manca. Ma cosa è accaduto in questi ultimi 20 anni che siamo arrivati a questo disastro? Le cause sono molteplici, vi racconteranno i grandi economisti, i grandi pensatori, gli imbonitori ed i piazzisti del giornalismo prezzolato; loro sono a libro paga di chi gestisce questo disastro e non possono uscire dagli schemi. In realtà il problema, dal mio punto di vista è molto più semplice di quel che si voglia far credere.
Le grandi classi imprenditoriali e bancarie non sono milioni di persone, ma qualche migliaio, esse gestiscono i flussi economici e finanziari del pianeta spostando merci, denaro e soprattutto capitale umano. Negli ultimi anni, dall’ingresso nel World Trade Organisation (WTO) della Cina (11.12.2001) e dell’India (01.01.1995) i paradigmi sociali, economici e politici ai quali eravamo abituati hanno subito una variazione. La Cina e l’India con il loro 2,7 miliardi di persone, rappresentano, per quella famosa classe di schiavisti sopracitati, un serbatoio enorme di forza lavoro a costo quasi zero. In India i morti recenti del Bangladesh che lavoravano per molte aziende italiane, avevano un salario di 20 dollari al mese (0,66 cents/giorno). Quanti italiani vivrebbero con una cifra del genere? Eppure lì ce la fanno e se ce la fanno a vivere riusciranno anche a produrre, magari per mezza ciotola di riso in più.
Appare quindi evidente che il mercante non ci pensi due volte a spostare tutte le sue attività in luoghi dove il costo della manodopera ha un valore insignificante nel bilancio industriale e così, lentamente nel corso dei 20 anni, i grandi industriali, i grandi banchieri, le multinazionali spingono e sostengono nelle politiche sociali, economiche, industriali e finanziarie dei paesi europei/occidentali quegli uomini che siano i loro portavoce; creano con l’aiuto dei politici da loro eletti, tutta la normativa idonea a staccare la spina del benessere così come fino ad ora l’avevamo conosciuto; i sindacati che, all’apparenza sembravano lavorare per i nostri diritti, ora tacciono, non organizzano più oceaniche manifestazioni, barricate, picchetti davanti a quelle aziende che sono state dislocate: anche loro sono a libro paga degli schiavisti e quanto meno rientrano in quella struttura che ne preveda l’assenza dal campo di battaglia. Il caso eclatante, anche se molto complesso, è il prossimo fallimento dell’Ilva: silenzio assordante delle varie sigle sindacali, ma molto fragore in quelle correnti “new age” che paventano la morte totale di una provincia per dei mali ai quali nessuno prima di adesso aveva mai protestato: è più importante la vita o il mantenimento alla vita e a che prezzo. Da un lato il licenziamento di 40 mila persone, dall’altro la salute che viene minata dalle connivenze dello Stato e della Regione Puglia che in tutti questi anni non hanno mai verificato, mai denunciato.
Ma nel frattempo è necessario preparare il terreno affinché la massa non sia cosciente del baratro sulla quale la si vuol gettare, è utile dare “un colpo al cerchio ed uno alla botte”. Si va dalla politica, al commercio, all’industria, al sociale, alla sanità e all’impiego pubblico. Tutti ricevono un pezzetto di questa torta, poco per volta e via via sempre di meno finché un giorno non ci sarà più, nel frattempo ci saremo abituati a mangiare sempre meno fino al punto che un giorno mangeremo ed un altro no, ma non ce ne accorgeremo se non nel momento in cui i nostri figli non saranno più capaci di sopravvivere alla denutrizione. Verranno quindi attuate tutte quelle politiche da paese del terzo mondo in cui corruzione e malversazione sarà la legge dominante e i lavoratori si adatteranno a produrre a prezzi come gli indiani o i cinesi di adesso. Non ci sarà il tempo per le proteste e nemmeno per gli scioperi, che saranno vietati e tanto meno ci saranno tutte le possibili alternative di aiuto sociale che fino ad ora, per poco, abbiamo; bisognerà pensare a sfamare i figli, a guarire dalle malattie e quei pochi che ce la faranno non avranno nemmeno il tempo per chiedersi cosa stiano facendo e per chi lavorano.
Il dogma assillante è riportare la fiumana umana nel giusto alveo che si merita.
E così accade, si spostano le produzioni in altri luoghi più economici e si mette alla fame chi prima aveva raggiunto un certo livello di benessere, ma fra qualche anno sarà così anche per quelli che adesso stanno iniziando a stare bene e il pendolo si sposterà ancora una volta in quelle popolazioni, noi, che, alla fame, accetteranno qualsiasi cosa pur di mangiare. La Fiat dopo 5 anni di lavori incessanti in Serbia, l’anno scorso è partita con la produzione di auto, ma già adesso iniziano i contraccolpi e gli operai protestano per le paghe da fame che stanno ricevendo danneggiando alcune auto (500L). Cosa farà al Fiat per ora è sconosciuto, ma certamente, come altri, tra un po’ di tempo sposterà la produzione in altri stati dove la fame e il bisogno di sussistenza sarà tale da accettare anche una paga insignificante.
A volte è bene rileggere il discorso dello schiavo, forse, a forza di ripeterlo qualcuno se ne rende conto di come stanno andando le cose:
Uno degli aspetti più micidiale dell’attuale cultura è di far credere che sia l’unica cultura, invece è semplicemente la peggiore. Gli esempi sono nel cuore di ognuno, per esempio il fatto che la gente vada a lavorare sei giorni alla settimana è la cosa più pezzente che si possa immaginare. Come si fa a rubare la vita agli esseri umani in cambio del cibo, del letto, della macchinetta. Mentre fino a ieri credevo che mi avessero fatto un piacere a darmi un lavoro, da oggi penso: “Pensa a questi bastardi che mi stanno rubando l’unica vita che ho, perché non ne avrò un’altra, ho solo questa, e loro mi fanno andare a lavorare cinque volte, sei giorni alla settimana e mi lasciano un miserabile giorno per fare cosa? come si fa in un giorno a costruire la vita?“.
Allora, intanto uno non deve mettere i fiorellini alla finestra della cella della quale è prigioniero, perché sennò anche se un giorno la porta sarà aperta lui non vorrà uscire.
….Il vero schiavo difende il padrone, mica lo combatte. Perché lo schiavo non è tanto quello che ha la catena al piede quanto quello che non è più capace di immaginarsi la libertà.
Un momento!
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Ieri e oggi ho dato fondo alla mia desolazione: ho cercato di capire che cosa trasmettono alcuni telegiornali della Rai (i 3 canali canali canonici), di La7 e di Rainew24. Sono andato in depressione. Le notizie più gettonate in tutte le testate di comunicazione di massa nell’ordine:- Bersani che tenta di fare un governo impossibile – Terzi da le dimissioni per la figura di m*** dell’Italia nei riguardi dell’India – il Papa che fa il gesuita – La revisione del processo di Meredith – Il processo di Sara Scazzi – Previsioni meteo – Calcio.
Ora, ditemi voi, su una informazione di questo genere come volete che gli italiani cerchino di essere responsabili quando i media precostituiti propinano notizie che hanno il valore di un rutto all’osteria? A farli crescere temprati nei problemi?
Dire che sono bamboccioni, come disse la Fornero, è solo un eufemismo, poiché nessuna persona, italiana o straniera che sia, potrebbe essere diversamente se allevata in un stato in cui le notizie principali sono quelle sopraddette. Qualcuno disse che il popolo italiano è come un bimbo di 3/4 anni, viziato, dispettoso e sempre pronto a dire no e come tale va trattato, ogni tanto una sculacciata e successivamente la caramella per zittirlo, possiamo dargli torto?
Un giorno mi trovavo in Corsica, vicino a Porto su una spiaggia libera da ombrelloni e in pieno sole. Davanti a me, a qualche decina di metri, stava una famiglia di francesi: papà, mamma e 9 figli. Il più grande avrà avuto 15 anni e il più piccolo, anzi la più piccola forse 2 o 3. Questa era affetta dalla sindrome di Down, simpaticissima e sopratutto attenta a tutto quello che facevano i fratellini più grandi.
Cosa mi ha colpito in questa famiglia? la gentilezza, la pacatezza, l’autorevolezza, la semplicità e la purezza dei movimenti degli uni verso gli altri e di tutti verso la bambinetta, ma senza ostentazione. Il rispetto reciproco e l’attenzione sono quelle cose che mi hanno stordito nell’osservare questa famiglia semplice. Semplice, perché non aveva nulla di firmato, scarpe normalissime, vestiti normali, anzi forse se li passavano da figlio a figlio, cibo normale, con grandi panini e tutti attorno a mangiare con qualche battuta per le nuotate che avevano fatto, per gli scherzi che si facevano. Presi nel loro insieme, con lo sfondo del verde dei lecci e dei pini in quella calda giornata d’estate sembravano inseriti in un quadro dei macchiaioli di fine ottocento. Tutto nell’equilibrio e nel rispetto.
La mamma non si preoccupava più di tanto dei bimbi, ma con un occhio leggeva una rivista francese e con l’altro controllava i più piccoli, interrompendo la sua lettura con qualche avvertimento verso i più grandi di fare attenzione ai piccoli. Una vera comandante: autorevole, sensibile senza usare nessun tipo di ricatto (tipico delle famiglie italiane) e nessun urlo o sbracciamento sguaiato. Il padre se ne stava in disparte e se non ricordo male, leggeva un libro, ma spesso dopo qualche pagina, si gettava nella mischia dei figli per coinvolgerli in qualche battaglia sulla riva del mare, ragazzine e maschietti. Era un quadro bellissimo. Finita la giornata, tutti indistintamente hanno setacciarono la spiaggia in cui avevano sostato, raccolsero i loro indumenti, le loro immondizie (poche o nessuna) e ognuno con le sue cose si allontanarono senza frastuono e in ordine sparso fino a scomparire da dove erano arrivati.
Avrei voluto conoscerli meglio, parlare loro e cercare di capire da dove nasceva e scaturiva quella semplicità e quella serenità di quella giornata al mare in Corsica. Già perché loro non erano corsi, ma della Bretagna. Spesso usavano termini dialettali, ma sforzandomi, capivo le loro parole e rapivo quei tratti dei discorsi che tra i genitori facevano. Nulla di eccezionale, ma non parlavano della Belen, né di Corona e nemmeno di qualche miliardario di calciatore e nemmeno dei pettegolezzi francesi. Spesso argomentavano su qualche personaggio politico, ma con leggerezza, come fosse un vicino di casa loro. Vista la famiglia numerosa avevano altro a cui pensare, ma l’estate e la vacanza era probabilmente motivo anche per parlare di cose che nella vita quotidiana sfuggono.
Cambiamo scena.
Un giorno mi trovo in città, in Italia, e siedo con alcuni amici in un vecchio e storico bar. Siamo al tavolo e sorseggiamo un caffè in attesa di imbastire la serata in qualche maniera divertente. Nel “cazzeggiare”, vicino al nostro tavolo, arriva una famigliola di tedeschi con un bimbo piccolo. Tranquillamente si siedono ordinano il solito “capucino” e si guardano attorno. Il bimbo sgaiattola dalla mamma e per andare in braccio al papà nella sua breve corsetta va sbattere con violenza inaudita sullo spigolo del tavolo (di marmo). Il tonfo è forte e ci giriamo, il silenzio assale il bambino e la mamma lo guarda con dolcezza, senza preoccupazione e con uno sguardo che, a mio avviso aveva del satanico, gli comunica tranquillità (?). Il bimbo inizia ad emettere qualche piccolo urletto-singhiozzo-soffocato (alla Fantozzi, per intenderci), ma non da sfogo al dolore che suppongo fosse esagerato. La mamma lo tranquillizza, credo, perché con voce suadente gli dice delle parole che lo fanno quasi zittire. Il padre che aveva assistito alla scena in disparte, quasi indifferente, si sporge dalla sedia per accarezzare il bernoccolo frontale che al bimbo cominciava a crescere a dismisura e con un gesto rapido, se lo porta sulle ginocchia, quasi a consolarlo. Il bimbo non demorde, anzi il dolore preme e vuole la sua dose di urli che tutti noi, allibiti per la scena, attendiamo. Ma niente. Il padre lo coccola con qualche buffetto sul sedere e la madre indifferente si beve il suo “capucino” . Gli occhi del bimbo sono carichi di lacrime di dolore, ma il papà con amorevolezza gli passa sulla fronte un fazzoletto imbevuto d’acqua e lo tranquillizza, non è successo nulla, sembrava dicesse. Avrei voluto vedere il padre al posto del bimbo se se ne stava tranquillo, caspita!! Dopo qualche minuto tutto finito.
Cosa hanno in comune queste due scene con noi italiani? Nulla! Due mondi opposti e diversi, nei quali non ci identifichiamo e che troviamo per alcuni versi anche esagerati. Eppure, in quello francese la compostezza, la semplicità, la serentià e la sobrietà e il rispetto reciproco è una degli aspetti che NON abbiamo. In quello tedesco è evidente la compostezza, il rispetto, poiché il bimbo non ha urlato come un forsennato e cercato il compiacimento genitoriale, mentre il genitore ha saputo indirizzare quell’atroce dolore nell’accettazione che un dolore non è la fine del mondo (vaglielo a dire al bimbo!!). Noi non siamo così per nulla al mondo. E spesso veniamo redarguiti quando andiamo all’estero proprio per la nostra capacità di farci riconoscere. Siamo ingovernabili, salvo che non sia presente l’una e l’altra cosa, come nelle scene sopracitate.
L’ordine e la compostezza, il rispetto e l’autorevolezza, la sobrietà e la sagacia delle scelte. Nulla di tutto ciò appartiene alla nostra cultura di questi ultimi 50 anni. Sfascio, disordine, mostruosità sociali, efferatezze politiche ed inciuci che a pensarli Machiavelli a confronto è un pivello.
E’ il caso, passato inosservato di questi giorni, che l’INPS è ormai è stracotto, per usare un eufemismo. Si legge che l’INPS conferma la perdita di 10 miliardi per il 2013 e il patrimonio passa da 41 a 15,4 miliardi. E’ sicuramente una notizia da far rizzare i capelli a tutti i pensionati e a quelli che credono che avranno una pensione senza contare al buco da 30 miliardi dell’INPDAP per il mancato versamento dei contributi ai suoi dipendenti che l’INPS ha accorpato, eppure, avete sentito questa notizia alla radio, alla televisione, insomma da qualche parte? Immagino di no. Silenzio assoluto!!!!
Nel frattempo i giochini europei ci soffieranno i nostri risparmi e pensioni e noi andremo ancora in spiaggia o al bar a parlare di Scazzi, Meredith, Balotelli o altre insignificanti ed inutile fatti.
Ma se lo meritano i denari dallo stato le aziende creditrici?
Qualche settimana fa Bersani dichiarava che per sollevare le aziende a credito con le PA si sarebbe potuto emettere delle obbligazioni di stato per un valore di 10 miliardi all’anno per 5 anni. Boom!!! C’è da chiedersi se abbia mai fatto due conti della serva e abbia mai capito come funziona, almeno, un libro contabile: colonna dare e colonna avere. Ma Bersani non è un tecnico come il grande Monti, ma un uomo politico. Agli uomini a volte è permesso dire delle castronerie, mentre a chi fa politica la stupidità è peggio di qualsiasi altra cosa e Bersani in questo campo è veramente stupido.
Emettere delle obbligazioni a fronte di un debito delle PA significa in ultima analisi emettere altro debito, ma forse questo Bersani non lo sa, oppure lo sa eccome, e conscio dello sfascio e della stupidità degli italiani, si rende conto che tanto non cambia nulla e che alla fine paga pantalone. Che volete che siano 50 miliardi in più sul debito? Nulla, una goccia nel mare, dobbiamo preoccuparcene? Eppure ci sono stati milioni di persone che hanno votato questo personaggio, le sue idee e quelle che egli rappresenta in seno al partito che lo sostiene. Parliamo di 17 milioni di persone che la pensano come lui e come il suo partito. Cosa potremmo quindi contro proporre: beh, che le paghino questi 17 milioni di adepti al PD i 50 miliardi di debito delle PA alle aziende creditrici, vi pare? Alla fine sono poco più che 2900 euro a testa che distribuiti su 5 anni, come la proposta Bersani indica, sono solo 580 euro, che volete che siano per persone che hanno l’ardire di redistribuire sui restanti una proposta delinquenziale e truffaldina?
Ma il vero problema non sta tanto nella demenziale proposta di Bersani che riappare ancora in questi giorni e che sembra trovare molti “politicanti” favorevole. Infatti, da quello che legge, “la Commissione Ue ha concesso all’Italia la possibilità di emettere titoli pubblici speciali per far sì che le Pubbliche Amministrazioni saldino i propri debiti verso le imprese e fornitori.” Pare che Bersani abbia una corsia preferenziale a Bruxell visto quanto deciso dalla commissione europea o quanto meno si senta nell’autorità di decidere quanto ancora non è stato deciso visto lo stallo in cui ci troviamo. Ma l’Europa (le banche europee) chiede che vi sia un piano di rientro se mai dovesse prestarci questi denari (tecnicamente “un allentamento nel piano di stabilità”), ma anche in questo caso la nebbia fa da padrona. Mancano i dati certi e sopratutto non si sa con chi si avrà a che fare (anche questo Bersani non lo sa).
Il vero problema sta però e nella stragrande maggioranza delle aziende italiane che lavora per il pubblico e questo aspetto è ancora peggio di qualsiasi altro. Questo dovrebbe far pensare e mettere in dubbio le abilità dei nostri imprenditori, alle loro capacità di fare impresa se poi dietro alle spalle hanno un committente sempre pronto a fornire loro commesse ed attività. In ultima analisi quindi lo stato italiano, assistenziale, pone il grave dilemma della libera concorrenza, come la madre che tenta di staccare il proprio bimbo dalla tetta per evitare che con la crescita dei dentini non si spolpi anche la madre. Lo stato italiano appare nutrice, produttore di mammoni, figli di mammona, di beoti bamboccioni sempre alla ricerca del suggerimento, dell’attività in seno alla loro nutrice. E’ una situazione paradossale, senza via d’uscita, ma sopratutto a circolo vizioso che si autoalimenta. Lo stato senza gli intrallazzi con le potenti aziende che con lui lavora non esisterebbe, così come lo conosciamo, e le aziende non esisterebbero. Eppure è così! Nessuna o poche aziende ha il coraggio di ricorrere agli atti legali che le tutelano, preferiscono attendere, licenziare o magari suicidarsi pur di non colpire la loro madre nutrice. E’ assurdo, ma è la realtà.
Alcune aziende contattate, difronte alla domanda di ricorrere alle vie legali per rientrare del proprio credito, rispondono che una volta percorsa quella strada e vinta la causa dopo il lavoro mancherà, nessuno le metterà in condizioni di continuare, e nessuna associazione (Confindustria, Confartigianato, Confedilizia, Confcommercio) ha mai percorso la strada di una Class-Action nei confronti dello stato, ma quelle poche che hanno avuto l’ardire di fargli causa si trovano adesso senza lavoro e con personale licenziato, senza commesse.
Ha senso tutto questo?
Come pensiamo di poter essere un paese concorrenziale nei riguardi di altri europei quando al nostro interno abbiamo delle imprese che senza l’aiutino dello stato sarebbero uno zero assoluto! Come possiamo pensare in questo secolo con la prima economia mondiale (la Cina), la più grande in assoluto, per ora, che sta facendo balzi da gigante, di competere se non avessimo lo stato che ci assiste in ogni piega delle nostre attività produttive? Allora da questo scaturisce un altro ragionamento, perché lamentarci, perché chiedere insistentemente che lo stato paghi, quando in tempi migliori nessuno alzava la testa per farlo? Siamo tutti complici di un sistema che quando va bene tutti zitti. Ma adesso, con il lavoro che manca, con le tasse che hanno superato il 70%, con un’Europa che ha messo i cancelli alla nostra libertà di movimento, con le banche che stanno strangolando le aziende, gli imprenditori chiedono ossigeno, chiedono un aiuto manifesto al sistema che fino a ieri essi avevano sorretto. Possiamo biasimarli?
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Però, pensiamoci su un istante, fino a ieri queste aziende erano conniventi con le attività che lo stato dava a loro da svolgere, fino a ieri queste aziende non si lamentavano dei ritardi nei pagamenti o negli accrediti per l’Iva versata, queste aziende accettavano scoperti anche di mesi ed anni e le banche, consce che il creditore è solvibile (lo stato), nicchiavano e pazientavano. Fino ad ieri queste aziende, con la connivenza dei manigoldi dei politici, lucravano di 100/200/300/500 % in più sulle commesse e tutti erano contenti: imprenditori manigoldi e politici assatanati (basta vedere la differenza tra preventivo e consuntivo di tutte le opere pubbliche costruite in questi ultimi 50 anni).
Il sistema, un certo sistema, ha capito che il vero tesoro non sono le opere pubbliche, perché alla fine bisogna rendere conto, ma gli investimenti finanzari: non si rischia quasi nulla, si splpa sicuramente e si getta la carcassa senza che vi sia nessun colpevole, anzi è sempre lo stesso: il cittadino.
A questo proposito giusto perché vi facciate un po’ di cultura di economia e finanza vi posto un video di un guru della finanza che non è un Krugman o Stiglitz, ma un tassista di Londra, incazzato come una belva, ma che in poche e colorite parole ha espresso il teorema sul quale si basa la follia che stiamo vivendo in questi ultimi anni e quelli prossimi a venire.
Briciole…
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Mancano pochi giorni alla sorpresa finale di queste buffonate di elezioni politiche italiane. Alcuni ammettono sommessamente che qualcosa cambierà, altri che non cambierà nulla e il popolo – noi – stanco delle solite previsioni e dei soliti dibattiti noiosi e inconcludenti, cerca una soluzione per mandare all’aria un certo tipo di casta e per dare aria alle stanze del potere. Accadrà qualcosa? Lo vedremo il 26 febbraio, salvo brogli elettorali che quest’anno potrebbero essere maggiormente attivi.
Lo scenario ormai lo conosciamo tutti e ripetere quelli che molti altri più esperti dicono non serve a nulla. E’ interessante, comunque, la notizia delle bugie di Giannino sul suo “Master”, poiché tutto avremmo potuto dire su questo personaggio, ma di essere un bugiardo, ingenuo e vanitoso bugiardo, no!
Eppure, vanità e la superbia, e una certa dose di veleno di Zingales, hanno completato l’opera di distruzione di una forza politica che sarebbe probabilmente utile al nostro paese.
In un’intervista su Rainews24 Giannino dichiarava che gli erano stati offerti seggi in parlamento e senato. Le forze politiche che gli fecero queste offerte: PD, PDL e Centristi (Casini). La sua risposta, ovviamente, fu un secco no!
Da qui nasce il sospetto che Zingales, un signor nessuno, laureato alla Bocconi con PhD, in Economia alla Massachusetts Institute of Technology, amministratore indipendente della Telecom e giudicato uno dei 100 maggiori pensatori del globo più influenti (!). In poche parole Zingales, che nessuno prima di questo caso conosceva, appare essere l’elemento di contatto tra quelli che Giannino vorrebbe regolamentare e che appartengono alle stesse schiere dei suddetti gruppi politici. La risposta al no di Giannino quindi non si è fatta attendere.
La massoneria non perdona mai e nessuno!
Ma la rete aiuto chi cerca e scopriamo un altarino che molti del PD e del PDL non vorrebbero ascoltare. Bene! vediamo di che si tratta.
Monti, massone senza saperlo, Zingales, un subdolo ingenuo.
Zingales ha scritto un editoriale, comparso oggi sulla prima pagina de Il Sole24 ore, che –in teoria- avrebbe dovuto far fare un salto sulla sedia all’intera classe politica italiana, spingere rainews24 a parlarne per ore, e convincere i nostri baldi italioti, da Vespa a Santoro, da Lerner a Floris, ecc.,ecc a organizzare subito confronti, dibattiti, discussioni.
Non ne parlerà, invece, nessuno.
Perché questo non è un paese normale.
Chi gestisce il potere sa benissimo che la libertà di stampa è stata abolita in Italia usando l’oppio mediatico. Il pubblico è narcotizzato e non è più in grado di discernere. Gli italiani hanno perso la strumentazione mentale necessaria per decifrare e decodificare gli articoli stampati e capire la differenza tra un giornalista e l’altro.
Che cosa ci racconta Zingales sul suo editoriale?
Senza fare ideologia, senza parlare di politica né di partiti, senza alzare inutile polvere sporcata da eventuali aspetti di gossip e chiacchiericcio da dilettanti, ci spiega come –approfittando della distrazione beota degli italiani- sia passata un’operazione finanziaria FONDAMENTALE in borsa che rappresenta il punto d’incontro tra il PDL e il PD.
Niente di male in tutto ciò. E’ legale.
Il fatto è che non ne parlano certo né la truppa mediatica asservita al PD né tantomeno quella asservita al PDL.
Ne parla però Il Sole24ore.
Perché ne parla?
Semplice e lineare: perché quest’alleanza (QUESTI SONO I VERI POTERI FORTI DELL’ITALIA NELLA BORSA VALORI) sancisce il compromesso dell’Ancien Regime per abbattere definitivamente qualsivoglia progresso, libertà, modernizzazione, apertura dei mercati nel paese e Confindustria (che è proprietaria della testata) sa benissimo che tale alleanza velenosa tra la vecchia ala comunista italiana e la vecchia ala reazionaria liberista berlusconiana, finirà per radere a zero ciò che resta della spina dorsale dell’industria italiana e dell’imprenditoria. Tradotto in parole più semplici vuol dire che “politicamente” sia il PDL che il PD (con la benedizione del ragionier robotico Monti) hanno deciso di sostenere la speculazione finanziaria a danno della produzione di merci.
Cioè hanno deciso di fare ESATTAMENTE L’OPPOSTO di ciò che sostengono di star facendo e vi stanno ingannando a tutti.
Nell’articolo (che qui sotto riporterò in ampi stralci) si parla di come “approfittando della distrazione del paese, la vera lobby, la lobby delle lobby, Mediobanca, ha scelto di prendere per mano Unipol e farle salvare Fonsai di Ligresti”.
E’ molto peggio della bicamerale.
E’ centomila volte peggio.
E’ l’accordo di mercato tra Bersani e Berlusconi che metterà in ginocchio l’imprenditoria mercantile che produce lavoro e ricchezza.
E’ la risposta politica dei piddini e dei pidiellini al lavoro della magistratura, iniziato con l’attacco a Penati, proseguito con l’attacco al San Raffele, e ultimato in questi giorni con l’arresto, in pratica, di tutto il consiglio di amministrazione della Regione Lombardia con enorme sofferenza di Roberto Formigoni e della Lega Nord (è per questo motivo che è in grave subbuglio: temono la galera con manette vere, altro che elmi con le corna).
Con questo accordo finanziario, il mondo delle cooperative, le grandi banche dell’Emilia Romagna e della Lombardia diventano soci di una delle più corrotte famiglie italiane, i Ligresti, già finiti in galera con tangentopoli, uno dei più poderosi e solidi bracci destri di Silvio Berlusconi e di Roberto Formigoni nel mercato dei capitali.
Tanto per farvi capire il Senso dell’editoriale in questione, finisce così: “…..hanno ragione i tassisti”.
E se Confindustria usa questi toni –e sa ciò che sta dicendo- vuol dire che stanno cercando di metterci nel sacco a tutti con un inciucio consociativistico che rende sempre più legittima la definizione delle manovre di governo come La Grande Truffa.
Diffondete l’articolo dell’”eroe mediatico” Zingales, soprattutto presso le persone per bene della sinistra democratica che hanno il diritto di sapere che i più importanti sostenitori e finanziatori del PD hanno scelto di allearsi e associarsi nel mercato dei capitali con il livello più esteso e basso di corruzione economica nel paese. Sono andati al salvataggio di Silvio Berlusconi e di Roberto Formigoni. E’ bene che la gente si renda conto in quali mari sta navigando la Concordia dell’appoggio a Mario Monti.
Ecco alcuni pezzi dell’articolo in questione:
Solo cinque anni fa FonSai capitalizzava cinque miliardi di euro, oggi in borsa ne vale solo 235 milioni. Un maligno potrebbe pensare che si tratti di un’iniziativa ad arte volta ad impedire che una rete come quella di Fondiaria, che deve essere fatta di ferro per resistere ancora in piedi a più di un quarto di secolo di cattivo management, finisca nelle mani di un imprenditore capace. Per Mediobanca, che ha il 13,5% di Generali, sarebbe un duro colpo. Meglio un manager meno in gamba. Meglio se un’altra compagnia di assicurazioni. Si consolida ulteriormente il mercato (a vantaggio di tutti i produttori incluse Generali) e si distrae un competitore che per i prossimi anni sarà impegnato a raccapezzarsi nella confusione lasciata dai Ligresti. Io temo che la realtà sia meno machiavellica, ma, se possibile, peggiore.
In passato l’ho definito capitalismo di relazione, ma ora ritengo che sia offensivo nei confronti del capitalismo, quello vero. Preferisco chiamarlo comunismo societario. D’altronde una delle differenze sostanziali tra capitalismo e comunismo è chi prende le decisioni. In un sistema capitalistico sono i proprietari a scegliere e a subire le conseguenze economiche delle proprie scelte sbagliate. In un regime comunista le scelte economiche vengono fatte secondo una logica di potere e le conseguenze economiche di queste scelte non ricadono su chi le fa, ma sulla collettività. Si nomina la persona di cui ci si fida, la persona che non mette a rischio la posizione di potere di chi lo nomina. Questa è la logica che ha sempre prevalso in Mediobanca.
Unipol viene scelta non perché è la migliore opzione per gli azionisti di FonSai o quelli di Mediobanca, ma perché è la meno pericolosa per il sistema di potere di cui Mediobanca è al centro.
Unipol non viene scelta perché disposta a pagare di più gli azionisti, ma perché più disponibile a strapagare la famiglia Ligresti, dando a «ciascuno dei suoi componenti» (bimbi compresi?) un patto di non concorrenza della durata di cinque anni, in cui ognuno di loro riceve 7oomila euro all’anno per «non avvalersi dei loro consolidati rapporti con la rete agenziale e la clientela del gruppo FonSai», come recita la lettera di intenti di Unipol. Data la performance dimostrata dalla famiglia Ligresti io avrei offerto quella cifra a qualsiasi concorrente che li volesse assumere.
Questo comunismo societario ha potuto trionfare in Italia perché non c’erano le regole sulla trasparenza, concorrenza, e rispetto dei diritti degli azionisti di minoranza di cui un mercato ha bisogno.
Ben vengano le tanto attese (anche se troppo modeste) liberalizzazioni dei tassisti, dei farmacisti, e dei notai. Se l’Italia sta affondando, però, non è perché abbiamo due farmacie o tre taxi in meno. È perché i meccanismi di selezione della nostra classe dirigente sono distorti. Nel Far West privo di regole prevalevano i pistoleri più veloci, non i manager più capaci. Nell’Italia senza regole prevalgono i Gardini, i Ligresti, i… È l’incapacità di manager come questi a competere sui mercati internazionali che sta facendo affondare il nostro Paese.
È ora che Consob, Agcom, e governo agiscano.
Altrimenti hanno ragione i tassisti.
La Grande Truffa si tinge di bugie, di ipocrisie.
Questo governo è sostenuto, fondamentalmente, dagli interessi retrivi e reazionari della P2. Sentite che cosa risponde il ragionier robotico Mario Monti alla domanda elementare di Lilly Gruber che gli chiedeva se lui fosse massone “non so bene cosa sia la massoneria. Io so di certo di non essere massone e non saprei neanche come valutare o accorgermi se uno lo e’. In fin dei conti per una persona banale e concreta come me e’ un concetto un po’ evanescente“.
Sono contento che Mario Monti ci consenta legalmente di definirlo una “persona banale”. Concordo con lui, è ciò che è.
Per non dire di peggio.
Cito, inoltre, il commento di Gioele Magaldi, Maestro Venerabile del Grande Oriente Democratico, una loggia laica e libertaria della Massoneria italiana, rispetto a questa frase del nostro robot. La frase ha un suo peso perché proviene dall’interno della massoneria. E’ un fratello che si assume la responsabilità civile e politica di sbugiardare un altro fratello, e lo fa nel nome della necessaria pulizia etica di cui abbiamo tanto bisogno nel paese.
“Per ora ci limitiamo a registrare queste parole, riservandoci a breve un adeguato commento. In questa sede possiamo solo osservare che, dopo i Ministri che ricevevano in regalo appartamenti o viaggi a loro insaputa, adesso l’Italia ha un Premier che è MASSONE A SUA INSAPUTA…
Forse l’avranno consigliato di parlare così i Fratelli inglesi della City di Londra (“negare, sempre negare, anche di fronte all’evidenza”, come del resto suggeriva Licio Gelli ai fratelli piduisti, se colti con il sorcio in bocca e il nome in qualche lista) dai quali il Massone anglofilo Monti è appena andato a chiedere fraterno soccorso per il suo traballante percorso di statista”.Come dire, è andato a Londra, buttandosi in ginocchio, per vendere e svendere il patrimonio pubblico italiano, garantendo adeguata copertura grazie ad accordi compiacenti in borsa tra PD e PDL, tra Unipol e Ligresti.
Sulle spalle del popolo italiano.
Sulla pelle di tutti noi.
E poi vogliamo andare a votare dei lazzaroni vestiti a festa?
Fallimento Italia, c’è anche un decreto che lo annuncia.
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A volte ci si chiede come può uno stato fare fallimento, ma le risposte che si ottengono sono sostanzialmente due: chi dice che è impossibile e chi sostiene il contrario. Diciamo che è possibile quanto impossibile, ovvero uno stato che viene definito fallito non riesce pagare più i propri dipendenti, gli appalti e gli introiti che riceve non sono sufficiente a ripianare il debito delle spese correnti.
Tralasciamo gli interessi sul debito, in Italia abbiamo alcuni casi che sono sintomi di un fallimento imminente: 80 miliardi di euro che lo stato deve restituire a imprese e privati [alcuni politici hanno avuto a cuore questo problema ed hanno proposto di finanziare la restituzione parziale di 50 miliardi in 5 anni emettendo obbligazioni che gli italiani andrebbero a acquistare. Che genialata!). Nella realtà nessuno è in grado di dare una risposta del genere. considerando poi che abbiamo un bubbone che ogni anno si ingigantisce pari al patto di stabilità (MES) che prevede un esborso statale di 40 miliardi all’anno, se tutto va bene, poiché sappiamo che in Italia quando si prevede una spesa l’anno successivo è quasi raddoppiata.
A queste due piccoli problemi aggiungiamo la spesa pubblica di circa 800 miliardi che sono il 46,7% del PIL ed è rappresentata per quasi il 93% da stipendi dei dipendenti pubblici e dei servizi. (fonte: CGIA Mestre). Solo con un conto stupidissimo capiamo che una spesa annua di 890 miliardi è alla lunga insostenibile, poiché gli introiti basati sulle imposte dirette ed indirette non coprono certamente quanto lo stato (questo stato) spende. I nostri passati governi hanno sempre attuato una politica finanziari impositiva aumentando la tassazione fino a valore unici nel mondo: 70%! In queste condizioni, note a tutti, appare evidente che nessuna impresa è in grado di poter lavorare con la tranquillità che serve.
Solo nel veneto almeno 700 aziende sono delocalizzate in Carinzia dove la tassazione non supera il 25% e la burocrazia è praticamente assente. Hanno ragione? Direi di sì considerando la giungla di leggi, regolamenti e imposizioni che sono per lo più vessatorie contro quelle aziende che nel territorio hanno invece contribuito per anni al benessere della comunità.
A tutto questo che è molto poco rispetto a quello che si legge e che c’è nella realtà, abbiamo la ciliegina sulla torta. Infatti “è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 18 dicembre 2012 il decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze del 7 dicembre 2012, con il quale è stabilito che, a partire dal 1° gennaio 2013 (G.U. n. 294 del 18/12/12), le nuove emissioni di titoli di Stato aventi scadenza superiore ad un anno saranno soggette alle clausole di azione collettiva (CACs)” e tutto questo passato in totale silenzio dei media più blasonati, ma era più importante parlare delle puttanelle di Berlusconi o dell’arresto di Corona.
Cos’è il CACs? Null’altro che uno strumento che permette di cambiare le regole in corso d’opera per quelli che acquisteranno le obbligazioni di stato (BTP, CCT, BOT CTZ). In sostanza è la capacita di modificare interessi, tempi di scadenza qualora si presentasse la situazione che rendesse necessario la modifica. Come dire che lo stato può fallire. Ma come si legge lo stato è buono perché questo verrebbe applicato solo al 45% delle emissioni, ma sappiamo che iniziata una strada lo stato (questo stato) la completerà in brevissimo tempo.
In definitiva quindi lo stato prevede i suo fallimento perché previsto dal suddetto decreto, pertanto quando andate in banca e vi vogliono vendere qualche strumento finanziario alzate la soglia di attenzione e rifiutate quelle obbligazioni che siano soggette a questo decreto, oltre ovviamente a rifiutare anche quegli strumenti che la banca vi propone come suoi dato che in casa di fallimento della banca NON sono coperti dalla garanzia di stato.
La gente dice…