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London School of Economics: “Non rimarrà nulla dell’Italia”
Questo articolo da solo esprime nella migliore maniera il futuro del nostro paese fintanto che una “forza” non contrasterà questo declino ineluttabile.
Non c’è speranza se non quella di una lenta agonia e di un disastro sempre maggiore in tutti i settori.
London School of Economics: “Non rimarrà nulla dell’Italia”.
Italiani, svegliatevi dal torpore!!!
“Quando uno Stato dipende per il denaro dai banchieri, sono questi stessi e non i capi dello Stato che dirigono le cose. La mano che dà sta sopra a quella che prende. I finanzieri sono senza patriottismo e senza decoro”. (Napoleone Bonaparte)
A quando la italica rivoluzione?
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In questa Italia l’unico rimedio per salvaguardare l’esperienza acquisita nel corso degli anni è quella di chiudere baracca e burattini e andare a produrre in altre nazioni dove il peso fiscale, la burocrazia, ma soprattutto il malaffare, travestito ed impalmato dalla politica, non entri nell’attività aziendale.
Questo d fondo la spinta che animano molte aziende italiane costrette a spostare le loro attività fuori dall’Italia. Il peso fiscale italiano sulle attività commerciali ed industriali è arrivato oramai ad un livello talmente elevato che quelli che adesso aprono un’attività o sono degli eroi o degli sprovveduti. Sono propenso a credere che siano degli sprovveduti, poiché una persona con un minimo di esperienza e sale in zucca trarrebbe maggior guadagno a rimanere alla finestra anziché spendere denaro per ingrassare la bestia della spesa pubblica.
L’Indesit, antica e famosissima azienda di elettrodemestici italiana, sta chiudendo i battenti per andare a produrre in Polonia. Impossibile produrre in Italia. Gli esuberi sono migliaia e i parassiti politici si chiedono perché dovrebbe chiudere, forse la domanda seria è cosa ha spinto queste aziende a delocalizzare. Ma va da se che il parassita non chiede mai a se stesso se la sua presenza sia opportuna o meno, anzi la sua attività è quella di succhiare tutte le energie vitali senza la benché minima sensazione di provocare disastri.
In Italia abbiamo milioni di parassiti. Si pensi alla struttura politica e gestionale dello stato a Roma, e poi si scenda nelle regioni, nelle provincie e nei comuni, nelle comunità montane, nei consorzi, negli enti regionali di gestione del territorio, in quelli di amministrazione agricola, commerciale, industriale, artistico, museale, scolastico, universitario, sanitario: tutti parassiti pubblici, tutti stipendiati con le tasse delle aziende e del commercio italiano e con i denari che vengono drenati dalle attività del privato. Loro, i parassiti, non producono nulla, anzi usano la mano ferma della burocrazia per bloccare attività, impedire lo sviluppo.
Ma il problema non è la presenza di questo genere di parassiti, ma la loro gestione: sono inamovibili, illicenziabili, statici e se compiono dei misfatti non accade nulla, vengono spostati o promossi ad altri incarichi (Draghi, Cancellieri, Ciampi, ecc.ecc.): quanti giornalisti hanno cercato di seguire “il dopo” di quelle centinaia di dipendenti pubblici che frodavano lo stato?
Come pensiamo di migliorare con un cancro di siffatte dimensioni? Quasi 4 milioni di parassiti incistati nei diversi gangli del potere burocratico italiano che impediscono qualsiasi desiderio di sviluppo economico, culturale e sociale.
Zero assoluto! La bestia ingrassa sempre di più e per tale motivo è inamovibile.
Se poi a tutto questo ci aggiungiamo l’attività bancaria allora abbiamo fatto tombola!
Ma guardiamo da vicino alcune cose. La sicurezza del cittadino, per esempio. Abbiamo le forze dell’ordine che sono appiedate, senza pezzi di ricambio, con turni massacranti con un parco auto da paese sottosviluppato, i mezzi che lo stato destina alle forze non solo sono insufficienti, ma con i tagli imposti per la revisione della spesa, si è colpito proprio quei punti di salvaguardia per il cittadino stesso, e la malavita ringrazia!
Spostiamoci nel settore dei beni artistici, ma è solo un esempio ed ognuno di noi ne ha sicuramente altri da portare. Musei chiusi, musei sottodimensionati con la presenza del pubblico infima da cui tutti i musei pubblici d’Italia guadagnano meno del Louvre. E’ mai possibile che in Italia, la culla dei beni artistici con la più alta concentrazione culturale ed artistica del mondo i musei, abbia un introito più basso del Louvre? Chi è e chi sono i responsabili? Perché non vengono licenziati e messi a fare da usciere o a raccattare i mozziconi? Perché non pagano di tasca loro delle malefatte e dell’inefficienza procurata e del danno di immagine ed economico italiano? Da chi son coperti?
E’ solo un esempio, sia chiaro, e non è il massimo, poiché se volgiamo lo sguardo dell’industria basterebbe parlare dell’Ilva di Taranto e dei 40 mila dipendenti in tutta Italia che rischiano il posto di lavoro per la zelante attività di alcune persone della magistratura che dall’alto della loro posizione, incuranti delle sofferenze dei lavoratori, ma conniventi nelle attività illecite dell’Ilva in tanti anni (come mai non sono mai intervenuti in tanti anni ???), hanno l’ardire e la prepotenza di mettere sul lastrico migliaia di famiglie.
Questa è l’Italia che conta, quella del becero parassitismo, quel genere di parassitismo saudo-salafita, nello stile degli sgozzatori siriani che non distinguono il buono dal cattivo, ma scannano gole indifferenti. Ma nel caso dell’Ilva la prima cosa che anche i nostri politici – adesso – vanno sottolineando è l’inquinamento, caspita! L’Ilva inquina! Toh!
Adesso, giudici, GdF, Regione, Comuni e le varie Ong adesso scoprono che inquina, ma prima che tipo di attività stavano facendo quei parassiti? Essi sono colpevoli tanto l’Ilva per omissione di atti d’ufficio e così che tutti i responsabili, che in tanti anni non hanno mai controllato, dovrebbero pagare per lo stesso danno, anzi di più vista la loro veste pubblica.
L’Ilva è solo un piccolo pezzo dell’Italia, perché basta pensare al settore del commercio e a quello della piccola industria manifatturiera. Non parliamo delle grandi industrie che si sono volatilizzate al primo stormir di fronde, l’ultima delle quali la Fiat, ma di quelle che hanno costituito per decenni la struttura portante economica del nostro paese e che in poco più di 2/3 anni si sono assottigliate a scheletri vuoti, capannoni senza attività. Pensiamo al settore tessile, a quello del mobile, delle calzature, e a tutto l’indotto che solo questi settori producevano.
Ma questa Italia dovrebbe emergere dalla fogna nella quale siamo caduti? E come?
Stiamo vivendo in uno stato fallito, condotto da parassiti drogati per la sicurezza del loro posto di lavoro, mantenuto dal presidio sindacale incurante della vita della maggioranza degli italiani. Le premesse per uno scontro sociale ci sono tutte e chi ha il bastone del comando sta spingendo proprio in questo senso.
Un conoscente, impiegato nel pubblico (insegnante), ha già programmato le sue dovute ferie. A luglio farà 2 settimane in Puglia, ad agosto 10 giorni circa al sulla riviera adriatica e a fine agosto una settimana in Montagna (gli piace andare a funghi). Chiede: senti, che ne dici se ci organizziamo ed andiamo assieme a farci un giro in barca in Puglia? Silenzio di tomba del suo interlocutore che risponde: “Ma ti rendi conto che con le lune che ci sono se mi va bene potrò avere solo una settimana di ferie a casa?”. L’altro, il parassita,: “Ma dai! Cosa sarà mai!? Le ferie ti sono dovute, te le devono dare, mica puoi lavorare in eterno, no?!”.
Il parassita, e come questo ce ne sono a milioni, non può capire, non capirà mai fintanto che qualcuno e accadrà, non gli metterà un tizzone ardente nel posteriore. Non capisce ed è talmente ignavo della sua tracotante sfrontatezza da non alleviare e minimizzare la sua posizione di fronte alla tragedia quotidiana dal non saper che oltre ai suoi confini, garantiti da leggi parassite, ci sono milioni di persone che ogni giorno non saranno sicure di poter portare a casa il proprio cibo.
Ma se lo meritano i denari dallo stato le aziende creditrici?
Qualche settimana fa Bersani dichiarava che per sollevare le aziende a credito con le PA si sarebbe potuto emettere delle obbligazioni di stato per un valore di 10 miliardi all’anno per 5 anni. Boom!!! C’è da chiedersi se abbia mai fatto due conti della serva e abbia mai capito come funziona, almeno, un libro contabile: colonna dare e colonna avere. Ma Bersani non è un tecnico come il grande Monti, ma un uomo politico. Agli uomini a volte è permesso dire delle castronerie, mentre a chi fa politica la stupidità è peggio di qualsiasi altra cosa e Bersani in questo campo è veramente stupido.
Emettere delle obbligazioni a fronte di un debito delle PA significa in ultima analisi emettere altro debito, ma forse questo Bersani non lo sa, oppure lo sa eccome, e conscio dello sfascio e della stupidità degli italiani, si rende conto che tanto non cambia nulla e che alla fine paga pantalone. Che volete che siano 50 miliardi in più sul debito? Nulla, una goccia nel mare, dobbiamo preoccuparcene? Eppure ci sono stati milioni di persone che hanno votato questo personaggio, le sue idee e quelle che egli rappresenta in seno al partito che lo sostiene. Parliamo di 17 milioni di persone che la pensano come lui e come il suo partito. Cosa potremmo quindi contro proporre: beh, che le paghino questi 17 milioni di adepti al PD i 50 miliardi di debito delle PA alle aziende creditrici, vi pare? Alla fine sono poco più che 2900 euro a testa che distribuiti su 5 anni, come la proposta Bersani indica, sono solo 580 euro, che volete che siano per persone che hanno l’ardire di redistribuire sui restanti una proposta delinquenziale e truffaldina?
Ma il vero problema non sta tanto nella demenziale proposta di Bersani che riappare ancora in questi giorni e che sembra trovare molti “politicanti” favorevole. Infatti, da quello che legge, “la Commissione Ue ha concesso all’Italia la possibilità di emettere titoli pubblici speciali per far sì che le Pubbliche Amministrazioni saldino i propri debiti verso le imprese e fornitori.” Pare che Bersani abbia una corsia preferenziale a Bruxell visto quanto deciso dalla commissione europea o quanto meno si senta nell’autorità di decidere quanto ancora non è stato deciso visto lo stallo in cui ci troviamo. Ma l’Europa (le banche europee) chiede che vi sia un piano di rientro se mai dovesse prestarci questi denari (tecnicamente “un allentamento nel piano di stabilità”), ma anche in questo caso la nebbia fa da padrona. Mancano i dati certi e sopratutto non si sa con chi si avrà a che fare (anche questo Bersani non lo sa).
Il vero problema sta però e nella stragrande maggioranza delle aziende italiane che lavora per il pubblico e questo aspetto è ancora peggio di qualsiasi altro. Questo dovrebbe far pensare e mettere in dubbio le abilità dei nostri imprenditori, alle loro capacità di fare impresa se poi dietro alle spalle hanno un committente sempre pronto a fornire loro commesse ed attività. In ultima analisi quindi lo stato italiano, assistenziale, pone il grave dilemma della libera concorrenza, come la madre che tenta di staccare il proprio bimbo dalla tetta per evitare che con la crescita dei dentini non si spolpi anche la madre. Lo stato italiano appare nutrice, produttore di mammoni, figli di mammona, di beoti bamboccioni sempre alla ricerca del suggerimento, dell’attività in seno alla loro nutrice. E’ una situazione paradossale, senza via d’uscita, ma sopratutto a circolo vizioso che si autoalimenta. Lo stato senza gli intrallazzi con le potenti aziende che con lui lavora non esisterebbe, così come lo conosciamo, e le aziende non esisterebbero. Eppure è così! Nessuna o poche aziende ha il coraggio di ricorrere agli atti legali che le tutelano, preferiscono attendere, licenziare o magari suicidarsi pur di non colpire la loro madre nutrice. E’ assurdo, ma è la realtà.
Alcune aziende contattate, difronte alla domanda di ricorrere alle vie legali per rientrare del proprio credito, rispondono che una volta percorsa quella strada e vinta la causa dopo il lavoro mancherà, nessuno le metterà in condizioni di continuare, e nessuna associazione (Confindustria, Confartigianato, Confedilizia, Confcommercio) ha mai percorso la strada di una Class-Action nei confronti dello stato, ma quelle poche che hanno avuto l’ardire di fargli causa si trovano adesso senza lavoro e con personale licenziato, senza commesse.
Ha senso tutto questo?
Come pensiamo di poter essere un paese concorrenziale nei riguardi di altri europei quando al nostro interno abbiamo delle imprese che senza l’aiutino dello stato sarebbero uno zero assoluto! Come possiamo pensare in questo secolo con la prima economia mondiale (la Cina), la più grande in assoluto, per ora, che sta facendo balzi da gigante, di competere se non avessimo lo stato che ci assiste in ogni piega delle nostre attività produttive? Allora da questo scaturisce un altro ragionamento, perché lamentarci, perché chiedere insistentemente che lo stato paghi, quando in tempi migliori nessuno alzava la testa per farlo? Siamo tutti complici di un sistema che quando va bene tutti zitti. Ma adesso, con il lavoro che manca, con le tasse che hanno superato il 70%, con un’Europa che ha messo i cancelli alla nostra libertà di movimento, con le banche che stanno strangolando le aziende, gli imprenditori chiedono ossigeno, chiedono un aiuto manifesto al sistema che fino a ieri essi avevano sorretto. Possiamo biasimarli?
[Aggiornamento]
Però, pensiamoci su un istante, fino a ieri queste aziende erano conniventi con le attività che lo stato dava a loro da svolgere, fino a ieri queste aziende non si lamentavano dei ritardi nei pagamenti o negli accrediti per l’Iva versata, queste aziende accettavano scoperti anche di mesi ed anni e le banche, consce che il creditore è solvibile (lo stato), nicchiavano e pazientavano. Fino ad ieri queste aziende, con la connivenza dei manigoldi dei politici, lucravano di 100/200/300/500 % in più sulle commesse e tutti erano contenti: imprenditori manigoldi e politici assatanati (basta vedere la differenza tra preventivo e consuntivo di tutte le opere pubbliche costruite in questi ultimi 50 anni).
Il sistema, un certo sistema, ha capito che il vero tesoro non sono le opere pubbliche, perché alla fine bisogna rendere conto, ma gli investimenti finanzari: non si rischia quasi nulla, si splpa sicuramente e si getta la carcassa senza che vi sia nessun colpevole, anzi è sempre lo stesso: il cittadino.
A questo proposito giusto perché vi facciate un po’ di cultura di economia e finanza vi posto un video di un guru della finanza che non è un Krugman o Stiglitz, ma un tassista di Londra, incazzato come una belva, ma che in poche e colorite parole ha espresso il teorema sul quale si basa la follia che stiamo vivendo in questi ultimi anni e quelli prossimi a venire.
Chi si merita il nostro voto?
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Recentemente ho avuto modo di dare un’occhiata ai diversi simboli elettorali per capire quanti e chi fossero i concorrenti alla mensa italiana. Già! Perché non crederemo mica che questi bei tomi abbiano a cuore il nostro benessere! Loro unico scopo mangiare, mangiare e mangiare. Molti, in ritardo, si sono accorti che alla mensa italiana si mangia bene, è una nostra prerogativa la buona cucina, e a frotte come mosche sulla m***, si stanno guerreggiando per avere il boccone migliore.
Ebbene i simboli riscontrati sono 215 con sfumature che vanno dal grottesco al comico e dal penoso al ridicolo. Una piccola carrellata per capire:
Partito Pirata – Pace Pane e Lavoro – Pensionati e Invalidi Giovani Insieme – Sacro Romano Impero Liberale Cattolico-Giuristi del Sacro Romano – Democrazia Atea – Nuovo Psi – Partito Pirata – Noi consumatori liberi da Equitalia – Nuovo Psi Liberal socialisti – Lista civica nazionale IO NON VOTO – Donne per l’Italia – Recupero Maltolto – Partito Internettiano – Fare per fermare il declino – Angeli della Libertà – Fratellanza Donne – Partito comunista italiano marxista lininista – D.N.A. Democrazia Natura Amore – Mondo Anziani – No alla chiusura degli ospedali – Movimento Eudonna – Forza Roma – Forza Lazio – Io amo l’Italia – Movimento Bunga Bunga – Dimezziamo lo stipendio ai politici – Micro, il Movimento delle microimprese – Gay di Destra – Lista civica Militia Christi – Il veliero – Io cambio – Voto di astensione – Disoccupati per l’Italia – Movimento mamme del mondo.
Come notate sono tantissimi, dai nomi esotici e assurdi, ma tutti aspirano ad entrare in quell’ agoniato luogo dove ogni soppruso ed ogni velleità di potere ha la sua sublimazione: il parlamento e il senato.
Quousque tandem, Catilina, abutere patientia nostra?!
Era l’incipit con il quale Cicerone scagliava le sue accuse contro Catilina nelle Catilinarie, ma erano altri tempi e gli avversari venivano rapidamente eliminati. Nella realtà Catilina non era un pazzo e furioso come lo dipingeva Cicerone, ma un uomo dai tratti forti ed a volte feroci che aveva a cuore la lealtà e il rispetto per le genti dell’Impero. Tutti potevano votare per il senato, ma con l’obbligo di farlo a Roma. Catilina invece non era d’accordo e su questo impose la sua idea che le votazioni dovevano tenersi nei comuni sparsi nell’impero. La conseguenza di questa idea non era gradita al senato di Roma costituito per lo più da ricchi possidenti e patrizi di vecchia data che avrebbero visto svanire il loro potere se l’idea di Catilina avesse preso piede. Da qui le malversazioni, le diffamazioni, le trame, le accuse velate e poi sempre più aperte. Catilina era quindi l’elemento disgregante di quella costruzione clientelare che anche oggi abbiamo in Italia e le basi di questo le affermava dicendo che “La Repubblica ha due corpi: uno fragile (il senato), con una testa malferma; l’altro vigoroso (il popolo), ma senza testa affatto; non gli mancherà, finché vivo“.
Anni dopo la morte di Catilina leggiamo: Cicerone ammetterà che Catilina aveva raccolto attorno a sé «anche persone forti e buone», offriva «qualche stimolo all’attività e all’impegno», e che in certi momenti era sembrato a Cicerone perfino «un buon cittadino, appassionato ammiratore degli uomini migliori, amico sicuro e leale». Catilina, ammetterà ancora Cicerone, «era gaio, spavaldo, attorniato da uno stuolo di giovani»; per di più, «vi erano in quest’uomo caratteristiche singolari: la capacità di legare a sé l’animo di molti con l’amicizia, conservarseli con l’ossequio, far parte a tutti di ciò che aveva, prestar servigi a chiunque con il denaro, con le aderenze, con l’opera…»
Vedete qualche differenza con quanto accade adesso? Anche in questi tempi abbiamo due corpi e una testa sola, quella del ciarpame politico che si arroga il diritto di governare senza averne la capacità di farlo. Un popolo, senza testa e senza spirito, totalmente avulso dai grandi progetti e dalle grandi idee, più chino ai problemi minuti del quotidiano che ad una visione più ampia della casa in cui vive.
Euro irreversibile o bancarotta annunciata del sistema bancario?
Oggi 6 settembre 2012 ennesima iniezione di cocaina bancaria.
Mario Draghi ha infatti prodotto quello che, secondo le sue parole sarebbe, la maniera migliore per salvare l’area euro, perché come dice lui stesso, l’euro è irreversibile, mentre sappiamo che l’irreversibilità, date le condizioni restrittive dei vari trattati e delle condizioni vessatorie del Fondo Monetario Internazionale, è la situazione economica nazionale ed internazionale.
A questo e con rispetto riporto un interessante ed illuminante articolo di Chicago.blog:
Quando la BCE tra il mese di luglio 2011 e il mese di febbraio 2012 ha immesso nel sistema bancario europeo 1,3 trilioni di euro (in soli nove mesi!) per soccorrere il sistema bancario (espandendo così il suo bilancio a tre trilioni, una cifra ben superiore al PIL tedesco) avrebbe dovuto essere chiaro che l’estrema gravità della crisi europea non solo era di molto superiore a quella di cui i leader europei parlavano, ma che fino ad allora avevano mentito sulla reale esposizione dei paesi membri che ha reso la crisi irreversibile. Non è l’euro ad essere irreversibile come dice il governatore della BCE, ma la sua crisi.
Ancora oggi la reale ampiezza della voragine che si è spalancata nell’eurozona ci è ignota e solo la “liquidazione” del sistema potrebbe fare emergere la verità.
Si consideri ad esempio la crisi della Grecia iniziata nel 2010 e dopo ben due anni rimasta irrisolta. Questo paese rappresenta appena il 2% dell’economia europea e si sta facendo di tutto per ritardarne l’uscita dalla eurozona. Il vero motivo? Per gli analisti che hanno ben scavato nei bilanci, la reale esposizione greca verso i paesi membri, è di oltre 1 trilione. Ecco il motivo per cui l’Europa continua a erogarle denaro nonostante sia in bancarotta completa e non abbia ottemperato a nessuna delle misure fiscali richieste. Si temono le ripercussioni della sua uscita su un sistema bancario già barcollante.
Nel 2012 è poi esplosa la crisi della Spagna che ha riguardato contemporaneamente il sistema bancario e il debito sovrano. Nel giro di appena un week end si è cercato di tamponare la falla, ma poi ci si è accorti che era un’altra voragine che faceva anche di questo paese un problema europeo: Tutto il sistema bancario è seduto infatti su una polveriera: il mercato del debito spagnolo, pari a €2.1 trilioni. L’Europa funziona così: quando i paesi emettono debito questo viene immediatamente acquistato dal sistema bancario e parcheggiato nei bilanci come “senior asset”, cioè come attivo a basso rischio (!). Le banche quindi concedono prestiti a terzi e fanno colossali operazioni di investimento a fronte di questo attivo. In caso di default della Spagna gli attivi a copertura del portafoglio investimenti andrebbero quindi immediatamente in fumo e i tassi di interesse salirebbero alle stelle facendo crollare tutto il sistema europeo. E accenniamo solo di sfuggita a ciò che accadrebbe al mercato dei derivati basati sui tassi di interesse preesistenti. Molto probabilmente Wall Street verrebbe chiusa per qualche tempo. Insomma la Spagna, come la Grecia, rimane un grave problema irrisolto.
Se l’Italia naviga in difficoltà non godono buona salute neppure Francia e Germania il cui debito rispetto al PIL è ormai al 90%, un livello che di solito fa scattare il declassamento di un paese da parte delle agenzie di rating.
Eppure, nonostante questa realtà, il governatore della Banca Centrale, Mario Draghi, ostenta sicurezza facendo intendere di avere sotto controllo la situazione e di poter risolvere tutti i problemi. Noi, invece, crediamo che l’euro sia in coma irreversibile e che quindi the game is over. In altri termini non esiste nessuna strategia politica e finanziaria credibile che possa salvare l’eurozona.
Proviamo infatti ad analizzare le opzioni di salvataggio e la loro plausibilità concentrandoci soprattutto sulle due entità portanti dell’eurozona la BCE e la Germania a fronte dei meccanismi di salvataggio come l’EFSF, l’EMS e il FMI.
BCE. Molti credono che la soluzione sia una banca centrale europea che operari come l’omologa statunitense acquistando su larga scala i titoli di debito pubblico in cambio di denaro di nuova creazione. Ma si sbagliano di grosso se credono alla percorribilità concreta di questa opzione. Primo, Mario Draghi ha detto con chiarezza che la banca centrale potrebbe intervenire solo in caso che i paesi bisognosi rispettino le misure di austerità, mandino ad effetto le riforme strutturali e cedano sovranità (quanta?) al governo di Bruxelles. Se queste sono le condizioni poste dal Governatore, pensiamo che non si realizzeranno mai, soprattutto l’ultima (terrificante): la cessione di sovranità al governo di Bruxelles. Ergo la BCE non acquisterà direttamente titoli di debito dai paesi membri. E se anche lo volesse fare avrebbe il veto della Germania che vede in questa operazione il rischio di una iperinflazione.
Secondo. Non bisogna dimenticare che la crisi europea non è di liquidità ma di insolvenza, aka di capitale. Nel primo caso l’acquisto di bond in cambio di denaro fresco (cash for trash) potrebbe temporaneamente alleviare le difficoltà del sistema bancario che, ufficialmente, ha una leva finanziaria di 26 a 1. Ciò significa che ogni 26 euro del suo attivo (prestiti erogati a terzi) sono garantiti da appena 1 euro di capitale. Quindi, con una leva così alta, basterebbe un ribasso dell’attivo di appena il 3,8% (ad es. per perdite su crediti o diminuzione delle quotazioni dei titoli) per azzerare il loro capitale. In realtà la precarietà del sistema è ancora più acuta se si pensa che la leva finanziaria è in molti casi è superiore, cioè di 30 a 1, di 50 a 1 o addirittura di 100 a 1 come nel caso delle banche francesi (quando la Lehman Brothers è fallita aveva una leva finanziaria di 30,7 a 1). In una situazione di scarsa liquidità sostituire titoli con contante alle banche farebbe comodo. Tuttavia poiché la crisi di liquidità deriva dalla crisi di insolvenza, l’operazione cash for trash sarebbe controproducente perché rimuoverebbe dall’attivo delle banche i titoli che, come abbiamo accennato più sopra, rappresentano il collaterale per ottenere prestiti e per effettuare investimenti. E le banche hanno bisogno disperato di “attivo”. Terzo. Tecnicamente la BCE potrebbe acquistare, come nel passato, direttamente titoli sul mercato, ma questa iniziativa è stata abbandonata da quattro mesi appunto perché la Germania (e la Bundesbank) si è opposta e continua ad opporvisi. E’ chiaro che la BCE non può muoversi in autonomia ma deve aver l’assenso della Germania perché senza questo paese l’euro cesserebbe di esistere. Inoltre non ci si dimentichi che quando nel 2011 la BCE acquistò debito sovrano non risolse alcun problema e perse il controllo del mercato del debito. Infine, oltre il 25% del suo bilancio è già costituito dal debito dei PIIGS e aumentare questo attivo (aka spazzatura) metterebbe a rischio la sua stessa solvibilità.
Allora la BCE potrebbe acquistare il debito di concerto con l’EFSF e l’ESM. Ma anche questa opzione è problematica. L’EFSF dopo il primo salvataggio spagnolo (100 miliardi) è rimasto con una debolissima potenza di fuoco, appena 65 miliardi di euro. Quanto al nuovo fondo ESM di 700 miliardi non è stato ancora ratificato. Che sia ratificato o meno il 12 settembre prossimo dalla corte costituzionale tedesca ha poca importanza sostanziale; la ratifica potrà solo protrarre lo stato comatoso della moneta unica. Infatti, se il fondo fosse approvato Spagna ed Italia dovrebbero contribuirvi al 30% per…salvare se stesse! Il che sarebbe veramente grottesco. Ma supponiamo che questi paesi siano esentati dal contribuirvi. In tal caso il peso del finanziamento (il 66%) del fondo ricadrebbe su Francia e Germania. Ma entrambe non hanno questa disponibilità finanziaria. E anche se l’avessero, mettendola a disposizione dei paesi periferici verrebbero immediatamente declassate dalle agenzie di rating. Il problema potrebbe essere superato facendo acquistare dall’ESM i bond. Ma anche questa opzione è impossibile: il ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schauble è stato chiaro: L’ESM non sarà mai autorizzato ad acquistarli.
Allora quali altre misure resterebbero alla BCE per sostenere l’euro? Potrebbe lanciare il terzo LTRO (il quantitative easing in versione europea) cioè prestare direttamente un altro trilione (o altri due?) al sistema bancario perché acquisti il debito che la banca centrale non può acquistare direttamente. Ma l’effetto di questa operazione sarebbe lo stesso dei LTRO 1 e 2 precedenti: abbassare il valore dei bond, ridurre il valore dell’attivo delle banche, fare aumentare i rendimenti, cioè i tassi di interesse e rendere così ancora più costoso l’indebitamento nell’eurozona. Tutte le opzioni in mano alla BCE portano ad un circolo vizioso ritorcendosi sempre contro l’euro.
Conclusione: la BCE non può migliorare la situazione ma peggiorarla. La crisi infatti, lo ripetiamo, non è finanziaria ma economica e di insolvenza e acquisti di bond e monetizzazione del debito non possono nulla a fronte di un economia che non produce correnti di reddito sufficienti (la vera fonte del credito e della potenza di fuoco finanziaria) per ripianare perdite e debiti esponenziali.
Germania. E’, insieme alla BCE l’elemento chiave dell’eurozona. Ma come abbiamo già accennato il peso del suo debito sul PIL sta raggiungendo livelli preoccupanti (90%) e in corrispondenza dei quali la solvibilità di una nazione può venir messa in discussione. Inoltre bisogna ricordare che ha un’esposizione verso la UE di un trilione di euro pari al 30% del suo PIL erogato attraverso i vari meccanismi di salvataggio dei PIIGS. La Germania ha ormai esaurito le sue cartucce. Escludendo ormai completamente la soluzione degli eurobond a cui la Merkel ha opposto un irrevocabile nein, potenzialmente la Germania potrebbe salvare l’eurozona con l’aiuto della BCE accettando, in una forma o nell’altra, di monetizzare tutto il debito. Ma abbiamo già visto che questo è impossibile. Il prossimo anno il cancelliere tedesco deve affrontare l’elezioni e sa che la monetizzazione del debito potrebbe scatenare un’inflazione e danneggiare l’economia tedesca sulla quale l’agenzia Moody non fa rosee previsioni. Se la Germania perdesse lo status di tripla A sarebbe la fine immediata dell’eurozona, senza esitazioni. Il popolo tedesco già contrario ai salvataggi europei non tollererebbe mai un downgrade del merito del credito per il proprio paese. La Merkel impossibilitata ad aiutare i suoi partner europei può solo aggrapparsi alla speranza che i programmi di austerità e di riforme in corso negli altri paesi inneschino una ripresa e che l’export del suo paese non rallenti. Ma anche questa è un’ illusione. Le misure di austerità in atto nei paesi partner (per il modo in cui sono intese e realizzate) danneggeranno anche il suo paese. La Germania comunque insieme ad altri paesi come la Finlandia ha un piano di emergenza per l’eventuale uscita dall’euro.
Per quanto riguarda, infine il Fondo Monetario Internazionale rimarrà passivo per qualche tempo. Anche negli USA le elezioni sono imminenti ed Obama non si accollerà il rischio di un intervento che comporterebbe più tasse a carico dei contribuenti americani.
Game is over. Quattro mesi scrivemmo (Breve Profilo del Caos) che l’eurozona era un morto vivente e anticipavamo l’analisi che abbiamo qui solo dettagliato un po’ di più. Nulla è cambiato da allora e non è emersa alcuna opzione concreta che possa migliorare la situazione. I piani finanziari passati e quelli da attuare in prospettiva sono da Fannie Mae e Freddie Mac: disastrosi. La fine dell’esperimento dell’euro può non essere imminente. Ma è inevitabile. Non sarà assolutamente la fine dell’Europa che deve restare area di libero scambio, ma la fine di un sistema che non rende possibile la crescita economica e crea irresponsabilità, apatia e dipendenza dei paesi deboli dai paesi forti. La fine sarà dolorosa ma molto meno di quanto si pensi. Il suo mantenimento in stato di coma sarà altresì doloroso ma molto peggio di quanto si creda.
Condanna: vietato uscire dall’Euro!
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Forse non ce ne siamo accorti, ma nei vari trattati NON è previsto che un paese se ne esca impunemente dall’area euro senza pagare dazio. No! Non è possibile, non è previsto e non se ne parla nemmeno e il caso della Grecia dovrebbe far pensare anche ai più recalcitranti.
Dobbiamo quindi capire perché non è possibile uscire dall’euro.
Cosa accadrebbe veramente? Oltre alle solite nenie catastrofiste di una iper-svalutazione delle monete nazionali, quello che hanno guadagnato per gli eurocrati, da Monnet a Delors, da Padoa Schioppa a Mario Monti e Draghi, l’euro non è stato un fine in sè; la moneta unica doveva, nel loro disegni, distruggere le nazioni e le sovranità nazionali.
Più volte abbiamo sentito parlare Monti che l’Italia e le nazione europee devono cedere parte della loro sovranità all’Europa, al tecnicismo eurocratico fondato solo sulle complesse ed impopolari manovre contro il popolo europeo e contro le nazioni europee. Ma il capo-tecnico è talmente falso che, in vista di eventuali capovolgimenti, annuncia che “ci sono tre Paesi europei che hanno dovuto cedere pezzi di sovranita’ nazionale; poiche’ e’ l’ultima cosa che augurerei all’Italia, perche’ avrebbe conseguenze incalcolabili, e’ la prima cosa contro cui mi sono battuto“. Possiamo fidarci di uno così? Qual’ la pena per un bugiardo? Forse, secondo le regole del sionismo ebraico più intransigente e illiberale che questi eurocratici feticciamente perseguono, dovrebbero essere puniti secondo la Mishnà, … l’uccisione del condannato tramite colata di piombo: si mette un sudar, (telo, sciarpa) duro in uno morbido e si avvolge il collo del condannato. Due boia tirano i due lembi di questa sciarpa, uno da una parte e uno in senso contrario, finché il condannato, sul punto di soffocare, apre la bocca. A questo punto un terzo boia versa nei suoi visceri piombo fuso.”(napoli.indymedia)
Già il cane da guardia della BCE, disse che il trattato di Vestfalia è storia passata, che la storia dell’Europa deve vedere un insieme di popoli (ma non nazioni) uniti per un unico scopo. Draghi per contro si è dimenticato di definire le regole politiche, sociali, economiche, legali e legislative dell’Europa, mentre ha subito evidenziato quali debbono essere le regole economiche e finanziarie. Si sa infatti che lui, come tutti gli altri eurocrati della Commissione Europea, non rispondono a nessun governo nazionale ed ogni scelta è slegata dalle politiche nazionali comuni, ma sono finalizzate al benessere finanziario e bancario.
La Grecia è quindi arrivata ad un bivio pericolosissimo per la stabilità delle banche e della finanza europea e per le economie dei popoli dell’Europa. La scelta è stata quindi un laido compromesso che metterà alla fame ancor più milioni di persone senza pietà. Non importa se a soffrire ci saranno bambini, se i vecchi moriranno d’inedia negli ospizi per mancanza di cure o di cibo, bisogna salvare l’euro, gli usurai della moneta unica, i rapaci saprofiti delle debolezze europee e della teutonica politica. Qualsiasi mezzo è utile al fine di mettere al riparo i grandi gruppi bancari e non ci meraviglierà scoprire un giorno il prezzo con cui i politici greci di Nea Democratia e di Syriza avranno venduto il loro popolo per una manciata di denari.
Viva la Fornero?
Cosa ha detto la Fornero da creare scandalo?
Anche nella Pubblica Amministrazione si dovrebbe poter licenziare.
Aggiungo, e lo suggerisco alla Fornero, che si deve licenziare nella pubblica amministrazione, tagliare i diritti dei cosiddetti versamenti facciali per l’inps, eliminare quella sottospecie di parassiti che si annidano nella struttura pubblica snellendola, rendendola più efficace e produttiva, al servizio della collettività, e facendola lavorare 24 ore su 24 soprattutto nei settori di maggiore interesse pubblico: sanità, giustizia, opere pubbliche.
Solo in questo caso allora potremmo dire di aver fatto la quadratura del cerchio.
E’ scandalosa una affermazione del genere per tutti gli altri lavoratori che ogni giorno si vedono messi sulla strada?
Non trovo che non ci sia nulla di scandaloso, anzi è il raggiungimento di una parità di diritti che sulla carta sembrano allinearsi a quella del settore privato. Perché scandalizzarsi? Beh, un motivo c’è ed è quello sindacale che vedrebbe le tre confederazioni, se mai avesse luogo un provvedimento del genere, perdere moltissimi dei milioni di euro che i dipendenti pubblici lasciano nelle tasche dei tre moschettieri.
Avete capito perché la prima a lamentarsi è stata la CGIL? E’ la maggiore forza sindacale in Italia e quella che tiene banco nelle trattative ed anche quella che drena la maggiore quantità di miliardi di euro e di mollare l’osso non ne vuol sapere!
Ed invece, a mio giudizio, sempre che non ci sia la solita battutaccia demagogica per far contento una certa parte di popolazione, se mai arrivassimo alla parificazione dei diritti lo Stato italiano, se condotto cum grano salis potrebbe risparmiare qualche decina di miliardi all’anno.
Il vero problema è che questi denari risparmiati non ricadrebbero nell’economia reale, ma andrebbero a finanziare il fondo salva-stati dell’Unione Europe (Efsf) o il Fiscal Compact e pertanto nessuno ne vedrebbe il beneficio, anzi, conoscendo l’andazzo italiano, avremmo servizi sempre più scadenti scusati dalla diradazione del personale licenziato.
La Grecia si prepara ad uscire, e dopo?
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Ieri la borsa italiana s’è sparato un bel +3,41%, oggi per contro sta perdendo oltre il 3%.
Mica male il nostro sistema borsistico, anzi correggiamo, il nostro casinò. Già, perché per quelli che ancora non lo avessero capito le attuali quotazioni di borsa non servono più a seguire i mercati dell’economia reale, ma sono solo usate come semplici fische da usare sul tavolo da gioco dei vari mercati.
L’economia reale per contro appare sempre più stagnante e l’indice di fiducia dei consumatori (CCI) è un esempio eclatante di come la massa che consuma percepisce il mercato:
Valori così bassi indicano chiaramente che non c’è spazio per l’immaginazione e che i consumatori – le vacche da spremere – hanno tirato fuori la testa dalla sabbia e si sono accorti che un toro di dimensioni galattiche sta correndo all’impazzata per “incornarle” sul posteriore.
Cosa ci dice questo indice? Che i consumatori, visti i vari provvedimenti in corso di attuazione e già approvati, non hanno più voglia di spendere denaro per cose di cui non ne sente la necessità e preferiscono rimanere in attesa di una definizione degli eventi futuri.
Così abbiamo imprenditori che licenziano, aziende che non investono, banche che hanno stretto la borsa dei mutui e dei fidi, gente comune che non compera nulla o strettamente quel che è necessario. Siamo in guerra e questa è l’esatta immagine di ciò che andremo a subire.
Il quadretto, detto così stringatamente, è chiaro anche ai non addetti ai lavori, ma non lo è per quelli che nell’attuale governo e in quelli passati ci hanno sguazzato ricavandone guadagni spropositati, illegali e fuori da ogni controllo. Non parliamo solo del mondo del sommerso, del nero o di quello propriamente illegale, ma soprattutto e specificatamente di quello in giacca e cravatta che popola e si annida nei palazzi del potere, ovvero del mondo politico, sindacale e pubblico.
In questa situazione nessuno di quelli è stato mai in grado di correggere, di smuovere, di cambiare alcun ché e nemmeno Grillo ci riuscirà, perché appena entrerà nelle maglie della politica appiccicosa, anche lui e i suoi rappresentanti ne saranno fagocitati.
I più furbi hanno già delocalizzato, non solo le loro aziende che in Italia trovavano un fisco assetato di tasse (75% di tassazione diretta ed indiretta), ma anche i semplici privati, quelli che ancora sanno come agire e come comportarsi in questi momenti. Hanno portato denari, i loro risparmi, all’estero, hanno diversificato i loro risparmi in monete più forti, hanno anche acquistato immobili in luoghi in cui il valore immobiliare non è stato pompato come in Italia. Insomma hanno messo in parcheggi sicuri, per ora, i loro denari. Possiamo chiamarli stupidi, evasori oppure possiamo dire che si sono comportati come un buon padre di famiglia? Agli altri, a quelli che pensano che tutto andrà bene, che alla fine le cose si sistemano, non rimane che attendere e verificare, giorno dopo giorno, i brandelli di carne che verranno tolti dalla nostra pelle per accontentare una banda di criminali.
L’anno scorso il debito italiano era così composto:
L’estero deteneva il 44% e gli italiani il 56%, oggi, da quel che si legge, c’è stata una ulteriore fuga di capitali dalla nostra penisola e non solo nel settore delle economie reali. La agenzia di rating Fitch infatti fa notare che “la quota di debito italiano in mano agli investitori esteri è scesa al 32% dal 50% del 2008 e continua a calare anche se a ritmo più lento. Questa fuga, iniziata nel terzo trimestre del 2011, e che a ritmo ridotto prosegue e coinvolge anche la Spagna, è stata compensata dalle iniezioni di liquidità della Bce.” Appunto, è stata compensata a spese del contribuente europeo che ha pagato aiutando le banche a mantenersi a galla, contrariamente a quello che invece non fanno: dare liquidità al mondo del lavoro.
E’ logico quindi aspettarsi che in un momento del genere si cominci a scalpitare su cosa fare, come comportarsi e come controbattere ad un evento NON previsto dall’unione monetaria europea. La Germania, indifferente, afferma che l’Europa può andare avanti anche senza la Grecia, ma molti altri del gruppo di lavoro dell’EWS avvisano che ogni paese deve avere un piano B di emergenza nel caso la Grecia dicesse addio all’Europa. Della stessa opinione, ma più chiara il capo del FMI che “C’è il rischio di contaminazione da un membro isolato agli altri membri della zona, che vogliono rimanerci e che fanno tutto quello che devono fare“, cioè: attenti perché una volta che la Grecia se ne sarà andata anche gli altri paesi prenderanno la stessa strada e sappiamo che in una ragnatela interconnessa come quella dei debiti nazionali vorrebbe dire la catastrofe dell’intero sistema finanziario.
Il sistema finanziario in questione (derivati vari e sistemi da biscazzieri) è arrivato a cifre da capogiro, tanto elevate che a scriverle appare ancor più difficile. Si parla di 1.200 trilioni di dollari, ovvero 1.200.000.000.000.000 miliardi di dollari, 20 volte il pil mondiale. Siamo arrivati, ma non ancora, a quando si era ragazzi e si facevano le partite a carte scimmiottando i grandi.
Non ci rimane che piangere.
Disoccupazione Giovanile…
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Ammettiamolo, sentire certi dati fa venire la pelle d’oca: disoccupazione giovanile oltre il 35% (dati Istat). Per disoccupazione giovanile si intendono quelle persone attive che cercano lavoro, ma non impiegate. Il dato è certamente preoccupante, ma allo stesso tempo appare un pochino fuorviante.
L’Istat dichiara che le sue analisi vengono raccolte intervistando ogni trimestre un campione di quasi 77 mila famiglie, pari a 175 mila individui residenti in Italia. Ora 175 mila persone su una popolazione di circa 60 milioni mi sembra che non possano considerarsi un campione sufficiente per stabilire la media dell’intera popolazione visto che il campione rappresenta appena il 0,002916 % dell’intera popolazione. Probabile che con il nuovo censimento, appena concluso, i dati potrebbero differire, staremo a vedere.
Altra considerazione che salta subito agli occhi è l’età di riferimento: 14-24 anni.
Il Ministero del Lavoro e della previdenza sociale con la nota 20 luglio 2007, n. 9799. riporta quanto segue: L’eta’ per l’accesso al lavoro e’ conseguentemente elevata da quindici a sedici anni.(art. 1, comma 622, della Legge Finanziaria 2007). Allo stesso tempo l’INPS ricorda quanto segue: dal 1° settembre 2007 decorre anche l’innalzamento a 16 anni dell’età di ingresso al lavoro per i minori. L’agenzia del Lavoro di Trento riporta: …l’età minima di ammissione al lavoro dipendente, e quindi di iscrizione al Centro per l’impiego, è stabilita attualmente in 16 anni.
Se le notizie sopra riportate sono vere, ovvero se le dichiarazioni dell’INPS, del Ministero del Lavoro e dell’Agenzia del Lavoro di Trento non sono false andrebbero esclusi quegli individui dai 14 ai 15 anni. (in totale 1.125.344 persone)
La popolazione tra i 14 e 24 anni secondo l’Istat è di 6.632.175 di individui dei quali 562.942 di 14 anni e 562.402 di 15 anni pari a 1.125.344, ovvero il 16,97% % della popolazione esaminata nella fascia d’età tra i 14 e 24 anni. Il dato quindi enunciato sulla disoccupazione, solo sui numeri, dovrebbe essere rivisto al ribasso e se poi aggiungiamo un’altra variabile le cose cominciano a complicarsi.
La variabile è l’effettiva ricerca di lavoro dei ragazzi tra i 14 e 24 anni. Ne siamo veramente sicuri che questi ragazzi cerchino lavoro per sistemarsi il loro futuro? Io ho qualche dubbio primo perché a 14 anni non c’è la testa, secondo perché l’unica cosa che interessa in quella fascia d’età non è certamente la sistemazione pensionistica, ma molto più probabilmente le attività di socializzazione, il sesso, le amiche, i prodotti alla moda, i ritrovati tecnologici e tante altre mistificazioni che spingono il giovane a spendere senza coscienza.
La domanda che sorge è quindi la liceità di queste statistiche: a chi servono e perché si insiste così tanto sulla disoccupazione giovanile? Quale è il vero scopo di queste indagini?
Senza trovare risposta penso che un piccolo test sarebbe – in piccolo – più realistico se si provasse a rispondere ad alcune domande come ad esempio:
- A quanti anni hai iniziato a lavorare?
- Hai cercato lavoro attivamente appena compiuti 14 anni?
- I tuoi genitori ti danno una paga settimanale?
- Ti interessa lavorare per il tuo futuro?
- Cosa compreresti con la tua prima paga?
- Sei disposto a lavorare per 8/9 ore di fila con una pausa di 30 minuti?
Non sono certamente significative, ma con molta probabilità potrebbero dare uno spaccato realistico del vero mondo del lavoro giovanile.
La gente dice…