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Schiavitù o zelante lavoratore: dove andremo?
Il punto, sul quale credo opportuno focalizzare gli sforzi, è la crescita esponenziale della popolazione mondiale. I sistemi tecnologici, i “progressi” della scienza e della medicina e un determinato benessere sparso tra le popolazioni suppongo siano, in parte, la causa di questo aumento della popolazione mondiale.
Le domande che mi pongo sono semplici: possiamo sopportare una pressione antropica così schiacciante? Abbiamo risorse sufficienti per poter sfamare tutti senza che vi siano sacche di miseria? Fino a quando la terra è in grado di accettare la nostra azione di sfruttamento?
Credo che siano domande lecite e non vengono sicuramente da un filo globalista, ma da una persona che ha sempre trovato nella natura i suggerimenti anche per il governo delle società. Non dimentichiamo, per esempio, che le invasioni barbariche sono avvenute per lo più a causa delle cattive condizioni climatiche del nord che spinsero gli abitanti a cercare aree più fertili e calde del sud Europa.
Sappiamo però che una grande fetta della popolazione mondiale non sfrutta le risorse della terra e non ne beneficia, vivendo sotto la soglia di sussistenza. In tutte le parti del globo abbiamo esempi mostruosi e non c’è terra che abbia gruppi sociali non integrati e condividenti il benessere dei pochi che li governano. Anche in Italia ne esistono purtroppo!
Ma fino a che punto è possibile sopportare questa situazione, ovvero possiamo continuare illimitatamente ad usare le risorse che la natura ci mette a disposizione?
Le questioni sono pertanto irrisolvibili sul piano pratico per l’incapacità dei governi di attuare una politica comune e non intendo un governo comune, ma politica comune nel rispetto delle tradizioni e culture locali.
Dall’uomo delle caverne fino a 150 anni fa l’energia dell’uomo era costituita dal legname, carbone e dalla forza degli animali e dall’ingegno dell’uomo stesso che riusciva a sfruttare ciò che la natura gli dava, ma sappiamo, per esempio, che l’impero romano e come lui anche quelli più antichi, hanno desertificato buona parte dell’Africa settentrionale per costruire navi, case e tutto quanto il necessario per la loro vita. Lo stesso accadde anche in Italia e quella che era un giardino del sud, la Sicilia, la Calabria e le Puglie, venne trasformato, in un’isola carica di siccità. Lo stesso accadde nei Balcani, in buona parte della Spagna e nel sud della Francia. Le società di quel tempo utilizzavano ciò che la natura aveva e l’ignoranza e la cupidigia portarono ai pessimi risultati agricoli nel corso dei secoli fino a ridurre intere parti europee a lande desertiche prive di acqua e di animali. Solo con la caduta dell’impero romano e fino agli albori del 1000 l’intera pianura padana e buona parte del mondo romanizzato si vedeva ripopolato di vegetali, animali che nei secoli precedenti erano quasi scomparsi.
In questi ultimi 150 anni, che sono una frazione piccolissima rispetto alla vita dell’uomo, c’è stato un rovesciamento dei paradigmi, soprattutto negli ultimi 80 anni. Nel mondo occidentale, quello più “civilizzato”, la cultura, gli studi, il potere delle armi e dell’egoismo umano, hanno permesso di raggiungere livelli di sfruttamento naturale inimmaginabili fino alla metà dell’800. Tutte queste scoperte hanno permesso all’uomo “civile” di attuare delle politiche sociali in cui il potere, saldo in pochi individui, ha erogato alle classi meno abbienti, con molta attenzione, parte del benessere acquisito. A questo proposito è bene fare mente locale alla riforma luterana-calvinista che tra l’inizio del ‘500 e l’800 ha depauperato completamente il patrimonio della chiesa cattolica sottraendone il dominio e “regalando” le terre sottratte a famiglie e corporazioni invise alla chiesa e creando al contempo le basi dei futuri disastri di cui ancora oggi ne raccogliamo le conseguenze.
L’occidente oggi ha una vita che non è paragonabile a quella di soli 50/60 anni fa. Nessun giovane odierno saprebbe adattarsi, se non perché imposto, alla vita degli anni 50 o a quella degli anni 30: pensiamo solo alla medicina, ai mezzi di trasporto, alle comunicazioni, ai cibi, ai rapporti umani, alle regole di un tempo diverse da quelle di adesso. Quale giovane e non solo, accetterebbe una passeggiata nel parco della città con una ragazza in compagnia della sorella di questa o della zia che la controlla? Oppure chi attenderebbe, mancando il telefono, una risposta ad una lettera per più di 1 settimana visti gli attuali mezzi di oggi? Tutto cambia, dicono gli orientali, ma lo dice a anche la natura, nessuna cosa rimane immutabile.
Ma tutto questo è funzione dell’energia, che oggi sfruttiamo con il petrolio o suoi derivati e con il gas, ma fino a quando? In Cina ci sono 1,5 miliardi di persone e solo pochi, per ora, sfruttano il benessere indotto o voluto: le stime parlano di soli 150/200 milioni. In India oltre il 50% non ha luce, acqua e gas e vive come noi vivevamo 300 anni fa. Lo stesso dicasi per l’Africa, per l’Indocina e per buona parte delle nuove repubbliche ex sovietiche.
Un furbastro malfattore direbbe che se hanno vissuto fino ad ora con poco potrebbero continuare a farlo in futuro, sono abituati ad avere poco. Ma non è vero in assoluto, perché è carattere dell’uomo cercare il proprio benessere, per la propria famiglia e per le generazioni future: tutto cambia!
La questione offre quindi spunti di pensiero che lasciano il vuoto ad alcune domande e non entro nei particolari, ad esempio: come possiamo aiutare queste popolazioni a vivere la loro vita dignitosamente senza per questo ridurci ad una vita peggiore della loro attuale? Come possiamo promuovere uno sviluppo dei nuclei famigliari, dell’istruzione, della sanità se ogni cosa è dipendente da una risorsa che presto finirà?
Pensiamo quindi anche all’agricoltura: in Usa sono poche quelle aziende che attuano la rotazione culturale e questo ha come conseguenza l’impoverimento della terra a causa dell’uso massiccio di fertilizzanti e pesticidi. La natura muore e la chimica la sostituisce e gli effetti li abbiamo sotto i nostri occhi, tutti i giorni, ma incolpiamo ciò che non ci è possibile denunciare o cambiare, spesso per convenienza. Accade anche nel più piccolo esempio di un fruttivendolo: a gennaio sui suoi banchi spiccano in bella mostra peperoni, pomodori, melanzane e primizie (!!!) primaverili. A gennaio! Sappiamo però che questi prodotti sono stati ottenuti con tanto petrolio, tantissima chimica e zero assoluto di sole, terra nuda e pieno campo. La gente ha fretta e animalescamente prende ciò che l’occhio vede senza fermarsi a pensare, mi conviene?
Anche da noi l’uso della chimica ha sostituito prepotentemente quella del buon contadino che con il letame e qualche correzione dei soli elementi naturali (Azoto, Fosforo e Potassio) sapeva ricavare dal suo appezzamento dei risultati accettabili e di qualità. La qualità, oggi, è definita come aspetto del prodotto con determinate caratteristiche estetiche, di colore, di forma e di peso, il resto viene scartato o venduto come materiale di seconda scelta.
Oggi la qualità è inesistente (nel senso della qualità organolettica), sostituita dalle quantità che crescono a dismisura. Produzioni di mais, soia e grano che 50 anni fa nemmeno ci si sognava. Lo stesso si può dire della produzione del latte; un tempo le vacche “normali” producevano mediamente tra i 15 e 25 litri di latte al giorno, oggi, per contro, abbiamo delle macchine industriali che producono latte (sono state selezionate proprio per questo) a livelli assurdi con valori compresi tra i 60/90 litri al giorno, però nel latte prodotto troviamo tutta una minestra di antibiotici, anabolizzanti, ormoni, pesticidi, erbicidi e chi più ne ha più ne metta. Ma sono animali che devono essere nutriti continuamente e non possono fare altro, tanto che dopo due o tre anni vanno abbattuti, mentre un tempo (solo 50 anni fa) le vacche del contadino potevano vivere anche oltre i 15 anni. E parliamo solo delle vacche da latte, mentre un tempo la vacca del contadino era tanto da latte quanto per i lavori campestri. L’energia necessaria era presa dalla vacca per arare, erpicare, concimare e alimentare la famiglia e la società. Ora la vacca è solo una stazione di pompaggio per produrre latte e carne dalle qualità sempre più infime.
A volte mi chiedo che senso abbia produrre solo per produrre e spesso mi scontro con i vari coltivatori/allevatori per questa assurdità. Infatti cosa scopriamo? Che il 20/30% delle derrate alimentari vengono gettata al macero! A che pro quindi produrre per avere uno scarto del 30%? Meglio produrre poco, nei tempi e nei modi che la natura impone ed avere dei prodotti che qualitativamente siano sani, buoni e che siano garanzia di benessere. Ma qui ci insegna la società attuale che le varie multinazionali del settore agricolo, farmaceutico e del petrolio non vedrebbero di buon occhio la scelta, per cui tutti proni ad accettare i “loro” consigli. Così che negli ispettorati o addirittura nelle varie sezioni sindacali agricole usino consigliare proprio quelle aziende che spesso sono imputate per inquinamento, avvelenamento.
E’ inestricabile la perversione che ci avviluppa tutti! Ma il vero problema è se anche riuscissimo a produrre giusto quello che ci soddisfa e che basta, come ridurremo la nostra terra? Come potremo irrigare i chilometri quadrati di deserti, da dove prenderemmo l’acqua, con quali sistemi e con-quale-energia? Dal petrolio? Dal solare? Dal Gas? Prenderemo l’acqua preistorica che, come il gas, non è infinita? E chi potrebbe gestire questo enorme flusso economico per tutti? La solita banda di 4 cialtroni da strapazzo che in onore di un criminale li ha forgiati come i peggiori assassini del mondo? Non credo che nessuno sia in grado di dare delle risposte assennate ed esaurienti. Il problema però esiste ed è presente tutti i giorni in diverse parti del globo, solo che non avendole sotto casa non ce ne rendiamo conto, ed è più facile inviare un sms da 2 euro senza sapere esattamente dove vadano a finire i denari, ci siamo messi in ordine con la coscienza, ma abbiamo sicuramente arricchito qualche usuraio.
Abbiamo messo a tacere la nostra coscienza di cristiani, rimbecilliti nel credo che tutto è per tutti, ma sappiamo in cuor nostro che questo non è vero e la storia, prima e dopo Cristo, ce lo insegna proprio bene. Eppure a conti fatti “si dice” che se sfruttassimo le risorse in maniera oculata potremmo sfamare l’intero globo con ciò che buttiamo, che potremmo addirittura dare energia ad un altro pianeta come la terra per tutta quella che gettiamo in cose inutili. Non so se questo sia vero e come abbiano calcolato queste cose, ma è vero anche che i cassonetti della spazzatura sono stracolmi di cibo di vestiti, di oggetti che oggi acquistiamo e domani, perché la moda lo impone, li buttiamo.
La domanda che dovremmo porci prima di acquistare una cosa sarebbe: ma mi serve veramente? Credo che pochi se la facciano e magari vengono anche tacciati per avari.
Però alla fine di tutto la questione primaria è il cibo: ce n’è per tutti? E la terra, visto quanto sopra detto, sarà in grado di sopportare migliaia di chilometri quadrati con coltivazioni che dovranno essere per forza di cosa trattate chimicamente, perché verrà meno l’equilibrio del buon padre di famiglia? Non ho una risposta, ma c’è da pensarci.
Terremoti e petrolio: c’è di mezzo il "fracking"?
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E’ evidente che in queste giorni di angoscia e paura incontrollabile vi siano molte fantasie su quanto accade nelle zone terremotate di recente.
In un post precedente si era ipotizzato che le scosse del 20 maggio fossero di origine umana, causate forse da alcune esplosioni nelle profondità del terreno dopo aver visto l’andamento dei grafici che non presentavano la progressione delle onde telluriche. Probabilmente e a seguito delle osservazioni di un lettore, si arrivava a concludere che la strumentazione, forse amatoriale, delle stazioni di rilevamento, non poteva registrare tutto l’arco di vibrazioni, da lì quindi il risultato dei diagrammi.
Ora però si scorge che ci sono alcuni studi che lasciano abbastanza interdetti di fronte al dolore ed ai danni causati da questi eventi sismici.
Uno studio del Porf. Ortolani dell’Università di Napoli evidenzia che nella zona oggetto del sisma per molti anni si sono svolte moltissime trivellazioni alla ricerca di Gas e Petrolio attraverso la tecnica del Fraking:
La tecnica, sommariamente, è utilizzata per spingere petrolio e gas in superficie quando questi non siano in grado di farcela. Sostanzialmente si perfora il terreno e trovata la sacca di gas/petrolio che non risale in superficie si inietta nel terreno ad alta pressione acqua mescolata a sostanze gelatinose o acqua e sabbia per spingere gli idrocarburi in superficie. In questi ultimi anni accade però anche l’azione inversa di immagazzinamento degli idrocarburi nel sottosuolo, così che trovata una zona adatta per tale scopo si provvedere alla perforazione e all’iniezione di gas o petrolio da conservare.
Lo studio del Professor Ortolani evidenzia quindi una certa correlazione tra il sisma e queste attività, ma non indicandone la causa, quanto piuttosto una conseguenza peggiorativa di una zona già in equilibrio instabile. Allo stesso tempo, e per una non si sa quale considerazione tecnica, Il Giornale contesta in un articolo la possibilità che il fracking abbia qualche correlazione con i terremoti in corso in Emilia e lo fa intervistando un sismologo dell’INGV, il quale afferma: “Normalmente viene usato su pozzi che hanno delle dimensioni del metro e arrivano a 2-4 km di profondità… La faglia che ha provocato il terremoto in Emilia è grande dieci chilometri e si trova a 10-15 chilometri di profondità“. Dimensioni ben diverse, insomma. Così dice l’articolista, aggiungendo inoltre per bocca del sismologo che “Tutti gli eventi di sismicità indotta (il fracking, ma anche le estrazioni petrolifere o anche la pressione di una diga sulle rocce) sono monitorati” (ne siamo certi al 100%?).
Certo non ci si può misurare con un tecnico dell’INGV, ma appare evidente che la profondità del sisma sia variabile in maniera piuttosto particolare e le caratteristiche del sottosuolo ci sono sconosciuti. In un sito che tiene costantemente aggiornato l’andamento dell’attività sismica, si evidenzia che la scossa maggiore (6.1) è avvenuta a 10 km di profondità, mentre a 60 k m di profondità una scossa ha fatto registrare una magnitudo di 2,9. La media delle profondità appare essere di 9,5 km con punte estreme dai 60km (una sola) e 1km.
Le scosse più intense si sono avute tra i 10km e 2 km. Ora, ammesso e non concesso che i tecnici dell’INGV abbiano conoscenze a noi taciute, sembra evidente che vi sia qualche discrepanza anche in virtù dei moltissimi articoli relativi all’attività sismica causata proprio dal fraking. Il 7 novembre del 2011 un’azienda (Cuadrilla) dovette sospendere l’attività di perforazione e di sondaggio nel Nord-Ovest dell’Inghilterra a causa dei frequenti tremori e scosse sismiche anche di magnitudo 3.1.
Oltre al problema della ricerca di idrocarburi c’è anche quello dello stoccaggio degli stessi e guarda caso anche nel sito di Parmanews viene evidenziato il problema tanto che il
17 febbraio 2012, i Ministri dell’Ambiente e dei Beni Culturali Corrado Clini e Lorenzo Ornaghi hanno decretato la compatibilità ambientale e la conseguente autorizzazione di opere di indagine geologica (cioè trivellazioni con uso di cariche esplosive e pompaggio di acqua ad alta pressione), allo scopo di verificare la realizzabilità di un gigantesco deposito di gas metano, nel sottosuolo dei comuni di San Felice sul Panaro, Finale Emilia, Camposanto, Medolla, Mirandola e Crevalcore, all’interno di una altrettanto gigantesca cavità naturale situata a quasi tre chilometri di profondità ed in grado di servire allo stoccaggio di 3,2miliardi di metri cubi di gas metano (equivalente al volume di un’enorme sfera dal diametro di quasi 2km).
E’ possibile verificare nel sito governativo dello Sviluppo Economico quanto attualmente si sta facendo in Italia. Ci sono 1000 pozzi produttivi dei quali 615 su terraferma e 395 in mare.
La produzione di gas annuale ammonta complessivamente a circa 8 GSm3 di gas (nb. GSm3= Giga Standard metrocubo di Gas) e 5 Mton di olio (nb.Mton=megatonnellate di olio) e tali produzioni contribuiscono rispettivamente per il 10% ed il 7% al fabbisogno energetico nazionale. Non male, no? Inoltre c’è da tener in considerazione che in tutto questo affare energetico c’è sempre la voce denaro che la fa da padrone e in questo caso viene definito royalties (chiamarle diritti è offensivo?). Si legge dal sito dello sviluppo economico che:
Le royalties per le produzioni di idrocarburi in terraferma sono ripartite per il 55% alle Regioni, il 30% allo Stato e il 15% ai Comuni. Tuttavia per le Regioni a statuto ordinario comprese nell’Obiettivo 1 (le regioni del Sud Italia tra cui la Basilicata, principale produttore italiano di petrolio) anche la quota del 30% dello Stato è assegnata direttamente alle Regioni.
Inoltre dato che l’Italia è perennemente alla ricerca di fonti di energia e che gli ultimi avvenimenti dello scorso anno (Guerra di Libia) e precedenti (Russia vs Ucraina) hanno provocato una penuria di idrocarburi in genere, la ricerca ha trovato utile poter immagazzinare il gas e il petrolio in terreni idonei. Il fatto in se non è particolarmente insignificante, perché in periodi di “carestia” di risorse energetiche quanto messo da parte per un paese rappresenta la possibilità di poter continuare le sue attività fino alla soluzione degli eventuali problemi internazionali. Purtroppo sappiamo che in Libia ci abbiamo rimesso quanto si era siglato con il precedente governo di Gheddafi, perdendo la corsia preferenziale che avevamo in quel paese lasciando spazio alla Germania, alla Francia, all’Inghilterra e ovviamente agli Usa. Ma per essere alleati delle grandi potenze è necessario rinunciare a qualcosa e queste sono le scelte volute da un governo fantoccio e da un presidente che si è sempre schierato a favore della guerra.
Purtroppo nelle FAQ del sito dello sviluppo economico viene dichiarato che non vi sono correlazioni tra terremoti e stoccaggio del gas, ma è evidente che il sito non manutenuto con solerzia visto quanto scritto sopra.
Purtroppo nella nostra pianura, diventata oggetto di appetiti extra nazionali, troviamo che altre aziende sono interessate ai tesori del sottosuolo come la Aleannaresources con ben 7 siti di ispezione e sfruttamento.
E’ pacifico quindi che in una situazione del genere il primo provvedimento che dovrebbe essere preso dalle autorità – considerando che non sanno nulla sulla prevedibilità dei terremoti – dovrebbe essere quello di interrompere immediatamente per almeno un anno tutte le attività estrattive e di immagazzinamento, controllando al tempo stesso le aziende interessate allo sfruttamento dei bacini energetici dati in concessione se hanno operato nei limiti imposti dalle concessioni, e solo dopo che si sarà calmato questo sciame sismico provvedere al rilascio dei permessi.
Purtroppo il connubio tra interessi privati e potere energetico va oltre la stabilità territoriale così come viene meno l’interesse pubblico e delle popolazioni che in quei luoghi vivono e lavorano.
Ref: luogocomune – altocasertano – webcontro – xena05
Si veda anche:
https://geoazur.oca.eu/spip.php?article1259
https://sites.google.com/site/cellulepostsismique/home/seisme-italie-du-nord-20-mai-2012-mw-6-2
Libia, Usa, Gas, Italia in netta (s)Concordia
In questi giorni di fermento gli americani oltre a rinunciare alla mega operazione congiunta con Israele (Austere Challenge 12) lasciando i 9.000 soldati in Israele hanno preferito dirottare alcune migliaia di soldati (12.000) presso uno dei terminal petroliferi più importanti della Libia: Brega.
Il motivo della presenza massiccia di militari Usa, secondo le notizie riportate, sembra sia dovuto per portare la stabilità nella regione e al controllo delle operazioni petrolifere e dei campi petroliferi della zona, i più importanti della Libia. Ma mi chiedo, non si era instaurato un governo di ribelli riconosciuto da tutti i governi lecchini della Nato? Non era successo che quel massone comunista infame di Napolitano aveva accolto a Roma un criminale che aveva massacrato Gheddafi? E con quale faccia l’aveva accolto? Quella stessa che aveva quando stringeva le mani a Gheddafi?
Ma voi, se foste uno della CNT, vi fidereste di un italiano infame-guerrafondaio-voltagabbana e che in futuro vi pugnalerà alle spalle?
Fa specie sapere inoltre che il nostro Monti sia approdato sulle coste libiche per riallacciare i rapporti che erano stati “casualmente” interrotti per un raffreddore dei nostri rapporti internazionali con la Libia di Gheddafi di circa 30 miliardi.
Al seguito del massone di Monti c’era anche il capo dell’Eni (Paolo Scaroni) che per l’occasione ha anche indicato di essere pronto a vendere la quaota di Snam perché ha aggiunto: “ L’importante è che si riesca a vendere nell’interesse degli azionisti“. Chiedo io da ignorante: per gli interessi degli azionisti o per l’interesse degli ‘acquirente della Snam?
Non dimentichiamoci che dalla Libia importavamo un’alta percentuale di gas (11% del consumo giornaliero), proprio con Snam rete gas e questa notizia non fa altro che confermare che il Governo Monti, con i giusti appoggi dei suoi affiliati (Scaroni è uno di questi), cederà un’altra delle nostre perle aziendali a qualche azienda sicuramente NON italiana.
E così, passo dopo passo – oltre a perdere la sovranità nazionale – perderemo anche la possibilità di una indipendenza energetica. E mentre mediaticamente – lo ripeto ancora per i sordi – si focalizzano i problemi di una manovra salva-italia-1 e salva-italia-2 insignificanti, sommergendo la radio, i giornali di notizie false e senza senso dal punto di vista produttivo e di incremento della economia reale anche con l’appoggio della confindustria, nel silenzio e in qualche notizia appena accennata, si porterà allo sconquasso della vera economia italiana, quella fatta dei grandi nomi che l’hanno resa celebre nel mondo.
Tuttavia i tassinari fanno giustamente cagnara per difendere il loro pane quotidiano, ma si troveranno la benzina disponibile nei distributori con nomi diversi e ad un costo 2 volte più alto di quello attuale: in parole povere becchi e bastonati. Questo perché oltre alla Snam la prossima vittima sacrificale sarà l’Eni e Finmeccanica.
E nessuno alza un dito per difendere le nostre aziende. Tutti zitti e magna-magna!
Ecco una delle tante mosse subdole messe in atto dal Governo Monti o se volete essere complottisti, dalla finanza mondialista, poco pubblicizzata e coperta mediaticamente da un incidente di assoluta irrilevanza (Costa Concordia) se non fosse che sono morte alcune persone senza colpa (forse pochi ricordano l’incidente di Vermicino e cosa accadde nella finanza di quel periodo e quante bastonate economiche e finanziarie prese l’Italia in quell’anno). Ma il mercato, come insegnano i guru della finanza, non guarda in faccia nessuno, nemmeno le vite umane, tant’è che quelle sacrificate per la conquista della terra di Libia pare siano oltre 150.000 di cui noi italiani abbiano ancora le mani sporche di sangue e sulle quali non ho mai visto nessuna tavola rotonda, nessuna interrogazione parlamentare e nessun veto da parte di nessuna forza politica.
C’è qualcosa che non funziona: crisi del petrolio
Nel blog Il Grande Bluff un lettore, Sinbad, ha scritto una cosa interessante: “…c’è qualcosa che non funziona” che indica come presupposto del fallimento sociale forse per la mancanza delle materie prime (Gas, Petrolio, Minerali rari). E’ vero, di fondo la nostra società si è sviluppata in poco più di 100 anni: un’inezia rispetto al periodo precedente di oltre migliaia di anni in cui i cambiamenti sociali, economici, commerciali, si sono evoluti con estrema lentezza ed assorbiti a piccole dosi.
Quello che un tempo serviva, ora, in poco più di una frazione di secondo, la otteniamo. Pensiamo alla luce, all’acqua, al gas, alla rete digitale, alle informazioni, alle comunicazioni, ai rapporti personali con amici e parenti. Ora tutto apparentemente sembra vicino e facile da avere e da condividere, ma maledettamente lontano da metabolizzare. Mozart per creare le sue opere ci ha messo 30 anni della sua vita ed ora anche il più scemo, in poco più di una mezzora, compone un pezzo che alle orecchie del volgo appare come un’opera. Ecco la quadratura del cerchio socialista, la soluzione dei mali della società acculturate, di quel genere di cultura che travasa in tutti gli strati ma che non permea nessuno, perché troppo indaffarati a cercare stimoli nuovi. Troppo difficile fermarsi e pensare.
Ormai, nessuno insegna più a pensare, a meditare, ad oziare a cercare anche nel fallimento la strada di un pensiero diverso per evitarne un altro. No, tempo perso.
Sinbad insiste che c’è “qualcosa che non funziona” e il suo pensiero giustamente si rivolge al mercato macroeconomico, quel mercato che gestisce i flussi immessi di capitali e denaro che vanno più in là del semplice (non tanto per la verità) gioco finanziario delle opzioni, dei derivati, ma che porta interi blocchi continentali a fare le guerre, o costringere intere popolazioni a svendere i propri beni e risorse. Una volta Soros disse che non è pensabile che la Russia abbia un territorio così vasto con risorse utili per l’umanità perché quei tesori, quelle risorse sono la sopravvivenza dell’umanità stessa. Non credo che Soros sia un fragile mecenate, un filantropo che indirizza gli sforzi per i bene altrui. Non ci credo assolutamente, ma nella sua spudorata affermazione ha espresso un concetto molto preciso, quale quello, ad esempio, di una popolazione affamata che arriva in una valle e nota che il popolo che vi abita ha cibo, acqua, legname per scaldarsi e cucinare. L’ultima spiaggia, l’ultima soluzione, o come dicevano gli antichi “mors tua vita mea”. La possiamo girare anche in altro modo: sopravvivenza. Beh, in questo caso, bisognerebbe capire e definire il significato di sopravvivere, perché ne esistono vari tipi, da quella africana, a quella sud americana o cinese o delle bidonville europee, spesso mai citate nei vari media internazionali, perché non sono persone che contano, ma esiste anche la sopravvivenza grassa, offuscata dalle mille luci della civiltà, dal crepitio di mille motori e di un sacco di marchingegni che circondano la vita di questa fascia di sopravviventi. Tutto necessario, sembrerebbe!
Ma c’è qualcosa che non funziona e la fine delle materie prime porterà le popolazioni a guerreggiarsi, a scannarsi, a sbudellarsi fino all’ultima goccia di sangue per ottenere l’ultimo goccio di petrolio, l’ultima esalata di gas o l’ultimo chicco di grano. Scenario apocalittico, per chi è seguace dei dettami biblici, o più semplicemente una naturale sfrondata stile quella che di tanto in tanto fanno le popolazioni dei lemming. Ma l’uomo non è una bestia, è scritto anche nella bibbia, il libro dei libri attraverso il quale si sono formate generazioni su generazioni, da ebrei, cattolici, protestanti, ortodossi, islamici, calvinisti e chi più ne ha più ne metta e la realtà del mondo occidentale ed occidentalizzato segue pedissequamente, come un lemming questa commedia-impostura dell’uomo superiore, del super uomo, dell’uomo che prevale su tutto ciò che o circonda, dell’uomo che, secondo la teoria evoluzionista, sta sopra la piramide. Ma ne siamo proprio sicuri?
L’uomo segue sempre l’evolversi della sua natura quando costretto in spazi esigui e a stretto contatto di gomito con il suo simile: guerreggiare, violentare, rapinare, rubare. Ne più e nemmeno come fanno altri animali con la piccola, ma significante variante che esso non è in grado di difendere se stesso, anzi, come la più bassa delle specie animali egli attacca se stesso ed annienta il suo simile come fosse suo nemico. Più basso di così nella scala evolutiva non si può! E tanto più bassa è la sua evoluzione quanto più alta la sua voracità e la sua incapacità di mediare “il tanto con il poco”.
Siamo alla soluzione finale? Nessuno è in grado di prevederlo, ma se guardiamo quello che altri stanno facendo ci verrebbe da rispondere di sì, e visto che la speranza è l’ultima delle illusioni, cerchiamo di seguire questa strada e di dare, ancora una volta, una possibilità. Le economie mondiali, da est ad ovest, da nord a sud, sono ormai arrivate ad un punto apparente di non ritorno e nessuna soluzione, tra quelle che vanno in voga in questi ultimi anni, potrebbe essere salvifica.
Non c’è soluzione alla attuale crisi sistematica se non quella di derubricare i debiti accesi e creati bell’apposta, ma in questa maniera si rischierebbe la catastrofe per quanti hanno investito, involontariamente, in capitali fittizi, virtuali, inesistenti essi stessi vacui e senza la benché minima corrispondenza al mondo reale.
Pensiamo ad uno qualsiasi che ha investito un certo capitale in un fondo di risparmio, in cui siano incorporati alcuni strumenti derivati di cui non si conosce nulla, ma che una volta azzerato il debito l’investitore si troverebbe in mano solo cartaccia, senza nessun valore. Denaro, risparmi, sudore di una vita volatilizzato in un secondo, anzi in un milionesimo di secondo, tanto veloci sono oramai giunte oggi le possibilità di rendere ricco o povero un essere umano a causa di un suo simile. Ma sono cose che già si sanno, già digerite, e forse, in alcuni parti del mondo, già provate. Ma funzionerebbero applicate in una scala più grande?
Io credo di no.
Appare quindi, stando così le cose, che non vi sia soluzione e già negli anni ’90, in un rapporto della Shell, veniva evidenziato con una certa attenzione che nel prossimo futuro (si parlava del 2015/2020) si sarebbe incorsi nella penuria di energia e siccome l’energia a tutt’oggi è per il 60/70 % prodotta dal petrolio questo significava che il petrolio sarebbe diventato via-via sempre più difficile da estrarre e sopratutto da trovare. L’energia per far girare il mondo è entrata in un profondo periodo di crisi e quella sistematica del mondo finanziario è lo specchio di quello energetico.
Nella sua corsa disperata ad accumulare e a sfruttare, l’uomo odierno ha perduto la sua totale comprensione di quello che lo circonda senza rendersi conto che questo lo porterà direttamente alla tomba. Si pensi al mercato in senso globalizzato come una immensa piazza dove tutti gli abitanti della terra si scambiano prodotti con il limite delle distanze. In questa visione, fatta propria dai liberal-globalisti, ogni prodotto è disponibile e facilmente scambiale , ma presuppone la facilità dei movimenti delle merci e delle persone cosa quest’ultima resa impossibile dalle varie dittature del mondo e dalle varie oligarchie finanziario economiche che gestiscono i flussi di capitali lì dove è minore il costo dell’investimento. E’ palese che in questa condizione di mercato manipolato, la globalizzazione, vista come immenso mercato aperto, è un non senso, mentre per i loro ideatori è solo una chimera. Se poi a questo vortice subumano di scambi commerciali ci mettiamo che per spostare qualche tonnellata di riso o di cotone si deve ricorrere all’energia da idrocarburi si capisce che il maggior costo è proprio l’energia stessa necessaria per produrre e trasportare che a sua volta viene compensata dal costo umano, quando necessario.
L’uomo è pertanto paradossalmente entrato in una fase di crisi di personalità, di riferimento, in cui i modelli a cui fare riferimento sono saltati perché precipitosamente sovvertiti.
Facciamo un passo indietro. Nei decenni passati l’unica vera fonte di energia era la cellulosa, necessaria per ogni attività umana, dal cibo al fuoco, all’energia. Tutto dipendeva dalla cellulosa e dai suoi derivati, nulla veniva sprecato e tutto veniva integrato. Pensiamo anche alle famiglie, a quelle medie della borghesia che dovevano avere le stufe sempre cariche di legna per scaldarsi, ma anche per cucinare, pensiamo alle attività industriali e artigianali che osservavano un modello di vita e produttivo che non era inteso al consumo, ma all’auto-consumo. Quello che oggi ogni azienda produce nella realtà 1/10 sarebbe utile e forse anche meno. Pensiamo ai cellulari, ai telefoni, alla tv o a qualsiasi altra scoperta (consumistica), come il frigo, il freezer, il forno a microonde, alle scarpe con suole di gomme (vi siete mai chiesti perché vadano tanto di moda quando fino a pochi anni fa erano considerate antigieniche, antiestetiche, dozzinali, utili solo per lavori di manovalanza). Pensiamo ai vestiti, alla composizione dei tessuti, ai filati ed ai processi di produzione degli stessi, oppure come vengono coltivati i campi di cotone o allevate le pecore per la lana (è da notare che molti lanifici italiani sono ormai chiusi e la lana delle nostre pecore viene gettata come rifiuto speciale anche se di ottima qualità) per non parlare poi dei processi di produzione agricola e alimentare in cui ogni segmento della catena produttiva e dipendente dal petrolio e da tutti i suoi derivati. Tutto è petrolio.
E’ evidente che la crisi sistemica del petrolio, sulla base di quanto detto, provocherà uno sconquasso inimmaginabile, devastazioni, ricaduta negativa su tutti le fasce sociali, a parte quella piccola nicchia di potere che sempre nei secoli è riuscita a mantenersi a galla sulle spalle della massa, impoverimento graduale, ma costante delle popolazioni e ritorno ad un periodo buio di tragedia sociale, in cui sanità, assistenza sociale e benessere diffuso saranno solo pallidi ricordi. E’ accaduto anche in questi tempi che in alcune zone del Cile per oltre 24 ore non vi sia stata l’erogazione della corrente elettrica, così come qualche anno fa a New York.
Facciamo mente locale e pensiamo a farci un caffè. Adesso semplicemente apriamo la scatola del caffè preleviamo alcuni cucchiaini e mettiamo la caffettiera sul fuco che abbiamo acceso con un banale clic. Dopo qualche minuto eccolo pronto, ma cosa accadrebbe se…semplice. Si acquista il caffè, il cui costo però schizzerebbe dalle attuali 8/10 euro/kg a probabili 20/30, una volta portato a casa in grani, perché anche la rivendita di caffè non ha energia elettrica, dovremmo macinarlo – a mano – e una volta raggiunta la quantità giusta per il nostro caffè potremmo metterlo sul fuoco, ma dovremo necessariamente avere una cucina che sia in grado di ospitare il fuoco, e non quello del gas (il prezzo delle bombole a gas – rare – schizzerà dagli attuali 25/30 euro a probabili 50/80 euro), ma quello a legna (anche in questo caso il costo della legna prenderà un’impennata notevole e possiamo supporre che si passerà dagli attuali 25/30 euro/q.le al doppio). E’ quindi necessario accenderlo, avere legna di piccolo taglio per l’inizio del fuoco e quella più grossa per poter cucinare e mantenerlo per un po’ di tempo. Ma anche in questo caso saremo costretti a rivedere alcune cose basilari: i nostri condomini non sono stati studiati per lo scarico dei fumi delle cucine a legna, i camini sono piccoli tubetti di qualche centimetro di diametro e convogliare i fumi della combustione a legna provocherebbe l’asfissia di tutti i condomini in pochi giorni. E’ evidente quindi che ogni cucina avrà un tubo che uscirà da una finestra per lo scarico dei fumi. E stiamo parlando solo di farci un caffè. Provate quindi ad immaginare a fare una cena, a dar da mangiare ai figli, alla famiglia. Ma dopo qualche ora arriva il buio e l’energia non c’è. Che si fa? Candele, lampade ad olio o a gas per i più ricchi, ma non è finita, perché bisogna lavarsi e lavare gli indumenti, mantenere le derrate alimentari (spariranno i grandi centri commerciali e risorgeranno i negozi dei quartieri, più vicini alle necessità dell’uomo, perché non potremo più mantenere 10 kg di carne in congelatore, ma scopriremo la possibilità della conservazione) e così via per ogni attività che adesso ci sembra un banale clic dell’interruttore.
Non sono dell’epoca delle candele e nemmeno delle lampade a gas, ma ho vissuto in quella di mezzo in cui gas, luce e acqua erano comunque un bene di lusso e queste cose, questi piccoli e lenti passaggi portano l’uomo a rivedere i suoi modelli di vita attuali. Tutto diventerà più lento, più umano, più naturale e ci farà riscoprire che tra una estate ed un inverno ci sono mesi di freddo, piedi ghiacciati, coperte che non scaldano (tutte di plasticaccia), vestiti che assorbono umidità, così che sapremo capire che c’è il caldo torrido, l’afa, le punture delle zanzare e le mosche che cresceranno a non finire per la penuria di insetticidi (tutti derivati del petrolio). Si scoprirà la lentezza della comunicazione, ma anche la velocità con cui si riuscirà a tessere amicizie e conoscenze. Il tempo rallentato porta a colloquiare e non ad isolarci come automi. Vedremo che per fare qualche chilometro ci potremo anche impiegare mezza giornata e ci accorgeremo che per inviare una lettera (di cellulosa) ci vorranno anche 10 giorni o forse più. Gli appuntamenti saranno dilatati e la fretta che ogni giorno ci attanaglia sarà un brutto ricordo del passato.
Forse, non tutto il male vien per nuocere e in questa crisi, in questo qualcosa che non va un lato positivo c’è, se non altro la riappropriazione della dimensione umana. L’importante è essere preparati che non tutto è infinito e che ciò che adesso abbiamo, domani potrebbe non esserci più, basta un clic…oppure, come i complottisti insegnano, siamo al punto di non ritorno secondo il picco di Hubber?
Nabucco senza Gas.
Secondo alcune notizie sembrerebbe che il mastodontico gasdotto del Nabucco non abbia la materia prima necessaria: il gas. (1)
Il consorzio del Nabucco (Bulgarian Energy Company – Botas – Mol – Omv Gas & Power GmBH – Rwe) ho dichiarato che l’avvio alla sua realizzazione viene posticipata dal 2011 al 2013. Il progetto “Nabucco” è stato concepito per le forniture di gas dall’Asia Centrale e dalla regione del Caspio verso l’Europa evitando la Russia. Emerge ora che non ha fornitori di gas.
Serghej Chizhov, presidente dei fornitori di Gas Russo, aveva avvertito che le riserve di Gas non sarebbero state sufficienti per i due gasdotti (Nabucco e Southstream) ed è quindi probabile che le fonti di approvvigionamento potrebbero essere in Turkmenistan , Kazahstan e (guarda che caso!!) l’Iran.
La comunità europea pertanto, considerato i tempi lunghi nella realizzazione del gasdotto, è pronta a mettere sul tavolo due progetti alternativi per le forniture di gas: una conduttura greco-turco-italiana e una trans-adriatica, così da abbreviare i percorsi e i costi previsti nel progetto originale. (2)
Il problema di fondo, secondo alcune fonti russe, è che la spesa preventivata per la costruzione del Nabucco stia ormai sfiorando i 15 miliardi contro gli 8 preventivati ed inoltre solo due soci del consorzio sarebbero in grado di far fronte alla spesa di loro competenza, mentre per gli altri non ci sarebbero i le risorse necessarie. Allo stesso tempo la condotta Nortstream è in fase di ultimazione, contro tutte le previsione e gli ostacoli che l’Europa con inglesi e americani avevano frapposto alla sua realizzazione
Fonti: (1) italian.ruvr.ru – (2) blog.linked2balkan.com
Navi da guerra Iraniane in transito sul canale di Suez.
Come qualche giorno fa si commentava una notizia in cui alcune navi iraniane avevano ormeggiato nel porto di Jeddah. Adesso anche Al-Jazera riporta la conseguenza di quanto detto.
Pare infatti che le navi, mollati gli ormeggi da Jeddah, siano dirette a nord verso il Canale di Suez e stando alle proteste israeliane secondo la voce del suo ministro degli esteri Liebermann, il quale sostiene l’Iran è in procinto di inviare due navi da guerra attraverso il Canale di Suez per la prima volta dopo anni, definendolo una “provocazione“, indicando che le navi sarebbero dirette verso la Siria senza però offrire alcuna prova delle sue affermazini, né da che fone la avesse presa.
Infatti anche il dipartimento di stato americano e il Pentagono sono a conoscenza di questo movimento di navi e secondo la dichiarazione di un ufficiale israeliano le navi iraniane fanno parte di un piano di addestramento nel Mar Rosso e nel Mediterraneo attraverso il Canale di Suez.
Non è detto che si tratti di belligeranza iraniana nei riguardi di Israele, ma gli sviluppi odierni nel medioriente e le proteste colorate del NED (National Endowment for Democracy) nelle varie attività in Tunisia, Algeria, Marocco, Yemen e così pure in Siria e ultimamente in Iran, fanno pensare che queste navi abbiano, con la loro presenza, un valore ben più importante che non il semplice addestramento.
Auguriamoci che non sia l’inizio di qualche cosa di molto peggio…
Israele può esistere in un medioriente dittatoriale?
E’ una bella domanda perché nella sua semplicità spiega molto bene come uno stato, creato dal nulla rubando la terra ai loro proprietari, si senta al sicuro solamente se attorno a lui esistono stati canaglia con cui condividere le nefandezze. E’ il sunto di un ottimo blog israeliano che spiega abbastanza bene, seppur in maniera molto soggettiva, il motivo per cui Israele riesce ancora a esistere.
Un lavoro che ha influenzato la deduzione dell’autore (Yuval Ben-Ami) è stato il libro “The Ones Who Walk Away from Omelas” scritto da un americana Ursuala K. Le Guin.
Omelas è una città splendida e prospera, ma per tutto questo c’è un prezzo da pagare e la conseguenza è che un bambino debba rimanere perpetuamente in uno scantinato sporco dove nessuno possa parlare con lui e solo così Omelas riuscirà a mantenerei perpetuamente splendida e prospera.
In questi giorni il giornale Haaretz.com ha esortato chiaramente il governo a sostenere la politica di Mubarak, indicando la stabilità dell’Egitto come vantaggio per tutto il medioriente.
Ma la domanda più profonda è: qual’è il valore più importante della democrazia israeliana se per esistere deve aver l’appoggio del dispotismo dei suoi vicini? E’ stato detto per anni che l’occupazione dei territori e la costruzione del muro di separazione dai palestinesi erano necessari per assicurare una “maggiore democrazia”, ma è evidente che la democrazia israeliana è fatta a spese di quella tolta negli altri paesi.
E’ illusorio parlare di democrazia israeliana quando i suoi vicini tengono i figli negli scantinati perché non possano parlare? E quella israeliana è una democrazia, intesa come partecipazione del popolo alla costruzione ed al benessere di uno stato, oppure è solamente un blando muro in opposizione ad interessi sovrademocratici?
Cosa può muovere una intera nazione a mantenere un’immagine brillante quando le sue fondamenta affondano nell’inganno e nella falsità dei suoi alleati?
Arabi esclusi, tutte le risorse a Tel Aviv
Per anni, diverse compagnie hanno esplorato il bacino del Levante per il petrolio. I dettagli delle loro scoperte non erano conosciuti che dai dirigenti delle compagnie e dai politici. Tuttavia, le autorità israeliane hanno lasciato la società Noble Energy di rilevare i volumi riscontrati il 29 dicembre. Questa comunicazione che annuncia l’esplorazione dei giacimenti fino ad oggi congelati per motivi politici, è accompagnata da una campagna diplomatica per consentire a Tel Aviv (Israele) di sfruttare i giascimenti a danno di tutti i paesi rivieraschi (Libano, Palestina).
La società Noble Energy ha annunciato pochi giorni fa di aver scoperto un immenso giacimento a 130 km dal porto israelaino di Haifa [1] stimato in 450 miliardi di m3 di gas, mentre complessivamente nella zona sarebbero stimati oltre 700 miliardi di m3 di gas. L’esplorazione e sfruttamento del giacimento è stato affidato ad un consorzio internazionale formato dalla società statunitense Noble Energy, che ora possiede la maggioranza della quota del 40%, e le società israeliane Delek e Avner Oil Exploration.[2]
La U.S. Geological Survey, agente governativa americano, conduce delle indagini stimando che nel bacino del Mediterraneo del Levante ci siano delle riserve di gas naturale di circa 3.500 miliardi di m3 e delle riserve di petrolio per circa 1,7 miliardi di barili.
Il governo israeliano, con il sostegno di Washington, considera tutte le riserve energetiche trovate siano di sua proprietà, infatti il primo ministro per le infrastrutture israeliano Uzi Landau ha dichiarato che le riserve trovate porteranno beneficio non solo ai cittadini di Israele, ma permetteranno ad Israele di diventare fornitore di energia nella regione mediterranea.
Ma, come al solito con il sostegno Usa, Israele non tiene conto che la zona, oggetto delle indagini e dei futuri sfruttamenti, appartiene anche al Libano ed ai Palestinesi, poiché secondo la convenzione delle Nazioni Unite (ONU), uno stato costiero può esplorare e sfruttare le riserve “offshore” di gas e petrolio in una zona che si estende per 200 miglia marine dalle proprie coste (370km).
Secondo lo stesso criterio, le riserve appartengono in misura significativa anche per l’Autorità palestinese e secondo la stessa carta rilasciata dal U.S. Geological Survey, sembra che la maggior parte delle riserve di gas (60%) è situato nelle acque territoriali e nel territorio di Gaza. L’Autorità palestinese ha affidato la gestione a un consorzio di British Gas e consolidato Contractors (società con sede ad Atene, di proprietà libanesi), in cui l’Autorità detiene una quota del 10%.
Due pozzi, Gaza Marine-1 e Gaza Marine-2 sono pronti, ma mai entrati in funzione. Tel Aviv, infatti, ha respinto tutte le proposte formulate dalla Autorità palestinese del consorzio per l’esportazione di gas a Israele ed Egitto. I palestinesi hanno tanta ricchezza che però non possono sfruttare.
Per catturare le riserve energetiche di tutto il bacino del Levante, tra il Libano e la Palestina, Israele usa la forza militare. Due giorni fa, il Ministro degli Esteri libanese Ali al-Shami ha chiesto al Segretario Generale delle Nazioni Unite di fermare Israele, che sfrutta le riserve di energia che si trovano nelle acque al largo del Libano, mentre ministro Uzi Landau sostiene invece che questi depositi si trovano in acque israeliane e ha avvertito che Israele non esiterà a usare la forza per proteggerli. Israele minaccia quindi di attaccare il Libano di nuovo, come fece nel 2006, con l’intenzione anche di togliere la possibilità di sfruttare i giacimenti offshore [ 3 ].
Per lo stesso motivo Israele non accetta uno Stato palestinese, poiché il suo riconoscimento significherebbe riconoscere la sovranità palestinese su una larga quota di riserve di energia, che Israele vuole prendere. E ‘principalmente per questo scopo è stato lanciato l’operazione “Piombo fuso” nel 2008-2009 e poi ripreso a Gaza nella morsa dell’embargo. Allo stesso tempo le navi da guerra israeliane controllano tutto il bacino del Levante, e quindi le riserve offshore di gas e petrolio, nell’ambito del “Dialogo Mediterraneo”, operazione della NATO, in cui anche L’Italia contribuisce per la sicurezza e la stabilità della regione.
(Ndt: E’ possibile che gli avvenimenti di questi ultimi giorni in Tunisia, Egitto abbiano una relazione con queste scoperte energetiche? Una domanda alla quale è difficile dare una risposta, ma la posta in ballo è immensamente grande, sia per il valore economico che per quello geopolitico e Usa ed Israele difficilmente lascerebbero questa posta sul banco senza giocare una carta. )
[1] « Noble Energy Announces Significant Discovery at Leviathan Offshore Israel », communiqué de la firme, Houston, 29 décembre 2010.
[2] Le consortium est composé à 39,66 % par Noble Energy, à 22,67 % par Delek Drilling, à 22,67 % par Avner Oil Exploration et à 15 % par Ratio Oil Exploration. Cependant Delek et Avner sont détenus par les mêmes mains, qui contrôlent donc en réalité de 45,34 % du consortium, tandis que Ratio Oil représente des investisseurs conduits par la Banque d’Israël. Ndlr.
[3] « Israël attaquera t-il le Liban pour lui voler son gaz ? », par Alfredo Jalife-Rahme, Réseau Voltaire, 18 août 2010.
Fonte: voltairenet
Traduzione: Pitocco
La gente dice…