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Archive for ottobre 2010

Yemen, verità nascoste?

31 ottobre 2010 Lascia un commento

Ancora una volta i giornali ed i media televisivi innondano il popolo di notizie che sembrano non avere riscontro nelle dichiarazioni direttore dell’Autorità per l’Aviazione Civile, Hamed Fargh, il quale afferma che nessun aereo americano è decollato o atterrato nelle ultime 48 ore e che nè UPS, Federal Express, DHL e nessun altro volo di una ditta di spedizione USA ha lasciato lo Yemen nelle ultime 48 ore.

Ovviamente lo Yemen Post non si può misurare con la prevalenza della diffusione dei vari NYT, della BBC, della CNN che in questi giorni stanno riversando notizie e contronotizie delle più disparate idee, viene però il sospetto che dietro a questa ennesima messa in scena ci sia la manina dei servizi che in vista delle elezioni di medio termine in USA vogliano aiutare l’ormai, quasi perdente Obama.

Staremo a vedere perché in questi casi oltre ad aiutare Obama la Fed è ancora più interessata afficnhé la pubblica opinione non desti lo sguardo alla prossima ondata di denaro che andrà a stampare per la copertura dell’ormai infinita voragine dei conti delle two-big-too-fail (banche ed assicurazioni).

Netbook a scuola

28 ottobre 2010 Lascia un commento

Netbook, manipolazione o futuro scolastico?

Qualche giorno fa è stata pubblicata la notizia che alcune scuole della Lombardia avrebbero adottato un corso pilota per usare i netbook in luogo dei normali libri cartacei. La notizia non è stata nemmeno presa in considerazione dai grandi media ed è passata inosservata.

I genitori affidano la loro prole alle istituzioni affinché sia impartita la giusta dose di studio ed esperienza, discutono sulle manovre scolastiche del nostro ministro Gelmini, ma non mettono il naso sulle scelte avveniristiche di un progetto particolarmente delicato come quello citato.

In sostanza l’inizio di questa avventura è partita da una scuola lombarda “Istituto Tecnico Pacioli” di Crema alla quale farà seguito “‘Istituto Tosi” di Busto Arsizio, una scuola superiore di Milano e una di Gallarate. Si tratta di sperimentazione, così si dice, ma nel particolare seppur presenti molti vantaggi, pone la questione sul sistema di apprendimento delle nuove leve del mondo del lavoro e sulla capacità di “convogliare” i pensieri e gli atti delle menti giovani che entreranno nel mondo del lavoro e nelle stanze de potere futuro.

I vantaggi, da un lato possono sembrare sicuramente prevalenti, basti pensare alla montagna di libri che ogni studente deve portarsi appresso per qualche ora di scuola, inoltre la capacità di contenere migliaia di pagine di testo dei netbook farebbe propendere per questa scelta. Altro vantaggio, tutto da verificare, sono i costi  per un netbook che può andare da poche centinaia di euro fino ad oltre i 700/900 euro. I libri all’opposto hanno un costo che pare essere superiore ai 100/150 euro all’anno e spesso cambiano di anno in anno. Si pensi a quelli di matematica (sempre la stessa!) che vengono cambiati solo se cambia un’insegnante o se si cambia scuola, così come per quelli di storia.

Allora ci si può chiedere qual’è il problema? Beh, di fondo è un grosso problema. Mancando la corrente elettrica nessun netbook sarà in grado di funzionare anche se alimentati ad energia solare, come certe macchinette per far di conto;  all’imbrunire e alla sera le cose potrebbero mettersi male. Ma questo è il problema minore, anche se condizionante lo studente, ovvero il futuro della nostra gente che dovrà fare i conti con l’energia richiesta per poter studiare. La scuola inoltre non è preparata informaticamente e molti professori sono delle vere e proprie spugne per virus, troian e spam, per contro i ragazzi, smanettoni fino all’invero simile, non sapranno tenere a bada tutte le possibilità di scambiarsi files mettendo quindi in secondo piano quanto prefissato nel progetto.

Quello al quale si deve dare maggior risalto è il sistema di studio: tutti hanno usato matite, pennarelli, penne e quant’altro per evidenziare nel libro quelle parti, quelle frasi o quei paragrafi per imprimerli bene nella memoria. Di fondo l’azione della mano suggerisce alla nostra memoria l’azione del ricordo e tanto più alto è il sistema di coordinamento dell’azione con lo studio, tanto più forte sarà l’imprimatur nello studente. Nelle interrogazioni, nei colloqui e nella vita successivamente, molte delle cose ricordate o pensate faranno riferimento ad una parola precisa ad un segno colorato sul libro o ad un evento collegato al libro in maniera indelebile: anche una macchia, una pagina strappata dall’ira perchè ostica la materia, saprà condurre la mente dello studente all’oggetto della discussione o della interrogazione. Ogni segno, colore, forma del libro sono essenziali per memorizzare, per creare quelle tracce mnemoniche e mentali utili alla riorganizzazione discorsiva e futura. Ora invece tutto viene vanificato dall’anonimo schermo, adesso si dice screen, sul quale, la sola unica cosa che si potrà fare sarà quella di leggere, evidenziare con il mouse o con una penna elettronica, ma mancherà il contatto con la carta.

L’aspetto estetico/scimmiesco della matita o di altro strumento per scrivere o sottolineare è indubbiamente un lato importante dell’apprendimento: i genitori insegnano sin dai primi momenti di vita ed il bimbo anche se non parla interagisce con loro, con gli sguardi, con le urla i pianti e i sorrisini: azione e reazione. Per contro una volta presa la favella, il bimbo agisce e interagisce con il sistema famiglia e a seconda della famiglia stessa egli apprende cosa è possibile e cosa no. Nascono per così dire apprendimenti e memorizzazioni sui fatti che il bambino acquisisce per sperimentazione diretta sulla sua pelle. Nel momento della formulazione del pensiero “etico-logico” il giovane continua la sua sperimentazione per provare fino a che punto è in grado di deformare/adattare la sua presenza all’interno del nucleo al quale appartiene. Azione e reazione, continuamente fintanto che la “sua” mente non si affranca dalle regole imposte. Non si tratta quindi di ribellione, ma solamente della presa di coscienza che il suo pensiero,m pur figlio delle regole della famiglia, ha la possibilità di criticarle, di valutarle per non buone o addirittura di rigettarle per approdare ad altre regole. Tutto ciò anche se riassunto i maniera troppo sintetica è quel percorso che tutti abbiamo fatto, dalla nascita alla morte.

Con questa soluzione, la informatizzazione, le regole sono fisse, inquadrabili ed incontrovertibili. Non è possibile il confronto e nemmeno la discussione. Si veda ad esempio che anche nelle scuole americane più avanzate ed esclusive per la qualità degli insegnamenti e dei professori, l’uso dei sistemi informatici nelle scuole è relegato ad un medium e non come il fine dell’istruzione. In quelle scuole il libro la fa da padrone e non c’è alunno che non abbia il suo bel pacco di libro sotto il braccio o sulla schiena.

Possiamo dire che sia un passo per una migliore integrazione alla grande rete? Sì, certamente lo è, ma possiamo pensare che i nostri figli e i genitori siano liberi di opporsi ad un livellamento informatico generale?

E allora viene alla mente un libro che non viene più di tanto pubblicizzato “1984” di G. Orwell, nel quale la vita di tutti noi è scandita dal tempo informatico, sempre presente e sempre vigile, nel quale nessuno potrà uscire dallo standard digitale.

Il New York Times disinforma sulla Palestina.

26 ottobre 2010 Lascia un commento

Si scopre che la voce delle verità che ci vengono propinate spesso sono soggette a filtri come in questo interessante articolo:

Recenti esplosive inchieste giornalistiche hanno rivelato che Ethan Bronner, capo dell’ufficio della Palestina-Israele del New York Times, ha un figlio nelle forze armate israeliane, e questo ha causato una tempesta di polemiche che continua a girare e generare ulteriori rivelazioni. (Vedere il mio pezzo per CounterPunch, The New York Times il conflitto di Ethan Bronner con imparzialità.) Molte persone trovano preoccupante un tale segno di partigianeria famigliare in un redattore che copre un conflitto estero – soprattutto considerati i resoconti del Times, un giornalismo orientato verso Israele. La direzione del Times in un primo momento si é rifiutata di confermare la situazione Bronner, poi non ha voluto fare dei commenti. Infine, l’opinione pubblica ha costretto l’editore Clark Hoyt del Times ad affrontare il problema in una colonna del 7 febbraio. Dopo essersi fatto in quattro per lodare l’istituzione che lo impiega, Hoyt infine ha espresso l’opinione che Bronner dovrebbe essere ri-assegnato a una area diversa al fine di evitare “l’apparenza” di parzialità. L’editore del Times Bill Keller si è rifiutato di farlo, peraltro, invece ha scritto una colonna dove afferma che le connessioni di Bronner a Israele sono preziose in quanto “forniscono un punto di vista sofisticato su Israele e sui suoi avversari, che mancherebbe a qualcuno senza connessioni.”

Se tale “sofisticazione” è preziosa, l’impegno sposato dal Times “all’imparzialità e alla neutralità delle redazioni del giornale” sembrerebbe esigere che essa disponga di un editore bilanciato, altrettanto sofisticato sulla Palestina e il suo avversario, ma Keller non affronta questo problema. Bronner è ben lungi dall’essere il solo.

A quanto pare, i legami di Bronner con i militari israeliani non sono una rarità come ci si potrebbe aspettare.
Un precedente capo ufficio del Times, Joel Greenberg, prima era il capo ufficio, ma successivamente da Israele stava già pubblicando sul Times, effettivamente ha prestato servizio nell’esercito israeliano.
Anche un esperto di Media e membro dello staff di Atlantic Jeffrey Goldberg, servì nelle forze armate israeliane, non è chiaro quando, come, o anche se il suo servizio militare si sia concluso.
Richard Chesnoff, che ha coperto gli eventi in Medio Oriente per più di 40 anni, nel contempo che egli copriva Israele come senior corrispondente straniero del US News & World Report’s, ha avuto un figlio in servizio nelle forze militari israeliane.
Il marito di Linda Gradstein della NPR (National Public Radio) è stato un cecchino israeliano e potrebbe ancora essere nelle riserve israeliane. NPR si rifiuta di rivelare se Gradstein stessa è anche una cittadina israeliana, come lo sono i suoi figli e il marito.
Mitch Weinstock, direttore nazionale per il San Diego Union-Tribune, ha servito nelle forze armate israeliane.
Altri corrispondenti del The New York Times regionale, Isabel Kershner, è una cittadina israeliana.
Israele ha il servizio militare obbligatorio per tutti, il che suggerisce che Kershner stessa e / o membri della sua famiglia possono avere legami di carattere militare.

Il Times si rifiuta di rispondere alle domande sul fatto che lei e / o familiari abbiano servito o sono attualmente in servizio nelle forze militari israeliane. È possibile che la stessa Susan Chira redattore Esteri del Times abbia tali connessioni? Il Times si rifiuta di rispondere.
Molti scrittori e redattori della Associated Press sono cittadini israeliani o hanno famiglie israeliane. AP non rivelerà quanti dei giornalisti nel suo ufficio di controllo per la regione, siano attualmente in servizio nelle forze armate israeliane, quanti hanno servito in passato, e quanti hanno membri della famiglia con questa connessione.
Allo stesso modo, corrispondenti TV come Martin Fletcher sono stati cittadini israeliani e / o hanno famiglie israeliane. Hanno legami familiari con l’esercito israeliano? Il capo ufficio del Time Magazine diversi anni fa, è diventato un cittadino israeliano, dopo aver assunto quel posto. Ha parenti nelle forze armate? Wolf Blitzer della CNN, pur non essendo un cittadino israeliano, si era installato in Israele per molti anni, ha scritto un libro di ripulitura sullo spionaggio di Israele contro gli Stati Uniti, e lavorava per la lobby israeliana negli Stati Uniti. Nulla di tutto questo è divulgato agli spettatori della CNN. Michael Lerner editore di Tikkun ha un figlio che ha servito nelle forze armate israeliane. Mentre Lerner è stato fortemente critico nei confronti di molte politiche israeliane, in una intervista a Jewish Week , Lerner spiega: “Avere un figlio nell’esercito israeliano era una manifestazione del mio amore per Israele, e credo che avere un figlio nell’esercito israeliano sia per Bronner’s una manifestazione di amore per Israele”. Lerner continua con un punto fondamentale: “… c’è una differenza nel mio legame emotivo e spirituale con queste due parti [israeliani e palestinesi]. Da un lato è la mia famiglia, dall’altro lato sono esseri umani decenti. Voglio sostenere gli esseri umani in tutto il pianeta, ma ho un legame speciale con la mia famiglia. Non lo nego “. Per un gran numero di giornalisti e redattori che determinano ciò che gli americani conoscono su Israele-Palestina, Israele è la famiglia. Jonathan Cook, un giornalista inglese con sede a Nazaret, scrive di un recente incontro con un capo ufficio che aveva la sede a Gerusalemme, che ha spiegato: “… la situazione Bronner è la regola, non l’eccezione. Posso pensare a una dozzina di capi ufficio sugli esteri, responsabili per la copertura di Israele e dei palestinesi, che hanno servito nell’esercito israeliano, e di un’altra dozzina, che hanno come Bronner figli nell’esercito israeliano.” Cook scrive che il capo dell’ufficio ha spiegato: “E’ comune sentire i giornalisti occidentali che si vantano l’un l’altro circa le proprie credenziali sioniste, il loro servizio nell’esercito israeliano o il fedele servizio militare dei loro figli.” A quanto pare, i legami intimi con Israele sono tra i molti segreti di Pulcinella nella regione che sono nascoste al pubblico americano. Se, come i media insistono, questi legami non presentano alcun problema o addirittura, come Keller del Times insiste, valorizzano il lavoro dei giornalisti, perché le agenzie di notizie costantemente si rifiutano di ammetterlo? Il motivo non è complicato, mentre Israele può essere familiare a questi giornalisti e redattori, per la stragrande maggioranza degli americani, Israele è un paese straniero. In sondaggi dopo sondaggi, gli americani dicono che non vogliono “prendere posizione” su questo conflitto. In altre parole, l’opinione pubblica americana vuole copertura piena, non filtrata, imparziale . Molto probabilmente i media si rifiutano di rispondere alle domande circa l’affiliazione dei propri giornalisti, perché il pubblico, correttamente, sarebbe seccato di sapere che i giornalisti e i redattori incaricati di fornire notizie su una nazione straniera e su un conflitto sono, infatti, di parte. Mentre Keller afferma, che il New York Times sta trattando questo conflitto “in modo imparziale”, gli studi indicano diversamente:
* Il Times riporta i rapporti internazionali che documentano le violazioni israeliane dei diritti umani ad un tasso 19 volte inferiore di quanto riporta del numero decisamente inferiore di relazioni internazionali che documentano violazioni dei diritti umani dei palestinesi.
* Il Times riporta delle morti di bambini israeliani a tassi sette volte maggiore rispetto a riportare le morti dei bambini palestinesi, anche se questi ultimi sono di gran lunga di più e si sono verificati prima.
* Il Times manca di informare i suoi lettori che le colonie, solo per ebrei, di Israele costruite su i terreni confiscati ai palestinesi cristiani e musulmani sono illegali, che la punizione collettiva che Israele attua su 1,5 milioni di uomini, donne e bambini a Gaza non è solo crudele e spietata, ma è anche illegale e che il suo uso di armi americane è di routine, in violazione delle leggi americane.
* Il Times riporta dell’unico israeliano (un soldato) detenuto dai palestinesi a un tasso incalcolabilmente superiore rispetto a quello riportato sugli uomini palestinesi, donne e bambini – la stragrande maggioranza civili – detenuti da Israele (attualmente oltre 7.000).
* Il Times trascura di segnalare che centinaia di prigionieri di Israele non sono mai stati accusati di un crimine e che coloro che sono stati giudicati nei tribunali militari israeliani con una serie di bizzarre leggi militari che fanno diventare una offesa criminale anche piantare delle cipolle senza un permesso – un sistema giuridico, se così si può chiamare, che cambia secondo i capricci del governatore militare del momento, che governa su una popolazione soggiogata, un sistema in cui i genitori sono privi di potere nel proteggere i propri figli.
* Il Times non riesce a informare i suoi lettori che il 40 per cento dei maschi palestinesi sono stati imprigionati da Israele, una statistica che normalmente sarebbe considerata altamente interessante, ma che Bronner, Kershner, e Chira apparentemente considerano non importante da segnalare. Gli americani, i cui rappresentanti eletti danno, unicamente a Israele, somme gigantesche dei nostri soldi di contribuenti ( altra situazione che non viene riportata dai media), vogliono e hanno bisogno di tutti i fatti, non solo di quelli che i membri della famiglia di Israele decreta riportabili. Questi fatti noi non li otteniamo

* Alison Weir is executive director of If Americans Knew.

Fonte: uruknet

Cyber War, mancano i soldi? Meglio la guerra al pc.

22 ottobre 2010 Lascia un commento

In periodi di crisi, dove il mondo intero soffre di una profonda spinta alla ripresa economica, affondata dalla criminale attività finanziaria di alcuni grandi gruppi bancari e finanziari, dove molti stati tagliano le spese per le forniture militare reali, si è pensato che per far fronte agli ipotetici attacchi terroristici la miglior risposta sia quella di mettere in ginocchio i paesi che sono in odore di terrorismo tramite attacchi informatici rendendo inattivi quegli obbiettivi sensibili di un paese che tramite l’informatizzazione controlla la più parte delle sue attività.

La Homeland Security ha deciso quindi di realizzare un gruppo di lavoro e di studio per la realizzazione di un progetto Cyber Storm3.

Il progetto, in coordinamento con il Pentagono e con altri paesi della coalizione della Nato (Australia, Britain, Canada, France, Germany, Hungary, Japan, Italy, the Netherlands, New Zealand, Sweden, and Switzerland) è mirato alla difesa dei punti sensibili delle nazioni (Centrali elettriche, Nucleari, idroelettriche, forniture alimentari, Gas, Petrolio ecc.ecc.) necessari e funzionali alla soppravvivenza delle nazioni stesse. Per questo motivo sono stati portati degli attacchi simulati dove si dichiara che non è stato inoculato alcun malware  e nessun virus, ma dei quali non è dato conoscere il risultato dell’attività (segreto militare? o intrusione simulata da un finto attacco per carpire i segreti di alcune nazioni?).

Nel frattempo anche l’Europa si mossa, copiando quando fatto dalla sua alleata USA istituendo un gruppo di studio e di azione, costituito da un gruppo di aziende di stati europei che hanno realizzato un centro “Cooperative Cyber Defence Centre of Excellence” in Estonia nel 2008.

Nel passato molti di questi attacchi furono perpetrati da USA per la guerra di Serbia, da Israele per controllare la Siria e da Israele e USA per il controllo delle comunicazioni e delle attività sensibili in Iran. Il grido che si leva quindi dalle nazioni Unite è il timore che la guerra digitale possa portare alla catastrofe mondiale e ogni attacca digitale sarebbe paragonabile come una dichiarazione di guerra (!!!!)

Grande fratello 11, il senso dell’inutilità ghetizzata.

20 ottobre 2010 Lascia un commento

Da qualche giorno è partito la nuova serie televisiva del Grande Fratello non di orwelliana memoria, ma molto più casalingo, insomma la solita minestra nauseante che Mediaset propina ai suoi seguaci e ad una parte del mondo inutile, ormai decerebrato che persevera a starsene incollato a vedere cosa possono fare alcuni oggetti (chiamarli esseri umani sarebbe un insulto per tutti quelli che invece lo sono) posti in un ambiente finto.

Molti giovani sono lì, sbavanti nell’attesa delle varie eliminatorie, dei vari confessionali, delle varie idiozie create ad arte e bell’apposta per coinvolgere il pubblico e finalizzate per un unico scopo: fare denaro, quanto più denaro sia possibile. Attraverso la pubblicità ed altre tecniche di vendita poste a condizionare e soggiogare le menti deboli delle ragazze e dei ragazzi che vedono questa trasmissione con il fine delle loro aspirazioni e come inizio di un nuovo loro mondo. Nella realtà, quello che non viene mai pubblicizzato, sono i massacri mediatici, personali di migliaia di giovani alla ricerca di una collocazione che la nostra società non è in grado di dare né tramite la scuola, né con la famiglia.

I genitori, quegli imbecilli, i primi e la vera causa di questo sfacelo, sono così solerti a spingere i loro figli che dopo la loro eliminazione hanno anche il coraggio di umiliarli e di sbeffeggiare. Non parliamo poi di quelli che vengono scartati nelle stanze anche tramite il voto di altri deficienti telefonici che vanno ad ingrassare le casse dei gestori telefonici tramite i vari sondaggi. Tutto in funzione a come succhiare e prosciugare le già magre economie delle famiglie.  Passi quindi l’entusiasmo del giovane, inesperto e incapace di scegliere tra ciò che è bello, piacevole coinvolgente da quello che è sorretto dall’inganno, dalla truffa mediatica e dalla costruzione di un pagliaccio di carta, ma vedere che in questa bolgia si buttano a pesce anche molti personaggi di cultura (?)  fa pensare alla qualità interiore di certe persone.

E’ possibile definire questa cosa un fatto culturale? E’ possibile che l’autorità per il controllo della telecomunicazioni audio-visive sia così collusa con i poteri da permettere un’orrenda trasmissione di questo genere? Sicuramente le risposte potranno essere molte e variegate, ma siamo comunque certi che una buona fetta di ragazzi e ragazze sta scegliendo un tipo di vita con ha nessun riscontro nella qualità della vita di ogniuno di noi.

E’ probabile che nel marasma generico, nella totale assenza di valori, nell’indifferenza del mondo politico alla gioventù ed al futuro della sua nazione, questi giovani, in cerca di visibilità e di un ruolo in questa deviata società, si aggrappino a quello che essa offre, sia che si tratti di postriboli mediatici che offra un carro dove trasportare  le proprie vite in una dimensione diversa dal quotidiano e dalla miseria della vita comune ed interiore che essi hanno.

E’ penoso pensare che molti giovani siano proiettati in questo senso, ma è altresì ignobile che gente adulta, più esperta, manipoli ed armeggi sulla vita d questi ragazzi per sfruttare economicamente, depredando e defraudando anche il più benché minimo senso di ingenuità. Un tempo si usavano le bestie e gli schiavi nelle arene per il divertimento del popolino, dei patrizi e dell’imperatore, adesso la gogna mediatica è servita allo stesso modo, anzi lo scannatoio umano è lì in bella mostra, i genitori vanno fieri delle loro bestie, il popolino se la ride e i patrizi e l’imperatore, in un’altra stanza conta tranquillamente il denaro accumulato alle spalle degli uni e degli altri. Ben vi stà!

Per chi non lo sapesse la società che sostiene questa trasmissione è la Endemol, formata da Mediacinco Cartera (Gruppo Mediaset), da Cyrte, società del fondatore John de Mol, e la banca d’affari Goldman Sachs.

Negazio Sionismo giudaico.

17 ottobre 2010 Lascia un commento

In un articolo di “La Repubblica” il presidente della comunità ebraica di Roma, Riccardo Pacifici, sottolinea la necessità di porre un freno ed un limite alla prevaricante, secondo lui, revisione storica che alcuni studiosi intendono portare avanti su quanto accadde durante la II Guerra Mondiale sullo sterminio degli ebrei.

Pur comprendendo le sue intenzioni e quelle dei suoi sostenitori, molti dei quali con il giudaismo non hanno nulla da condividere, trovo strano che si intenda mettere un bavaglio ad una concreta e onesta revisione della storia, di quanto accaduto, dei fatti e delle varie sfaccettature che pochi di noi conoscono. Non si può pensare che questa richiesta di aprire il vaso di Pandora sulle verità nascoste siano per la comunità ebraica un evento scomodo, perché lascerebbe intravvedere che molte vicende si siano sviluppate al fine di favorire la nascita dello stato di Israele; non si può ammettere che alcune persone, molte delle quali di religione ebraica, invece, non combattano a piene mani al fine di porre una onesta visione degli avvenimenti accaduti (si veda a questo proposito Gilad Atzom, Shlomo Sand e Finkestein, tutti ebrei e contrari a quanto richiesto da Pacifici).

Nell’articolo si evidenzia la necessità che lo Stato Italiano si deve assumere la veste di censore delle idee negozioniste /revisioniste e quindi non permesse dalla intellighenzia comune, così che chi non è d’accordo sia punito legalmente. Così accade in Germania dove il negazionismo/revisionismo è reato, vedasi il caso dell’avvocato Sylvia Stolz accusata di negazionismo perché s’era arrogata la difesa di uno che del negazionismo ne aveva fatto la sua fede di vita. Lei, l’avvocato, per questo lavoro fu condannata. Le premesse kafkiane ci sono tutte.

Quello che però pone il dubbio è: perché la comunità ebraica, bistrattata e malmenata da dx e da sx ha la necessità di evitare che sia fatta luce su un fatto storico di atroce barbarie che la coinvolge? Non è forse meglio, per la pace di tutti, che chi è colpevole abbia la giusta punizione? Perché evitare il confronto? Perché arrocarsi in posizioni che lasciano scoperto dubbi e circostanze delle quali l’ebraismo non ha bisongno? Sono domande lecite e non negazioniste, domande che non ricevono risposta se non quella sempre ormai stracotta della vergonga dello sterminio.  E strano ‘sto fatto!!

Cosa si vuol difendere e cosa si vuol nascondere?
Nessuno afferma che l’olocausto non ci sia stato e nessuno ammette che le leggi razziali in Germania, così come in altri paesi europei, abbiano avuto dei risultati di civiltà, ma allo stesso tempo è giusto che gli storici, tutti, anche quelli che la pensano diversamente, compiano i loro studi, siano liberi di elaborare le loro teorie, forse sbagliate, che potranno essere confutate dalle oggettive prove che il mondo intero porta giorno dopo giorno.

Perché voler sopprimere un pensiero? Non è forse l’idea migliore quella che daresti la propria vita affinché tu possa esprimere la tua idea? E quindi, perché mai voler ghettizzare, annichilire, sopprimere e rendere nullo un pensiero, ancorché contrastante e opposto? Che importa se contrario a quello comunemente condiviso? Forse che nell’idea condivisa si nasconde qualche falla di verità sottaciuta? E se è vero questa deduzione, possiamo permttere che i nostri figli crescano con la menzogna nel cuore e nella ragione?

Una parte che molti, tutti, dovrebbero tenere bene a mente è quanto ha espresso Sergio Romano sul Corsera «La storia non deve essere schiava dell’attualità e non deve essere dettata agli storici da memorie concorrenti. In uno Stato libero, non spetta ad alcuna autorità politica definire la verità storica e restringere la libertà dello storico sotto la minaccia di sanzioni penali» e sempre dal Corsera: “le università devono essere libere e all’interno ci deve essere una piena libertà di pensiero. La libertà di pensiero non deve tradursi in un delitto di opinione. Le opinioni non possono essere considerati dei reati. Nessuna legge deve limitare la libertà di insegnamento”.

Società allo sbando

17 ottobre 2010 Lascia un commento

Sara Scazzi, un nome sul quale molti hanno pensato male, un nome che invece fa venire alla mente le cose peggiori che alcuni esseri hanno potuto fare.

Non andrò a ripercorrere le vomitate giornalistiche di questi ultimi tempi, perché ne ho la nausea, ma vorrei soffermarmi sulla capacità mediatica dei diversi mezzi di informazioni di distrogere la realtà e di coinvolgere le persone, distraendole, dai problemi reali che affliggono la nostra società.

Le notizie nascono per essere incanalate a seconda delle necessità di chi le gestisce: vuoi per denaro, per potere o entrambi le cose. Tutte comunque finalizzate alla manipolazione delle masse. Non devono pensare e se un pensiero deve esserci che sia unico, quello stabilito dall’intellighenzia dominante.

Questa povera bambina, perché altro non la si può definire, ha subito una fine che nessuno sicuramente le avrebbe augurato, ma è accaduto. Il fatto in se, socialmente parlando, è di estrema importanza, perché segna un confine netto tra ciò che  permesso fare e quello che invece non ha un colore ben definito e lascia spazio a mille interpretazioni. La morale, per quella bambina, è che la morte ha prevalso nella sua giovane vita. Non sappiamo le motivivazioni e nemmeno le cause scatenanti l’omicidio, nessuno lo sa se non il suo omicida.

Dicevo, è un fatto socialmente importante, da analizzare, da sviscerare e da ricondurre nelle aule dei tribunali perché la giustizia faccia il suo corso.

Ma all’intero popolo italiano cosa può interessare una notizia del genere? Cosa può cambiare nel pensiero di un disoccupato che deve sfamare una famiglia, o di persone che a fatica arrivano a fine mese, perché in mobilità, o perché non trovano licenziati ad un’età non più “produttiva” ma che non hanno ancora raggiunto l’età pensionabile? Cosa può cambiare alla nostra economia? Ed alle piccole industrie che non raggiungono i fatturati necessari per avere un prestito in banca, cosa può influire una notizia del genere? Penso che il pensiero comune sia: nulla, niente, assolutamente insignificante. Certo dispiace, ma la vita qui, così come da voi, non cambia di una virgola.
La stessa cosa accadde per quel bambino di Vermicino, mesi e mesi di intere riprese di pianti di urla della gente e…nel frattempo la lira affondava sempre di più creando lo sbando economico che solo dopo anni poté riprendersi, ma il caso, voluto,  che in altr tempi sarebbe stato relegato alla pagina di cronaca, è stato l’aspirina per togliere i dolori dalla gente della perdita di lavoro, per le banche che annaspavano perché la lira subiva immani svuotamenti del suo valore e nel contempo i conti in banca dei vari italiani diventavano sempre più esigui prosciugati dalla mano feroce e criminale di alcune manovre finanziare che Soros e Company mossero contro l’Italia, la Sterlina e Marco Tedesco. Tutti eravamo incollati alla TV per quel bambino e mentre egli affondava sempre di più in quel budello di terra anche l’Italia scendeva con lui nel baratro finanziario con la complicità di altri nostri autorevoli politici, tra i quali il noto Ciampi. Nessuno disse nulla, e nemmeno i giornali più allineati dettero una rilevanza al disastro che si attuava, era necessario stare zitti e permettere agli “amici” di fare il loro lavoro di depredare l’Italia a più non posso.

La stessa cosa sta accadendo anche adesso: l’Italia allo sfascio, ma ora in maniera molto più subdola, perché se allora alcune nazioni furono coinvolte nello sfascio, adesso la scusa vale per tutte quelle che vorrebbero alzare la testa dalla compagine dei soci razziatori.
Non si può fare: tutti allineati e zitti! Altrimenti avrete le pezze al culo e il disastro sociale/economico e politico.

I primi mattoni per il disastro li hanno già messi per bene al loro posto: l’Unione Europea con il trattato di Lisbona, in cui chi comanda NON è il parlamento europeo, organo consultorio, ma bensì la Commissione Europea (non eletta da nessuno dei cittadini europei!!!) che risponde direttamente alle mani forti delle grandi multinazionali – i grandi gruppi bancari, assicurativi, finanziari,  il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale. Tutti organi preposti alla ruberia, al saccheggio, all’usura più perfida con l’appoggio dei vari politici, ormai vassalli dei potenti e non alla politica del popolo che li ha eletti.
Chi crede ancora alla democrazia è sicuramente un grande illuso, illuso per il semplice motivo che non è mai esistita e tanto meno quanto più i politici ne urlano i suoi pregi.

Ogni giorno ci sarebbe di che parlarne, perché i nostri problemi, quelli dell’economia, dell’agricoltura che non funziona, della finanza, della possibilità di un popolo di sopravvivere sono problemi che coinvolgono tutti senza distinzioni, dal più piccolo come al più grande, ma è per il bene sociale che non se ne parla. Meglio stare zitti, non dire nulla e dare l’impressione che ci si preoccupa per una povera bambina piuttosto per il baratro che stiamo affrontando e dal quale la via di fuga ci è preclusa. Come i lemmings accettiamo il suicidio di massa, nessuno che alzi la testa.

Vietato pensare, parlare di cose ben più importanti e più coinvolgenti. No! E…come dice il detto: un bel tacer non fu mai scritto. I fatti, quelli che contano, quelli che fanno muovere la nostra locomotiva italiana non vengono mai accennati, ma tenuti nascosti. Chissà perché? Eppure qualcuno sostiene che non bisogna essere pessimisti e che la soluzione c’è sempre e comunque, certo!

Anche quella di morire di fame, di inedia, di disoccupazione!

Mini Global Hawk italiani per la guerra in Pakistan

13 ottobre 2010 Lascia un commento

In Pakistan si registra l’escalation delle operazioni coperte della CIA, l’agenzia d’intelligence degli Stati Uniti d’America. Nel solo mese di settembre, a Wana nel sud Waziristan, sono stati lanciati più di 20 attacchi contro presunti obiettivi filo-Talibani utilizzando i famigerati velivoli senza pilota UAV del tipo “Predator” o “Reaper”. Un martellamento senza precedenti che, secondo i ricercatori del sito web The Long War Journal, porta a 74 il numero degli attacchi effettuati nel 2010 dalla CIA con UAV che sganciano bombe e missili aria-terra. Il Pentagono, da parte sua, ha varato un piano coperto per lo schieramento in Pakistan di un battaglione del III Gruppo delle Forze Speciali Aviotrasportate (3rd Special Forces Group – Airborne), forza d’elite USA di stanza a Fort Bragg, Nord Carolina. Già ampiamente impegnato nello scacchiere afgano, il III Gruppo delle Special Forces avrà come compiti primari «l’azione diretta, l’intelligence e il riconoscimento, l’assistenza alle forze di sicurezza, le operazioni congiunte civili-militari e la fornitura di servizi alle popolazioni locali».
Tre intensi bombardamenti sono stati realizzati negli ultimi giorni da aerei ed elicotteri USA in aree prossime alla frontiera con l’Afghanistan, causando la morte di 50 presunti membri di un gruppo filo Al Qaeda. La crescita esponenziale dell’intervento militare statunitense in Pakistan è stato confermato dal Pentagono che ha spiegato che «i bombardamenti fanno parte di uno sforzo congiunto militare e d’intelligence per cercare di mutilare i Talibani in una roccaforte utilizzata per pianificare attacchi contro le truppe USA in Afghanistan». A breve, potrebbero essere diretti veri e propri raid terrestri al confine Pakistan-Afghanistan, per cui si attenderebbe solo l’autorizzazione del presidente Obama. Una spirale di guerra in parte temuta dalle autorità politiche e militari pakistane che hanno bloccato una delle rotte vitali per l’approvvigionamento delle truppe NATO in Afghanistan in ritorsione ad un recente attacco aereo alleato nella regione nord-occidentale del paese. Islamabad condivide con Washington le finalità della lotta anti-insorgenti, ma rivendica il pieno esercizio della sovranità sul territorio nazionale e un coinvolgimento più diretto delle proprie forze armate.
Il Pakistan è attualmente impegnato in uno sforzo bellico interno costosissimo in termini di risorse finanziarie e umane. Nelle offensive e nelle operazioni d’intelligence nelle regioni nord-occidentali contro una serie infinita di target (depositi munizioni, bunker e altre infrastrutture utilizzate da presunti Talibani), il regime utilizza dall’estate 2009 un proprio sofisticatissimo aereo senza pilota di dimensioni ridotte rispetto ai più noti Global Hawk dell’US Air Force. Il mini Hawk, il “piccolo Falco”, è un aereo spia tattico in grado di sondare metro per metro il territorio ed inviare le immagini ai centri di comando terrestri per una loro elaborazione. È un gioiello di guerra ad alta tecnologia “made in Italy”, il Falco UAV delle forze armate pakistane. Questo velivolo, infatti, è stato progettato e realizzato da Selex Galileo (già Galileo Avionica), una delle aziende del comparto Finmeccanica. Il “Falco” è in grado di volare a medie altitudini, ha un raggio di azione di 230 km e un’autonomia superiore alle 12 ore di volo, e può trasportare carichi differenti tra cui, in particolare, sensori radar ad alta risoluzione. Prodotto nello stabilimento di Ronchi dei Legionari (Gorizia), è stato sperimentato la prima volta nel 2004 nel poligono sardo di Salto di Quirra. Test dimostrativi sono stati poi effettuati in condizioni ambientali estreme, dai ghiacci del nord Europa a zone desertiche con temperature di oltre 40 gradi centigradi, mentre una serie di lanci sono avvenuti dalla base aerea di Cheshnegirovo (Bulgaria).
A fine 2008 la prima commessa per Selex Galileo, acquirente appunto il Pakistan. Nonostante i manager dell’industria italiana abbiano mantenuto il massimo riserbo sull’affaire (si tratta comunque di un paese in guerra, profondamente autoritario e dove è in vigore la pena capitale anche per lapidazione), fonti giornalistiche USA hanno documentato il trasferimento al Pakistan di «5 sistemi aerei, che includono un totale di 25 Falco UAV con unità di volo di riserva e stazioni di controllo terrestri (GCS)». I primi due sistemi “Falco”, non armati, sarebbero stati consegnati al regime di Islamabad nel marzo 2009; altri due sarebbero in dirittura d’arrivo, mentre l’assemblaggio dell’ultimo sistema dovrebbe avvenire in Pakistan nel complesso industriale statale di Kamra, nei pressi della capitale. La consegna dei mini Global Hawk non è stata però gradita da Washington. In precedenza, il Pentagono aveva posto il veto alla vendita al paese asiatico di un modello UAV USA più avanzato per il timore che i servizi d’intelligence locali potessero trasferire “i dati sensibili” raccolti ai leader delle organizzazioni ribelli. Una preoccupazione evidentemente non avvertita dai vertici di Selex Galileo che anzi puntano ad esportare al mercato mediorientale una versione più avanzata del velivolo (il “Falco Evo”) che consentirà un’autonomia di volo sino a 18 ore, una capacità di trasporto sino a 120 Kg e la possibilità di ospitare a bordo bombe e missili teleguidati.
Altri “Falco” UAV made in Italy potrebbero essere trasferiti a breve alle forze armate degli Emirati Arabi Uniti, secondo quanto annunciato dall’amministratore delegato di Finmeccanica, Pier Francesco Guarguaglini. La fornitura dei velivoli a pilotaggio remoto farebbe parte di un “pacchetto” complessivo comprendente anche il trasferimento agli EAU di tecnologie nel campo dei materiali compositi e la creazione di una joint venture con la holding industriale-finanziaria Mubadala con sede ad Abu Dhabi, per la realizzazione di velivoli UAV della classe Medium Altitude Long-Endurance (MALE). Essi si svilupperebbero dal programma denominato “Molynx” di Alenia Aeronautica: velivoli senza pilota bimotori con una lunghezza di 12 metri e un’apertura alare di 25, in grado di volare a 407 km/h con un’autonomia di 30 ore ed effettuare missioni d’intelligence, ricognizione e sorveglianza del suolo volando a elevatissime quote (sino a 13.700 metri sul livello del mare) e in qualsiasi condizioni atmosferica.
Sulla partenership Finmeccanica-Mubadala per la produzione di UAV di ultima generazione incombe tuttavia l’esplicita opposizione di Stati Uniti d’America ed Israele, i quali non guardano con occhio benevolo al vasto processo di riarmo in atto tra le forze armate degli Emirati Arabi. Finmeccanica avrebbe così allentato la trattativa con Abu Dhabi, scontentando però gli emiri che adesso minacciano di congelare sine die l’acquisto dei 48 caccia bimotori M-346 “Master” già ordinati ad Alenia Aermacchi. Una megacommessa da due miliardi di euro perorata in tutte le sedi istituzionali dalla lobby parlamentare bipartisan dei mercanti d’armi italiani.

ref: peacelink.it

Altri morti!

11 ottobre 2010 Lascia un commento

Si è compiuta, ancora una volta, l’ennesima batosta alle nostre forze armate stanziate in una terra che non è la loro, a fare il cane da guardia agli interessi di alcune grandi nazioni e multinazionali.

Lo stato, i giornali sono accomunati da un senso di dolore in cui tutti vedono l’eroismo per quei ragazzi. Ragazzi!

Non è necessario onorare i nostri soldati che sono in un paese straniero, in guerra, a combattere una guerra non nostra e a sacrificare la propria vita solo per interessi di alcuni. Mi fa ridere a crepapelle quando La Russa commemora queste cose, lui che del militare non sa nemmeno cosa significhi esserlo, così mi fanno ridere i vari Fini, Schifani ed altri pezzi di una congrega massonica che della vita di quei soldati non sa nemmeno che farsene, mi fa ridere il saperli così rattristati, perché nelle loro lacrime si raccoglie il veleno per altri omicidi.

L’omaggio agli eroi si dona a quelli che difendono la loro patria, che non abbiamo più, agli ideali di una condivisione di un popolo italiano dilaniato dalle più ignobili figure che il parlamento abbia mai avuto, a quei soldati che stanchi d’esser derisi e dilaniuati degli interessi di alcuni, vanno a morire in una terra di cui non capiscono del perché essere lì se non la semplice paga dalla quale dipendono le loro famiglie.
Quegli sarebbero eroi.

Questi, questi morti non sono eroi, ma becchime per quel porcilaio italiano che vorrebbe indurci a pensare che liberiamo il mondo dal terrore, mentre con l’altra mano ci spingono sull’orlo del baratro.
Questi morti sono gente comune, che non solo non sa cosa stanno facendo, ma crede che il lavoro del militare sia un lavoro come un altro e ciò, dato il rischio della loro vita, non è! Ma lo scoprono troppo tardi e le loro famiglie piangono!

Dilaniati dai fratelli di questa insana repubblica e dall’ideale corporativo sbarcanoi in terre a loro ostili, in terre in cui le grandi nazioni, ma sarebbe meglio dire, i grandi interessi mondiali, come predatori ad una carovana, rapinano, saccheggiano, stuprano, uccidono senza il rispetto e senza l’onore di combattere per la propria patria, ma solo ed esclusivamente per i loro interessi egemonici.

Essi non sono angeli, perché non è della loro religione che si compie il comandamento “Non uccidere”; essi sono poveri giovani, miseri e da compatire e da onorare per non aver capito, come un giovane inesperto, che il costo delle loro vite è più prezioso di quello degli interessi personali delle grandi aziende multinazionali.

Per loro non serve il falso onore che quegli infami vogliono loro donare a saldo della vergogna interiore che non vogliono e non possono esprimere, a loro va invece una preghiera, per chi crede, ed un aiuto per quelle famiglie che di questi giovani sospirava il tangibile contributo di sussistenza.

IDF’s Dance

6 ottobre 2010 Lascia un commento

In Hebron, località occupata dalle truppe israeliane, riporta il giornale online Haaretz.com, si è verificato un ennesimo atto di umiliazione del popolo palestinese a cura di alcuni soldati delle forze israeliane.

Il video, andato in onda su Channel 10, mostra un soldato che simula la danza del ventre agitandosi attorno ad una donna palestinese con gli occhi bendati riversa contro un muro.

Commentare l’umiliazione sarebbe troppo facile, più difficile è capire la pazienza di questo popolo semita, quello palestinese, condannato all’estinzione fisica e culturale.

L’Europa tace, le altre nazioni tacciono, i potenti della terra tacciono e distolgono lo sguardo in quella porzione di territorio ormai divenuto luogo di barbarie e di gozzoviglie talmudiche.

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