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Venti di questi cargo inquinano più di tutte le auto del mondo.

29 dicembre 2018 Lascia un commento

Pieni di alta coscienza ambientale,   di sicuro siete già molto preoccupati di quanto inquinano   gli automezzi a combustione interna, specie Diesel.  Presto vi faranno allarmare sempre più, grazie ad appositi servizi mediatici.  Ma ecco la soluzione: come a segnale convenuto, Volvo annuncia che produrrà  solo auto elettriche  o ibride, BMW costruirà una Mini elettrica in Gran Bretagna , “Mercedes sfida Tesla: dieci modelli elettrici dal 2022”.  Elon Musk , il più geniale imprenditore secondo i media ,   ha già costruito  la Tesla  Gigafactory,  “la più grande fabbrica del mondo”, che (promette)  “dal 2018 potrà fornire celle al litio per 500.000 vetture all’anno”.


E se accadesse che la maggior parte dei consumatori, arretrati ed ecologicamente scorretti,  non fossero convinti della convenienza di acquistare  auto elettriche con batterie al litio,  decisamente più costose?  Niente paura: ecco i governi che, sempre solleciti del vostro bene,   già annunciano:   vieteremo l’entrata delle auto a Londra entro il 2040, a Berlino  entro il 2020, “Parigi ed Oslo dichiarano la guerra al Diesel”,  i sindaci di diverse capitali stanno seguendo:  solo  auto elettriche  nei centri cittadini. Il governo Usa elargirà a Elon Musk 1,3 miliardi di sussidi pubblici,  per la sua  geniale impresa (Musk è geniale anche nell’intercettare  sussidi  pubblici).  Vi toccherà comprare un’auto elettrica.  Ostinarsi a tenere un diesel sarà  segno di rozzezza e  insensibilità, come essere “omofobo” e populista.

Di punto in bianco, l’auto elettrica.

E   anche i governi, avrete notato, si sono schierati per l’elettrico  “a segnale convenuto”  –  signo dato, come dice Giulio Cesare nel De Bello Gallico.  Chi  e da qual luogo abbia dato lo squillo di tromba convenuto a cui tutti i leader e le Case obbediscono,  è difficile dire;  ma dev’essere  lo stesso centro,  che sta dovunque e  in nessun luogo,  che ha comandato di  insegnare il gender ai bambini dell’asilo,  l’obbligo di 12 vaccini ai neonati,  il matrimonio ai sodomiti,  puntare all’abolizione del contante,   ridurre la Chiesa  cattolica ad una copia sbiadita di Human Right Watch, e presto legalizzare  l’eutanasia per le bocche inutili.  Tutte cose di cui fino a pochi anni fa nemmeno si parlava, e d’improvviso vengono attuate  dalle due parti dell’Atlantico, simultaneamente,  come da segnale convenuto.

La   decisione titanica di riconvertire l’industria dell’auto non può esser venuta che molto dall’alto, ed  esser dovuta a motivi strategici che saranno chiari più avanti. Forse s’è deciso di tagliare per sempre il lucro petrolifero ai paesi produttori, specie a quello che, solo, si rifiuta di piegarsi alla Superpotenza. Forse hanno  pronta una innovazione cruciale nelle batterie, e questa innovazione è nelle mani “giuste”. Forse hanno escogitato questo processo per rivitalizzare – letteralmente con un  elettroshock –   l’economia dell’intero mondo occidentale,  dal 2008 in stagnazione irreversibile nonostante i troppi  trilioni di dollari iniettati dalle banche  centrali nel sistema:  nonostante il denaro a costo sottozero, le banche non lo offrono, le imprese non lo chiedono, i privati   se possono li tengono in deposito;  la   velocità di circolazione  di moneta cala invece di salire, di inflazione non si vede l’ombra . L’obbligo di comprare auto elettriche,  con la  riconversione di tutta la rete di rifornimento  dalla benzina alla corrente, dovrebbe innescare l’auspicata ripresa e la fiammata inflazionista.

Contro l’inquinamento, naturalmente

Qualunque sia la ragione,  quella che vi diranno è  la più virtuosa:  contro l’inquinamento, contro l’effetto serra, per   bloccare il riscaldamento globale prodotto dalle auto  coi loro particolati dannosi.

Questo  serve ad introdurre  e spiegare il  titolo  di questo articolo.   Voi non   lo sapete, ma   venti   navi porta containers  inquinano   quanto  la totalità degli automezzi  circolanti nel mondo.  Sono cargo colossali, lunghi trecento metri –  Maersk ne ha di 400 metri, quattro volte un campo di calcio  –  perché più  sono colossali, più peso e containers possono trasportare, e quindi più il costo del trasporto diminuisce.  I loro titanici motori, onnivori,  bruciano  ovviamente tonnellate di carburante:  ovviamente il meno costoso   sul mercato,  residui della distillazione catramosi, financo “fanghi di carbone”, con altissime percentuali di zolfo che alle auto, semplicemente, sono vietate.

Per questo 20  cargo  fanno peggio che tutto gli automezzi sulla Terra.  Il punto è che non sono venti;  sono 60 mila supercargo che stanno navigando gli oceani,  traversano gli stretti di Malacca, fanno  la fila per entrare nel canale di Suez,  superano  Gibilterra  e dirigono alle Americhe.

Non solo, ma ogni anno  si contano 122 naufragi – uno ogni tre giorni – di cargo con più di 300 containers; che finiscono in mare col loro contenuto:  quanto di  questo contenuto è inquinante? Secondo gli esperti,  ogni  anno vanno a  fondo in questo modo 1,8 milioni di tonnellate l’anno di prodotti tossici.  Insieme,  beninteso, a duemila marinai; duemila morti l’anno,  perché  il loro è il secondo mestiere più pericoloso del mondo.

https://fr-fr.facebook.com/france5/videos/10153640360249597/

Il primo è quello del pescatore, spiega un’esperta intervistata in una inchiesta di France 5,Cargos, la face cachée  du Fret” (Cargo, la faccia nascosta del trasporto  marittimo):  una inchiesta impressionante, che non   si capisce come sia riuscita a passare in un medium  mainstream – evidentemente ci  sono ancora giornalisti  non-Botteri.  Una indagine spietata su questo settore   – le multinazionali dell’armamento – che preferisce stare nell’ombra;  i cui colossi battono bandiere di comodo,  dalla Liberia alle Isole Marshall,  da Tonga a Vanuatu, e persino della Mongolia,  che non ha sbocco a nessun mare, ma offre condizioni di  favore agli armatori  globali. Fra le quali c’è  questa:  che qualunque sia la nazionalità dei marinai, le leggi sul lavoro,   obblighi salariali ed assicurazioni  infortunistiche e sanitarie applicate loro sono quelle della nazione di  bandiera. Tonga e Mongolia sono famose per l’avanzata legislazione sociale.

Di fatto, metà del personale navigante  è  filippino, perché “i filippini sanno l’inglese e costano poco”; un saldatore  filippino  su un cargo conferma, guadagno quattro volte più di quello che prenderei al mio paese, “ma è come stare in prigione”.  Gli smartphone non prendono, Internet  nemmeno a pensarci, gli alcoolici sono vietati sulla  flotta Maersk.  Se poi un’ondata ti porta via dal  ponte durante una tempesta,  oppure resti schiacciato dallo scivolare dei containers male assicurati,   la famiglia può adire alle  corti  mongole o di Vanuatu.    Ormai non si sbarca più nel porti, non c’è riposo:  la grande invenzione dei containers, questi parallelepipedi di quattro misure standard, intermodali, ossia concepiti come caricabili su pianali di treno o di camion, non consentono soste:  lo stivaggio non esiste più, ormai dagli anni ’60;   uno solo di questi  mega-cargo, ci informano, può  caricare 800 milioni di banane (abbastanza per dare una banana ad ogni abitante d’Europa e Nordamerica),  scaricarle in 24  ore,  e poi via, perché  il tempo è denaro.  Il comandante (il servizio ne intervista uno,  è un romeno) non sa cosa trasporta e non gli importa:   del contenuto di ogni container   – che parte sigillato – è legale responsabile lo speditore,   e il destinatario.  Ciò praticamente azzera i  controlli doganali, con gran risparmio del tempo  che è denaro. Vari dirigenti di frontiera sostengono che “solo” il 2% può contenere armi o droga, “perché  la massima parte degli spedizionieri rispetta le leggi”.  Un’industria senza regole ,  del tutto extraterritoriale, che rende alle compagnie giganti 450 miliardi di giro d’affari.

Quando i grandi cargo ripartono, sono in parte scarichi avendo lasciato sulla banchina parte dei containers: allora, per stabilizzare l’equilibrio, pompano   nei cassoni decine di tonnellate di  acqua  di mare.  Con migliaia di pesci e creature viventi che  poi trasportano, e scaricano, a migliaia di chilometri dal loro habitat nativo.    Per tacere del rumore dai motori  (sott’acqua, risulta 100 volte il volume sonoro di un jet), un inquinamento  acustico fortemente sospettato di disorientare i grandi cetacei, che sempre  più spesso finiscono spiaggiati.

Ma allora – direte voi  – se governi e  lobbies ecologiste sono così preoccupati per l’inquinamento dei mari e il riscaldamento globale, tanto da aver deciso di vietare prossimamente tutte  le auto a motore a scoppio del pianeta  e sostituirle con motori elettrici puliti e più  efficienti,  perché non pongono qualche limite ai mega-cargo e  alle mega-petroliere? Se 20 di loro   inquinano come la totalità degli automezzi,  basterebbe ridurre dello  0,35 per cento il traffico navale per ottenere lo stesso  risultato di disinquinamento  della riconversione globale all’auto elettrica.

Ma no. Avete fatto la domanda sbagliata.  Vi deve mettere sull’avviso il fatto che il Protocollo di Kioto non copre il trasporto marittimo, ignora quel che inquina e distrugge.    Come spiega  l’economista  Mark Levinson, autore dello studio più  approfondito sui containers, The Box: How the Shipping Container Made the World Smaller and the World Economy Bigger, (Princeton University Press), “la gente crede che la  globalizzazione sia dovuta alla disparità dei salari, che provoca la delocalizzazione della produzione in Asia o dovunque la manodopera è meno cara.  Errore: la disparità di salari esisteva anche prima della mondializzazione. Quello che permette lo sfruttamento della manodopera a basso  costo per fare prodotti da vendere poi  sui  mercati di alto reddito,  è  l’abbassamento tremendo dei costi di trasporto navale. Questo è il  fattore cruciale, reso possibile dai containers e dalle mega-cargo, che   riducono il costo all’osso”.

Costi talmente bassi, “che conviene spedire i merluzzi pescati nel mar di Scozia  in Cina  in container refrigerati   per essere sfilettati e ridotti a bastoncini in Cina, e poi rimandati  ai supermercati e ristoranti di Scozia, piuttosto che pagare retribuire sfilettatori  scozzesi”.   Questo lo racconta Rose George, giovane giornalista britannica, che dopo 10 mila chilometri fino a Singapore a bordo della Mersk Kendal, una portacontainer da 300 metri, manovrata da   solo 20 uomini, ha scritto un libro chiamato “Novanta per cento di tutto – Dentro l’industria invisibile che ti porta i vestiti che indossi, la benzina   nella tua auto e il cibo nel tuo piatto”. (Ninety Percent of Everything: Inside Shipping, the Invisible Industry That Puts Clothes on Your Back, Gas in Your Car, and Food on Your Plate).   Perché la   brava giornalista ha scoperto questo: che nella nostra società post-industriale dove non produciamo più ma compriamo, il 90 per cento di ciò che ci occorre e che acquistiamo, ci viene portato dalle portacontainers.  Tutto: dalla carta al legname, al bestiame vivo al macellato e surgelato.   Il giaccone di sintetico imbottito, i jeans, le giacche   che trovi da Harrod’s  o alla Standa, sono cuciti in Vietnam o Bangladesh;  smartphone e tablets e tutta l’elettronica di consumo, viene dalla Corea, dalla Cina,dal Giappone; non parliamo di  frigoriferi e lavatrici; il grano, dal Canada o dall’Australia; le primizie   di frutta e verdura fuori stagione, dagli antipodi.


Una volta scaricati, i containers  sono vuoti a rendere, che sono noleggiati per altri viaggi; prima o poi finiscono  per rifare la rotta di ritorno, dall’Occidente all’Asia. Riempiti, per non fare il viaggio a vuoto, di   rottami metallici e di plastica,  di  stracci e vestiti vecchi, di  carta usata da riciclare.  Tutto ciò che ci resta  dopo aver consumato  cose che un tempo sapevamo fare,  ma che adesso compriamo perché ci costano meno che  pagare i nostri  operai.  Un “meno” che ha un costo altissimo, sociale, di civiltà, ed ambientale.  Basta pensare all’eventualità che   il colossale traffico si debba bloccare, come è possibile per un una guerra guerreggiata che blocchi, poniamo, il Canale di Suez, o renda impraticabile Malacca  o – facilissimo – Ormuz  : la nostra autosufficienza, insomma autonomia economica vitale, sarebbe il 10 per cento di quel che ci abbisogna.

Tratto da: Blondet & Friends

Schiavitù o zelante lavoratore: dove andremo?

19 giugno 2013 2 commenti

bellina

Il punto, sul quale credo opportuno focalizzare gli sforzi, è la crescita esponenziale della popolazione mondiale. I sistemi tecnologici, i “progressi” della scienza e della medicina e un determinato benessere sparso tra le popolazioni suppongo siano, in parte, la causa di questo aumento della popolazione mondiale.

Le domande che mi pongo sono semplici: possiamo sopportare una pressione antropica così schiacciante? Abbiamo risorse sufficienti per poter sfamare tutti senza che vi siano sacche di miseria? Fino a quando la terra è in grado di accettare la nostra azione di sfruttamento?

Credo che siano domande lecite e non vengono sicuramente da un filo globalista, ma da una persona che ha sempre trovato nella natura i suggerimenti anche per il governo delle società. Non dimentichiamo, per esempio, che le invasioni barbariche sono avvenute per lo più a causa delle cattive condizioni climatiche del nord che spinsero gli abitanti a cercare aree più fertili e calde del sud Europa.

Sappiamo però che una grande fetta della popolazione mondiale non sfrutta le risorse della terra e non ne beneficia, vivendo sotto la soglia di sussistenza. In tutte le parti del globo abbiamo esempi mostruosi e non c’è terra che abbia gruppi sociali non integrati e condividenti il benessere dei pochi che li governano. Anche in Italia ne esistono purtroppo!

Ma fino a che punto è possibile sopportare questa situazione, ovvero possiamo continuare illimitatamente ad usare le risorse che la natura ci mette a disposizione?

Le questioni sono pertanto irrisolvibili sul piano pratico per l’incapacità dei governi di attuare una politica comune e non intendo un governo comune, ma politica comune nel rispetto delle tradizioni e culture locali.
Dall’uomo delle caverne fino a 150 anni fa l’energia dell’uomo era costituita dal legname, carbone e dalla forza degli animali e dall’ingegno dell’uomo stesso che riusciva a sfruttare ciò che la natura gli dava, ma sappiamo, per esempio, che l’impero romano e come lui anche quelli più antichi, hanno desertificato buona parte dell’Africa settentrionale per costruire navi, case e tutto quanto il necessario per la loro vita. Lo stesso accadde anche in Italia e quella che era un giardino del sud, la Sicilia, la Calabria e le Puglie, venne trasformato, in un’isola carica di siccità. Lo stesso accadde nei Balcani, in buona parte della Spagna e nel sud della Francia. Le società di quel tempo utilizzavano ciò che la natura aveva e l’ignoranza e la cupidigia portarono ai pessimi risultati agricoli nel corso dei secoli fino a ridurre intere parti europee a lande desertiche prive di acqua e di animali. Solo con la caduta dell’impero romano e fino agli albori del 1000 l’intera pianura padana e buona parte del mondo romanizzato si vedeva ripopolato di vegetali, animali che nei secoli precedenti erano quasi scomparsi.

In questi ultimi 150 anni, che sono una frazione piccolissima rispetto alla vita dell’uomo, c’è stato un rovesciamento dei paradigmi, soprattutto negli ultimi 80 anni. Nel mondo occidentale, quello più “civilizzato”, la cultura, gli studi, il potere delle armi e dell’egoismo umano, hanno permesso di raggiungere livelli di sfruttamento naturale inimmaginabili fino alla metà dell’800. Tutte queste scoperte hanno permesso all’uomo “civile” di attuare delle politiche sociali in cui  il potere, saldo in pochi individui, ha erogato alle classi meno abbienti, con molta attenzione, parte del benessere acquisito. A questo proposito è bene fare mente locale alla riforma luterana-calvinista che tra l’inizio del ‘500 e l’800 ha depauperato completamente il patrimonio della chiesa cattolica sottraendone il dominio e “regalando” le terre sottratte a famiglie e corporazioni invise alla chiesa e creando al contempo le basi dei futuri disastri di cui ancora oggi ne raccogliamo le conseguenze.

L’occidente oggi ha una vita che non è paragonabile a quella di soli 50/60 anni fa. Nessun giovane odierno saprebbe adattarsi, se non perché imposto, alla vita degli anni 50 o a quella degli anni 30: pensiamo solo alla medicina, ai mezzi di trasporto, alle comunicazioni, ai cibi, ai rapporti umani, alle regole di un tempo diverse da quelle di adesso. Quale giovane e non solo, accetterebbe una passeggiata nel parco della città con una ragazza in compagnia della sorella di questa o della zia che la controlla? Oppure chi attenderebbe, mancando il telefono, una risposta ad una lettera per più di 1 settimana visti gli attuali mezzi di oggi? Tutto cambia, dicono gli orientali, ma lo dice a anche la natura, nessuna cosa rimane immutabile.

Ma tutto questo è funzione dell’energia, che oggi sfruttiamo con il petrolio o suoi derivati e con il gas, ma fino a quando? In Cina ci sono 1,5 miliardi di persone e solo pochi, per ora, sfruttano il benessere indotto o voluto: le stime parlano di soli 150/200 milioni. In India oltre il 50% non ha luce, acqua e gas e vive come noi vivevamo 300 anni fa. Lo stesso dicasi per l’Africa, per l’Indocina e per buona parte delle nuove repubbliche ex sovietiche.

Un furbastro malfattore direbbe che se hanno vissuto fino ad ora con poco potrebbero continuare a farlo in futuro, sono abituati ad avere poco. Ma non è vero in assoluto, perché è carattere dell’uomo cercare il proprio benessere, per la propria famiglia e per le generazioni future: tutto cambia!

La questione offre quindi spunti di pensiero che lasciano il vuoto ad alcune domande e non entro nei particolari, ad esempio: come possiamo aiutare queste popolazioni a vivere la loro vita dignitosamente senza per questo ridurci ad una vita peggiore della loro attuale? Come possiamo promuovere uno sviluppo dei nuclei famigliari, dell’istruzione, della sanità se ogni cosa è dipendente da una risorsa che presto finirà?
Pensiamo quindi  anche all’agricoltura: in Usa sono poche quelle aziende che attuano la rotazione culturale e questo ha come conseguenza l’impoverimento della terra a causa dell’uso massiccio di fertilizzanti e pesticidi. La natura muore e la chimica la sostituisce e gli effetti li abbiamo sotto i nostri occhi, tutti i giorni, ma incolpiamo ciò che non ci è possibile denunciare o cambiare, spesso per convenienza. Accade anche nel più piccolo esempio di un fruttivendolo: a gennaio sui suoi banchi spiccano in bella mostra peperoni, pomodori, melanzane e primizie (!!!) primaverili. A gennaio! Sappiamo però che questi prodotti sono stati ottenuti con tanto petrolio, tantissima chimica e zero assoluto di sole, terra nuda e pieno campo. La gente ha fretta e animalescamente prende ciò che l’occhio vede senza fermarsi a pensare, mi conviene?

Anche da noi l’uso della chimica ha sostituito prepotentemente quella del buon contadino che con il letame e qualche correzione dei soli elementi naturali (Azoto, Fosforo e Potassio) sapeva ricavare dal suo appezzamento dei risultati accettabili e di qualità. La qualità, oggi, è definita come aspetto del prodotto con determinate caratteristiche estetiche, di colore, di forma e di peso, il resto viene scartato o venduto come materiale di seconda scelta.

Oggi la qualità è inesistente (nel senso della qualità organolettica), sostituita dalle quantità che crescono a dismisura. Produzioni di mais, soia e grano che 50 anni fa nemmeno ci si sognava. Lo stesso si può dire della produzione del latte; un tempo le vacche “normali” producevano mediamente tra i 15 e 25 litri di latte al giorno, oggi, per contro, abbiamo delle macchine industriali che producono latte (sono state selezionate proprio per questo) a livelli assurdi con valori compresi tra i 60/90 litri al giorno, però nel latte prodotto troviamo tutta una minestra di antibiotici, anabolizzanti, ormoni, pesticidi, erbicidi e chi più ne ha più ne metta. Ma sono animali che devono essere nutriti continuamente e non possono fare altro, tanto che dopo due o tre anni vanno abbattuti, mentre un tempo (solo 50 anni fa) le vacche del contadino potevano vivere anche oltre i 15 anni. E parliamo solo delle vacche da latte, mentre un tempo la vacca del contadino era tanto da latte quanto per i lavori campestri. L’energia necessaria era presa dalla vacca per arare, erpicare, concimare e alimentare la famiglia e la società. Ora la vacca è solo una stazione di pompaggio per produrre latte e carne dalle qualità sempre più infime.

A volte mi chiedo che senso abbia produrre solo per produrre e spesso mi scontro con i vari coltivatori/allevatori per questa assurdità. Infatti cosa scopriamo? Che il 20/30% delle derrate alimentari vengono gettata al macero! A che pro quindi produrre per avere uno scarto del 30%? Meglio produrre poco, nei tempi e nei modi che la natura impone ed avere dei prodotti che qualitativamente siano sani, buoni e che siano garanzia di benessere. Ma qui ci insegna la società attuale che le varie multinazionali del settore agricolo, farmaceutico e del petrolio non vedrebbero di buon occhio la scelta, per cui tutti proni ad accettare i “loro” consigli. Così che negli ispettorati o addirittura nelle varie sezioni sindacali agricole usino consigliare proprio quelle aziende che spesso sono imputate per inquinamento, avvelenamento.

E’ inestricabile la perversione che ci avviluppa tutti! Ma il vero problema è se anche riuscissimo a produrre giusto quello che ci soddisfa e che basta, come ridurremo la nostra terra? Come potremo irrigare i chilometri quadrati di deserti, da dove prenderemmo l’acqua, con quali sistemi e con-quale-energia? Dal petrolio? Dal solare? Dal Gas? Prenderemo l’acqua preistorica che, come il gas, non è infinita? E chi potrebbe gestire questo enorme flusso economico per tutti? La solita banda di 4 cialtroni da strapazzo che in onore di un criminale li ha forgiati come i peggiori assassini del mondo? Non credo che nessuno sia in grado di dare delle risposte assennate ed esaurienti. Il problema però esiste ed è presente tutti i giorni in diverse parti del globo, solo che non avendole sotto casa non ce ne rendiamo conto, ed è più facile inviare un sms da 2 euro senza sapere esattamente dove vadano a finire i denari, ci siamo messi in ordine con la coscienza, ma abbiamo sicuramente arricchito qualche usuraio.

Abbiamo messo a tacere la nostra coscienza di cristiani, rimbecilliti nel credo che tutto è per tutti, ma sappiamo in cuor nostro che questo non è vero e la storia, prima e dopo Cristo, ce lo insegna proprio bene. Eppure a conti fatti “si dice” che se sfruttassimo le risorse in maniera oculata potremmo sfamare l’intero globo con ciò che buttiamo, che potremmo addirittura dare energia ad un altro pianeta come la terra per tutta quella che gettiamo in cose inutili. Non so se questo sia vero e come abbiano calcolato queste cose, ma è vero anche che i cassonetti della spazzatura sono stracolmi di cibo di vestiti, di oggetti che oggi acquistiamo e domani, perché la moda lo impone, li buttiamo.

La domanda che dovremmo porci prima di acquistare una cosa sarebbe: ma mi serve veramente? Credo che pochi se la facciano e magari vengono anche tacciati per avari.

Però alla fine di tutto la questione primaria è il cibo: ce n’è per tutti? E la terra, visto quanto sopra detto, sarà in grado di sopportare migliaia di chilometri quadrati con coltivazioni che dovranno essere per forza di cosa trattate chimicamente, perché verrà meno l’equilibrio del buon padre di famiglia? Non ho una risposta, ma c’è da pensarci.

A quando l’ordinato caos?

3 ottobre 2012 Lascia un commento

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Credo che il NWO si stia muovendo secondo un programma a noi sconosciuto, ma che lascia spazio per far filtrare una luce diversa dal suo effettivo colore. Anche il cialtrone del quirinale ne ebbe occasione di parlare, così come l’altro suo discepolo tecnocrate.

Quello che molti si chiedono è quando accadrà?
E’ di dominio pubblico la notizia, che circola da qualche anno, ma che adesso pare messa a tacere, che entro a la fine dell’anno o primi mesi del prossimo possa esserci una forte attività solare e, a causa di questa, delle esplosioni solari intense che bombarderebbero la terra azzerando di fatto tutte le attività elettriche umane. Un ritorno al medioevo e all’oscurità. La notizia è rilevabile nel sito di La Repubblica.

Già nel 1859 ci fu esperienza di questo evento, ma allora non essendo l’uomo schiavo della energia elettrica non ne soffrì in modo particolare. Cosa succederebbe se veramente accadesse questo fenomeno “solare”? Il caos più totale con la conseguente morte di qualche miliardo di persone, soprattutto quelli più deboli. Pensiamo agli ospedali, alle strutture mediche salvavita, pensiamo ai dializzati, a quelli mantenuti in vita da un polmone d’acciaio e pensiamo anche agli anziani che non troverebbero nulla per poter sopravvivere; molte aziende chiuderebbero i battenti lasciando sulla strada milioni di persone. Una vera carneficina. I soli che forse avrebbero qualche possibilità di scampo da questi eventi sarebbero chi è continuamente abituato a sopravvivere senza energia e a sostenere la sua alimentazione con i sistemi tradizionali della caccia. Ma quanti in occidente sarebbero in grado di farlo? Credo pochissimi che comunque sarebbero in guerra tra di loro per il cibo, la legna, l’acqua, un riparo.

Le macchine non servirebbero più, così che avremo inondazioni copiose con allagamenti di campagne e la conseguente scarsità di derrate alimentari. I fiumi non più controllati dall’attività umana avrebbero il sopravvento sui centri attraversati distruggendo ogni cosa al loro passaggio; le case, attualmente riscaldate da impianti a gas o a petrolio, in mancanza di energia elettrica non potrebbero ripararci dai freddi invernali che decimerebbero a loro volta altre milioni di persone. Una tragedia immane. Ci sarebbe la riscoperta dell’energia a vapore, ma con quali tempi?

Questo potrebbe accadere e i tecnici prevedono che in caso di interruzione dell’energia elettrica per ripristinarla ci potrebbero volere dai pochi mesi fino a 3 o più anni a seconda del complesso da riparare e della gravità del danno.

Qui si inserisce il NWO.

  • Quello che salta subito all’occhio è la mancanza di documentazione che comprovi che nel 1859 ci fu veramente una tempesta geomagnetica. Allora non c’erano sistemi di misura che possiamo avere oggi e nessuno è in grado di dirci se fosse effettivamente catastrofica e quanti lo affermano dovrebbero dimostrare come sono riusciti a capire una cosa del genere del passato.
  • Le notizie, tutte, sono controllate e manipolate ad arte. I principali giornali sono posseduti dalle grandi lobbies finanziarie e bancarie e appare strano che con tutti gli interessi ipermiliardari che questi hanno pensino che ci sarà “un qualche cosa” che azzererà i loro profitti e soprattutto il loro potere di controllo.
  • Dal 11 settembre 2001 le attività di guerra e di attacco al mondo islamico si sono intensificate in maniera esponenziale proprio attorno alla fascia più sensibile del mondo arabo: medioriente e oriente, circondando di fatto le nazioni che possono ostacolare la crescita e la potenza degli Stati Uniti: Cina e Russia.
  • La situazione economica e finanziaria è arrivata allo stremo delle sue possibilità, siamo ad un livello tale che nessuna banca e istituto finanziario è in grado di ripianare i propri debiti fatti con i derivati. Pur irrorando il mercato di liquidità (Q1,Q2 e Q3 per gli Usa oltre ai 1000 miliardi dati dalla BCE alle varie banche europee) non c’è nessuna via d’uscita che possa definirsi indolore. Le economie europee, Norvegia per ora a parte e forse anche Germania,  nel loro abbrivio finanziario si stanno incagliando in un disastro senza precedenti che se dovesse accadere porterebbe al fallimento generalizzato delle intere economie mondiali.
  • Quale soluzione scegliere in questo Chaos per riportare l’Ordo tanto agognato?
  • L’1% della della popolazione detiene l’80% della ricchezza mondiale: questo dovrebbe far riflettere e come potrebbero arginare i continui salassi finanziari questo esiguo numero di persone che controllano il nostro pianeta? Cosa faremo noi al posto loro?

Chi ha il potere in mano, chi usa le armi per conquistare fette mercato, miniere, risorse idriche ed alimentari, chi è insensibile ai milioni di morti che ogni anno vengono calcolati per malattie, povertà, inadeguatezza economica non è certamente preoccupato se questi morti lasceranno spazio vitale a “certi” altri.

In ultima analisi cosa potremmo supporre, avendo il potere di attuare un evento che metta al riparo ed istituisca un nuovo sistema sociale, politico ed economico.

  • Si inizierebbe ad informare il pianeta di possibili eventi catastrofici (comete che potrebbero cadere, asteroidi impazziti, tempeste solari, esplosioni spaziali, ) e nessuno potrebbe obbiettarne la veridicità quando le conferme di queste notizie venissero da enti rinomati coma la Nasa, o l’Esa (Ente spaziale europeo) 683943main_eruption-zoom o altri collegati alla rete di osservazioni spaziali, arricchendo le notizie anche con produzione cinematografiche spettacolari di forte impatto emozionale, testi di divulgazione scientifica;
  • Allo stesso tempo si inizierebbero a divulgare storie del passato impossibili da verificare, con testi e interpretazioni degli scritti degli antichi maya, degli egizi, degli inca o di popolazioni scomparse che non hanno lasciato nessun documento, ma che i bravi scienziati hanno saputo decifrare alcune pietre trovate nei siti archeologici (la profezia dei maya) correlando queste divulgazioni con trasmissioni televisive atte a creare quel senso di mistero e di timore per una cosa della quale nessuno è in grado di capire
  • Nel frattempo i potenti provvederebbero quindi a realizzare strutture atte a raccogliere le popolazioni disastrate (quindi controllabili) da questi eventi (riutilizzo dei rifugi anti-atomici – costruzione di silos per la conservazione delle specie vegetali ed animali – costruzione di campi per la difesa delle popolazioni come piccoli paesi provvisti di tutto il necessario  per la sopravvivenza, compresi forni crematori!!)
  • Si istituirebbero delle strutture di controllo di polizia con poteri sovranazionali come l’americana FEMA e l’ Homeland Security che ultimamente ha realizzato un programma per simulare una guerra totale o come l’europea EUROGENDFOR
  • Si emanerebbero leggi sempre più restrittive e di controllo: NDAA (National Defens Athorization Act.) –  Patriot Act. – Norme in materia di poteri speciali nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, nonché per le attività di rilevanza strategica nei settori dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni (legge 11 maggio 2012 N. 56 nessun giornale ne ha mai parlato!!), tutte norme che sono state ratificate dal parlamento europeo.
  • A questo punto manca la scintilla che inneschi la bomba, ma le basi per farlo sono state già messe. Sarà sufficiente, per esempio, fare dei test sui quali verificare la risposta delle persone per capire come correggere eventuali errori o dimenticanze. Nel mondo ci sono molti esempi, così come in Italia: 2003 per oltre 12 ore mezza Italia rimane al buio a causa di un albero caduto sulla linea elettrica tra Svizzera ed Italia (è credibile una giustificazione del genere??) – In Cile nel 2011 oltre 10 milioni di persone rimangono senza energia – in Usa (Maryland, Ohio, Virginia West Virginia) sono rimaste al buio – a NYC per un giorno e mezzo l’intera Long Island è rimasta senza corrente elettrica a causa di alcuni alberi caduti sulle linee elettriche (sempre la solita giustificazione!!). Ci dovrebbero spiegare come sia possibile che per qualche vento a 120 km/ora cada l’energia elettrica, mentre a Trieste con la bora a 120/140 km/ora che soffia tutti gli anni la corrente non manca mai.
  • Anche in Italia le basi di controllo sono già preparate e molte di queste non sono di dominio statale ma controllate dalla Nato (113 in tutta la nostra penisola).
  • Tutto è quindi pronto e in attesa del via finale si acuiranno le tensioni sociali, le disparità tra le classi sociale, le vessazioni impositive della pubblica amministrazione, i controlli sulle attività economiche e sociali e tutto ciò per rendere il popolo sempre più controllabile fino all’esasperazione. Improvvisamente, un giorno X del mese Y, in quasi tutta la parte occidentale del globo, inizieranno ad avvenire eventi che impediranno molte attività, anche le più banali come fare benzina con la carta di credito o ritirare i soldi dal bancomat. Le attività commerciali ed industriali inizieranno a subire dei rallentamenti con perdite di produzione e conseguente licenziamento del personale che non sarà però in grado di comunicare con le associazioni di categoria. Manca la corrente elettrica, non c’è energia. Si potranno costituire dei gruppi locali per capire cosa accada, ma le comunicazioni non saranno possibili e i controlli sulle stesse impediranno di agire in maniera coordinata. Nel frattempo le autorità avranno già dispiegato sul territorio le squadre di controllo che arresteranno tutte quelle persone che, incredule di un fatto del genere inizieranno a protestare. La popolazione per contro sarà favorevole a questi arresti perché più impellente la sopravvivenza, il cibo, le medicine, le cure che non quattro scalmanati increduli che urlano ai 4 venti che è tutta una manipolazione.

Così si attuerà la nuova era, il nuovo secolo, il nuovo ordine mondiale tanto agognato e cercato dalle élite, quel famoso 1% che controlla l’80%. Certo è una ipotesi molto pessimistica e molto brutta da pensare, ma quello che ci porta a pensare un evento del genere sono le attuali situazioni economico finanziarie del pianeta su cui si basa ormai l’intera economia mondiale: un debito assurdo di 1.200 trilioni di dollari (20 volte il PIL mondiale). Sulla base di questo e per il mantenimento dello status quo dei vari attori che l’hanno generato (banche centrali, banche d’affari e istituti finanziari) è necessario un provvedimento che sia proporzionale, sul quale gli stessi attori si accordino così che in un solo colpo essi avranno salvato capra e cavoli, rendendo alla popolazione gli escrementi del loro comportamento.

Terremoti e petrolio: c’è di mezzo il "fracking"?

5 giugno 2012 1 commento

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E’ evidente che in queste giorni di angoscia e paura incontrollabile vi siano molte fantasie su quanto accade nelle zone terremotate di recente.

In un post precedente si era ipotizzato che le scosse del 20 maggio fossero di origine umana, causate forse da alcune esplosioni nelle profondità del terreno dopo aver visto l’andamento dei grafici che non presentavano la progressione delle onde telluriche. Probabilmente e a seguito delle osservazioni di un lettore, si arrivava a concludere che la strumentazione, forse amatoriale, delle stazioni di rilevamento, non poteva registrare tutto l’arco di vibrazioni, da lì quindi il risultato dei diagrammi.

Ora però si scorge che ci sono alcuni studi che lasciano abbastanza interdetti di fronte al dolore ed ai danni causati da questi eventi sismici.
Uno studio del Porf. Ortolani dell’Università di Napoli evidenzia che nella zona oggetto del sisma per molti anni si sono svolte moltissime trivellazioni alla ricerca di Gas e Petrolio attraverso la tecnica del Fraking:

frackin

La tecnica, sommariamente, è utilizzata per spingere petrolio e gas in superficie quando questi non siano in grado di farcela. Sostanzialmente si perfora il terreno e trovata la sacca di gas/petrolio che non risale in superficie si inietta nel terreno ad alta pressione acqua mescolata a sostanze gelatinose o acqua e sabbia per spingere gli idrocarburi in superficie. In questi ultimi anni accade però anche l’azione  inversa di immagazzinamento degli idrocarburi nel sottosuolo, così che trovata una zona adatta per tale scopo si provvedere alla perforazione e all’iniezione di gas o petrolio da conservare.

Lo studio del Professor Ortolani evidenzia quindi una certa correlazione tra il sisma e queste attività, ma non indicandone la causa, quanto piuttosto una conseguenza peggiorativa di una zona già in equilibrio instabile. Allo stesso tempo, e per una non si sa quale considerazione tecnica, Il Giornale contesta in un articolo la possibilità che il fracking abbia qualche correlazione con i terremoti in corso in Emilia e lo fa intervistando un sismologo dell’INGV, il quale afferma: “Normalmente viene usato su pozzi che hanno delle dimensioni del metro e arrivano a 2-4 km di profondità… La faglia che ha provocato il terremoto in Emilia è grande dieci chilometri e si trova a 10-15 chilometri di profondità“. Dimensioni ben diverse, insomma. Così dice l’articolista, aggiungendo inoltre per bocca del sismologo che  “Tutti gli eventi di sismicità indotta (il fracking, ma anche le estrazioni petrolifere o anche la pressione di una diga sulle rocce) sono monitorati” (ne siamo certi al 100%?).

Certo non ci si può misurare con un tecnico dell’INGV, ma appare evidente che la profondità del sisma sia variabile in maniera piuttosto particolare e le caratteristiche del sottosuolo ci sono sconosciuti. In un sito che tiene costantemente aggiornato l’andamento dell’attività sismica, si evidenzia che la scossa maggiore (6.1) è avvenuta a 10 km di profondità, mentre a 60 k m di profondità una scossa ha fatto registrare una magnitudo di 2,9. La media delle profondità appare essere di 9,5 km con punte estreme dai 60km (una sola) e 1km.

Le scosse più intense si sono avute tra i 10km e 2 km. Ora, ammesso e non concesso che i tecnici dell’INGV abbiano conoscenze a noi taciute, sembra evidente che vi sia qualche discrepanza anche in virtù dei moltissimi articoli relativi all’attività sismica causata proprio dal fraking. Il 7 novembre del 2011 un’azienda (Cuadrilla) dovette sospendere l’attività di perforazione e di sondaggio nel Nord-Ovest dell’Inghilterra a causa dei frequenti tremori e scosse sismiche anche di magnitudo 3.1.

Oltre al problema della ricerca di idrocarburi c’è anche quello dello stoccaggio degli stessi e guarda caso anche nel sito di Parmanews viene evidenziato il problema tanto che il

17 febbraio 2012, i Ministri dell’Ambiente e dei Beni Culturali Corrado Clini e Lorenzo Ornaghi hanno decretato la compatibilità ambientale e la conseguente autorizzazione di opere di indagine geologica (cioè trivellazioni con uso di cariche esplosive e pompaggio di acqua ad alta pressione), allo scopo di verificare la realizzabilità di un gigantesco deposito di gas metano, nel sottosuolo dei comuni di San Felice sul Panaro, Finale Emilia, Camposanto, Medolla, Mirandola e Crevalcore, all’interno di una altrettanto gigantesca cavità naturale situata a quasi tre chilometri di profondità ed in grado di servire allo stoccaggio di 3,2miliardi di metri cubi di gas metano (equivalente al volume di un’enorme sfera dal diametro di quasi 2km).

E’ possibile verificare nel sito governativo dello Sviluppo Economico quanto attualmente si sta facendo in Italia. Ci sono 1000 pozzi produttivi dei quali 615 su terraferma e 395 in mare.
La produzione di gas annuale ammonta complessivamente a circa 8 GSm3 di gas (nb. GSm3= Giga Standard metrocubo di Gas) e 5 Mton di olio (nb.Mton=megatonnellate di olio) e tali produzioni contribuiscono rispettivamente per il 10% ed il 7% al fabbisogno energetico nazionale. Non male, no? Inoltre c’è da tener in considerazione che in tutto questo affare energetico c’è sempre la voce denaro che la fa da padrone e in questo caso viene definito royalties (chiamarle diritti è offensivo?). Si legge dal sito dello sviluppo economico che:

Le royalties per le produzioni di idrocarburi in terraferma sono ripartite per il 55% alle Regioni, il 30% allo Stato e il 15% ai Comuni. Tuttavia per le Regioni a statuto ordinario comprese nell’Obiettivo 1 (le regioni del Sud Italia tra cui la Basilicata, principale produttore italiano di petrolio) anche la quota del 30% dello Stato è assegnata direttamente alle Regioni.

Inoltre dato che l’Italia è perennemente alla ricerca di fonti di energia e che gli ultimi avvenimenti dello scorso anno (Guerra di Libia) e precedenti (Russia vs Ucraina) hanno provocato una penuria di idrocarburi in genere, la ricerca ha trovato utile poter immagazzinare il gas e il petrolio in terreni idonei. Il fatto in se non è particolarmente insignificante, perché in periodi di “carestia” di risorse energetiche quanto messo da parte per un paese rappresenta la possibilità di poter continuare le sue attività fino alla soluzione degli eventuali problemi internazionali. Purtroppo sappiamo che in Libia ci abbiamo rimesso quanto si era siglato con il precedente governo di Gheddafi, perdendo la corsia preferenziale che avevamo in quel paese lasciando spazio alla Germania, alla Francia, all’Inghilterra e ovviamente agli Usa. Ma per essere alleati delle grandi potenze è necessario rinunciare a qualcosa e queste sono le scelte volute da un governo fantoccio e da un presidente che si è sempre schierato a favore della guerra.

Purtroppo nelle FAQ del sito dello sviluppo economico viene dichiarato che non vi sono correlazioni tra terremoti e stoccaggio del gas, ma è evidente che il sito non  manutenuto con solerzia visto quanto scritto sopra.

Purtroppo nella nostra pianura, diventata oggetto di appetiti extra nazionali, troviamo che altre aziende sono interessate ai tesori del sottosuolo come la Aleannaresources con ben 7 siti di ispezione e sfruttamento.

E’ pacifico quindi che in una situazione del genere il primo provvedimento che dovrebbe essere preso dalle autorità – considerando che non sanno nulla sulla prevedibilità dei terremoti – dovrebbe essere quello di interrompere immediatamente per almeno un anno tutte le attività estrattive e di immagazzinamento, controllando al tempo stesso le aziende interessate allo sfruttamento dei bacini energetici dati in concessione se hanno operato nei limiti imposti dalle concessioni, e solo dopo che si sarà calmato questo sciame sismico provvedere al rilascio dei permessi.

Purtroppo il connubio tra interessi privati e potere energetico va oltre la stabilità territoriale così come viene meno l’interesse pubblico e delle popolazioni che in quei luoghi vivono e lavorano.

Ref: luogocomune –  altocasertanowebcontroxena05

Si veda anche:

https://geoazur.oca.eu/spip.php?article1259

https://sites.google.com/site/cellulepostsismique/home/seisme-italie-du-nord-20-mai-2012-mw-6-2

La guerra contro l’Iran, massiccio ammasso di truppe e navi nello stretto di Hormuz.

3 febbraio 2012 Lascia un commento


Le mosse politiche di Barak Obama in questi ultimi mesi sono tutte finalizzate alla rielezioni e sopratutto a non deludere quella parte molto importante dell’elettorato Usa che favorì la sua elezione nel 2009. Stiamo parlando della frazione ebraica americana, quello molto vicina agli interessi israeliani, molto importante ed influente con infinite ramificazioni in tutti i settori chiave dell’economia, della finanza e del governo americano, sia nella fazione repubblicana che in quella democratica.

Nel fatti di tutti i giorni, le mosse prese da Obama alle richieste israeliane di fare la guerra all’Iran, dimostrano che il presidente americano si trova tra l’incudine ed il martello: da un lato quelli che vorrebbero la cancellazione dell’Iran con un attacco rapido, immediato e definitivo e dall’altro quelli che invece, pur concordi per la soluzione militare, preferirebbero percorrere la linea delle sanzioni e della diplomazia per arrivare ad un risultato vincente. Due fazioni appartenenti alla stessa radice ebraica-sionista che spesso si confondono.

Il caos regna sovrano, sarebbe il caso di dire, ed è proprio in questo caos che Israele non perde minuto per bacchettare la politica estera di Obama, per i suoi tentennamenti e la sua prudenza. Il ministro della difesa israeliano Ehud Barak affermavaOggi, a differenza del passato, si è diffusa convinzione internazionale che è di vitale importanza impedire all’Iran di diventare ‘nucleare‘”, è ovvio che la convinzione internazionale al quale si riferisce Barak, è quella anglo-americana e dei suoi alleati europei come Francia ed Inghilterra.
Convinzione però che non convince né la Cina, né la Russia e tanto meno l’India. Nazioni queste che contano, messe assieme, una massa di individui pari a circa 3 miliardi (42% della popolazione mondiale) , ma come è abitudine degli israeliani “nelle scelte da attuare qualsiasi opzione non deve essere scartata”, perché se le sanzioni dovessero fallire, e falliranno a causa dei veti imposti da Cina e Russia e India, “l’unica strada percorribile dovrà essere quella militare”. Dichiarazioni fatte (guarda caso) poco dopo un viaggio compiuto dal capo dei servizi israeliani Tamir Pardo in Usa per discutere dei programmi nucleari dell’Iran con alti funzionari militari americani.

Adesso anche gli americani pensano ad una eventuale probabilità che Israele possa sferrare un attacco tra la primavera e l’inizio dell’estate tanto che “Panetta ritiene che ci sia la forte possibilità che Israele colpisca l’Iran ad aprile, maggio o giugno – prima che l’Iran entri in quella che gli israeliani descrivono come una ‘zona di immunità’ per iniziare a costruire una bomba nucleare“.  In America si stanno infatti portando avanti misure di sicurezza militaristiche come la nuova legislazione contro gli stessi cittadini americani e il controllo dei luoghi di culto islamico come le moschee, probabilmente come prevenzione agli atti di ribellione che la popolazione americana potrebbe attuare per l’eventuale intervento in Iran.
Nel contempo, mentre i creduloni festeggiano l’abbandono delle forze Usa dall’Iraq, in silenzio sono state ammassati oltre 50.000 truppe   nell’isola di Socotra e Masirah nel golfo di Oman a poche miglia dallo stretto di Hormuz, in attesa di un rinforzo di altre 50.000 previste per marzo che stazioneranno nel Kuwait.

E come non bastasse per marzo è previsto l’arrivo della Enterprise, accompagnata da due navi della Marina USA, il sottomarino nucleare USS Annapolis ed il cacciatorpediniere USS Momsen, entrati nel Mar Rosso attraverso il Canale di Suez. La Lincoln e la  Vinson sono già dislocate nell’area del Golfo di Oman e del Golfo Persico. Quello che appare comunque strano è la presenza della Lincoln, portaerei vecchia ormai destinata ad essere smembrata tanto che a marzo ed aprile è previsto il suo ritorno in patria per il suo disarmo.

Lincoln a parte, si stanno concentrando in quella zona delicatissima del golfo persico una tale quantità di armi e uomini che non sono semplicemente una dimostrazione di forza, come alcuni vorrebbero farci credere, ma che lasciano presagire dei tempi in cui la follia umana sarà al servizio della morte. I nostri uomini di potere, asserviti ad un dogma incomprensibile, ci stanno accecando con manovre politiche, sindacali, economico e finanziarie che spingono le persone a rimanere in uno stato di limbo. Nessuno mette al corrente degli avvenimenti che si stanno profilando, nessun giornale o tv sembra interessata a discutere fatti che se accadranno cambieranno per anni la faccia della terra e la nostra vita. Tutti a discutere delle più stupide ed inutili cose e nessuno a puntare il dito su atti e decisioni politiche prese a tavolino da gruppi di potere indifferenti dell’Umanità.

PS.

A completamento di quanto sopra il seguente articolo è molto illuminante: Obama’s Drift Toward War With Iran

Questioni di petrolio?

31 gennaio 2012 5 commenti

La politica americana nei riguardi dell’Iran è ormai di dominio comune. Le sanzione economiche, finanziarie e politiche che gli Stati Uniti stanno attuando per una guerra voluta dai poteri finanziari e dal braccio armato di Israele, stanno portando l’intero mondo occidentale – specialmente per l’Europa – ad una condizione molto simile, se non peggiore, di quella che accadde negli anni 70 con la crisi petrolifera.

Le sanzioni americane, ma sopratutto quelle europee, ricattate dai grandi gruppi di interesse, hanno portato ad escludere dalle transazioni economiche qualsiasi rapporto con l’Iran: dal petrolio, all’oro, ai diamanti ed altri metalli preziosi.
Alla stessa banca centrale iraniana (di stato) sono stati chiusi i rubinetti dei pochi impegni economico-bancari che aveva in Europa. Sembra una situazione di non ritorno per gli iraniani, impegnati a dimostrare la loro buona fede nei programmi nucleari, ma invece contrastati dagli occidentali certi che il programma nucleare iraniano abbia finalità non solo pacifiche, ma eminentemente militari.

Ci sarebbe da chiedersi se anche fosse così, quale potrebbe essere il problema, ovvero sappiamo che Israele ha all’incirca 300 testate atomiche pronte, con un raggio di copertura che arriva a lambire la Gran Bretagna, così come sappiamo che altre nazioni mediorientali posseggono queste armi nucleari come il Pakistan – ormai però non più sotto l’occhio benevolo degli anglo-americani e quindi soggetto a continui attacchi dell’esercito americano per la presunta presenza di terroristi di Al-Qaeda – o come l’India.

Nei fatti l’Europa blocca la porta alle importazioni di petrolio dall’Iran e l’Italia che ne importa il 13,3% del suo fabbisogno, dovrà rivolgersi ad altri fornitori accettando supinamente i prezzi imposti. Nel solo marzo del 2011 l’Italia aveva aumentato le sue importazioni petrolifere dall’Iran dell’80%, contrariamente alle richieste Usa di chiudere i rapporti economici, per un valore di 77,8 milioni di tonnellate a causa della guerra con la Libia.
Siamo alle solite: il padrone dell’occidente, gli Usa, ordina ai suoi sudditi europei di bloccare qualsiasi iniziativa di scambi commerciali ed essenziali per la nostra bilancia energetica, favorendo nel contempo quei produttori allineati al pensiero atlantista che non si farà certamente perdere l’occasione di incrementare i prezzi. Già vediamo quanto costa un litro di carburante per dubitare di questo, in 3 anni un aumento di oltre il 70%.

E’ senza dubbio irresponsabile il commento di Giulio Terzi, nostro ministro degli Esteri, che in una nota ha definito la diminuzione dell’approvvigionamento del petrolio iraniano assolutamente trascurabile “L’impatto per l’Italia dovrebbe (nda. ma lo sa o non lo sa?) essere assolutamente trascurabile, vorrei dire nullo”. Dovrebbe spiegare il ministro dove andrà a colmare la differenza e sopratutto da chi. Ma siccome questo è un governo di tecnici e non politici forse da tecnico, ex ambasciatore negli Usa, ha una corsia preferenziale per le melliflue parole di Obama.

E’ evidente anche ad un cieco che se sommiamo la perdita avuta con la guerra in Libia (-38%) e quella che si sta profilando contro l’Iran (-13%), l’Ialia ha perduto nell’arco di un anno una grossa fetta delle sue importazioni di petrolio e di commesse già sottoscritte e siglate con l’Eni. Come dice il ministro l’impatto è trascurabile, anzi nullo. Ancora una volta mi chiedo e sarei curioso di sapere, qual’è il senso della nullità che questo personaggio intravvede nella perdità di rifornimenti. Ma noi siamo il solito paese dei qua-qua-qua, tante chiacchiere e pochi fatti, mentre gli altri, economicamente meno disastrati di noi, sapranno sfruttare quetsa situazione per estrometterci da quel mercato che è l’ossigeno principale per la nostra economia.

Ma siccome il mondo è fatto anche di altre persone lo stesso Capo Esecutivo della Royal Dutch Shell, Peter Voser, afferma che le sanzioni europee devono essere studiate attentamente e che le ripercussioni sui prezzi ricadranno sui consumatori europei senza un minimo di preavviso portando di conseguenza le economie ad un loro rapido decadimento. Ma, come ci dice il nostro ministro Terzi,  “…l’impatto dovrebbe essere trascurabile, vorrei dire nullo!

La platea mediatica che ci circonda è comunque talmente impregnata di falsità che ci stanno accecando con i fumi delle gesta del nostra amato presidente Napolitano, il quale esorta le forze politiche a cercare un nuovo sistema politico, e mentre le sue bacchettate vanno a personaggi e ad un sistema a “certi” non appropriato, le sue parole rimangono vuote, invece, quando a fare affari con l’Iran non è più l’Italia o l’Europa, ma la Inghilterra di Cameron (noto fiancheggiatore sionista), il quale ha aperto la strada alla British Petrolium, esclusa dall’applicazione delle sanzioni contro l’Iran, per il commercio del petrolio iraniano. La motivazione di questo favoritismo è dovuta dalla forte valenza anti russa dell’operazione. «Le nostre sanzioni – spiegano fonti del Congresso Usa – devono infliggere il massimo della sofferenza economica agli iraniani senza consentire alla Russia di tenere ostaggio l’Europa orientale per le forniture energetiche».

E’ strano ‘sta mondo, gli anglo-americani esortano l’Ue di non fare affari con l’Iran, mentre loro stessi si accordano nelle commesse petrolifere…è strano no?

A Pasqua col cannone.

6 gennaio 2012 Lascia un commento

Quest’anno Pasqua cadrà ai primi di aprile, proprio all’inizio della primavera, in quella stagione che vede sbocciare i mandorli, i ciliegi, le rose, in cui tutto il mondo di questo emisfero inizia il nuovo ciclo naturale.

Pasqua è anche un momento religiosamente molto sentito da ebrei per la Pesach e per i Cristiani nel sacrificio del figlio di Dio. Uno fugge dalla schiavitù e l’altro fugge dall’immondo mondo in cui Suo padre l’aveva collocato. L’uomo rimane però rimane sulla terra a godersi i frutti del suo pensiero, oppure a godersi gli eventi che potrebbero ridisegnare il pianeta.

Vediamo. In un articolo del Jerusalem Post si legge che a primavera si organizzeranno delle esercitazioni congiunte con le truppe americane. Si prevede l’invio di migliaia di soldati in Israele per una esercitazione missilistica a risposta di quella messa a punto dagli iraniani di qualche giorno fa.
Si tratta di un dispiegamento di forze che per il suo numero è senza precedenti. Il comando per le forze Usa verrà dislocato in Israele per un tempo indefinito, mentre quello israeliano sarà posto in Germania presso l’EUCOM (United States European Command) con l’obbiettivo finale di coordinamento congiunto in caso di un conflitto su larga scala.

Gli americani porteranno il loro THAAD (Terminal High Altitude Area Defense) e i sistemi balistici di difesa in Israele per simulare l’intercettazione di missili sparati contro Israele stessa.

Il fatto cruciale della questione è che pur trattandosi di esercitazione il Jerusalem Post la definisce un “dispiegamento” di forze congiunte in cui anche la marina americana prenderà parte.

Molte volte ho indicato (vedi Manifestazione di Roma alla Farnesina: silenzio stampa!) che le parole del vecchio comunista-massone, che Kissinger definiva il suo “favorito comunista”,  pronunciate in occasione dei 150 dell’Unità d’Italia a New Yor presso l’associazione Italo-Americana, non solo erano criptiche, ma, lette in una chiave diversa, lasciavano intendere cose che sembrano delinearsi, alla luce delle notizie soprascritte, ben peggio di quello che potremo immaginare. “Il mondo di oggi è contrassegnato da opportunità, sfide, contraddizioni. I prossimi anni non saranno facili per nessuno, ed in particolare per l’Italia

C’è qualcosa che non funziona: crisi del petrolio

22 novembre 2011 Lascia un commento

Nel blog Il Grande Bluff un lettore, Sinbad, ha scritto una cosa interessante: “…c’è qualcosa che non funziona” che indica come presupposto del fallimento sociale forse per la mancanza delle materie prime (Gas, Petrolio, Minerali rari). E’ vero, di fondo la nostra società si è sviluppata in poco più di 100 anni: un’inezia rispetto al periodo precedente di oltre migliaia di anni in cui i cambiamenti sociali, economici, commerciali, si sono evoluti con estrema lentezza ed assorbiti a piccole dosi.

Quello che un tempo serviva, ora, in poco più di una frazione di secondo, la otteniamo. Pensiamo alla luce, all’acqua, al gas, alla rete digitale, alle informazioni, alle comunicazioni, ai rapporti personali con amici e parenti. Ora tutto apparentemente sembra vicino e facile da avere e da condividere, ma maledettamente lontano da metabolizzare. Mozart per creare le sue opere ci ha messo 30 anni della sua vita ed ora anche il più scemo, in poco più di una mezzora, compone un pezzo che alle orecchie del volgo appare come un’opera. Ecco la quadratura del cerchio socialista, la soluzione dei mali della società acculturate, di quel genere di cultura che travasa in tutti gli strati ma che non permea nessuno, perché troppo indaffarati a cercare stimoli nuovi. Troppo difficile fermarsi e pensare.
Ormai, nessuno insegna più a pensare, a meditare, ad oziare a cercare anche nel fallimento la strada di un pensiero diverso per evitarne un altro. No, tempo perso.

Sinbad insiste che c’è “qualcosa che non funziona” e il suo pensiero giustamente si rivolge al mercato macroeconomico, quel mercato che gestisce i flussi immessi di capitali e denaro che vanno più in là del semplice (non tanto per la verità) gioco finanziario delle opzioni, dei derivati, ma che porta interi blocchi continentali a fare le guerre, o costringere intere popolazioni a svendere i propri beni e risorse. Una volta Soros disse che non è pensabile che la Russia abbia un territorio così vasto con risorse utili per l’umanità perché quei tesori, quelle risorse sono la sopravvivenza dell’umanità stessa. Non credo che Soros sia un fragile mecenate, un filantropo che indirizza gli sforzi per i bene altrui. Non ci credo assolutamente, ma nella sua spudorata affermazione ha espresso un concetto molto preciso, quale quello, ad esempio, di una popolazione affamata che arriva in una valle e nota che il popolo che vi abita ha cibo, acqua, legname per scaldarsi e cucinare. L’ultima spiaggia, l’ultima soluzione, o come dicevano gli antichi “mors tua vita mea”. La possiamo girare anche in altro modo: sopravvivenza. Beh, in questo caso, bisognerebbe capire e definire il significato di sopravvivere, perché ne esistono vari tipi, da quella africana, a quella sud americana o cinese o delle bidonville europee, spesso mai citate nei vari media internazionali, perché non sono persone che contano, ma esiste anche la sopravvivenza grassa, offuscata dalle mille luci della civiltà, dal crepitio di mille motori e di un sacco di marchingegni che circondano la vita di questa fascia di sopravviventi. Tutto necessario, sembrerebbe!
Ma c’è qualcosa che non funziona e la fine delle materie prime porterà le popolazioni a guerreggiarsi, a scannarsi, a sbudellarsi fino all’ultima goccia di sangue per ottenere l’ultimo goccio di petrolio, l’ultima esalata di gas o l’ultimo chicco di grano. Scenario apocalittico, per chi è seguace dei dettami biblici, o più semplicemente una naturale sfrondata stile quella che di tanto in tanto fanno le popolazioni dei lemming. Ma l’uomo non è una bestia, è scritto anche nella bibbia, il libro dei libri attraverso il quale si sono formate generazioni su generazioni, da ebrei, cattolici, protestanti, ortodossi, islamici, calvinisti e chi più ne ha più ne metta e la realtà del mondo occidentale ed occidentalizzato segue pedissequamente, come un lemming questa commedia-impostura dell’uomo superiore, del super uomo, dell’uomo che prevale su tutto ciò che o circonda, dell’uomo che, secondo la teoria evoluzionista, sta sopra la piramide. Ma ne siamo proprio sicuri?

L’uomo segue sempre l’evolversi della sua natura quando costretto in spazi esigui e a stretto contatto di gomito con il suo simile: guerreggiare, violentare, rapinare, rubare. Ne più e nemmeno come fanno altri animali con la piccola, ma significante variante che esso non è in grado di difendere se stesso, anzi, come la più bassa delle specie animali egli attacca se stesso ed annienta il suo simile come fosse suo nemico. Più basso di così nella scala evolutiva non si può! E tanto più bassa è la sua evoluzione quanto più alta la sua voracità e la sua incapacità di mediare “il tanto con il poco”.

Siamo alla soluzione finale? Nessuno è in grado di prevederlo, ma se guardiamo quello che altri stanno facendo ci verrebbe da rispondere di sì, e visto che la speranza è l’ultima delle illusioni,  cerchiamo di seguire questa strada e di dare, ancora una volta, una possibilità. Le economie mondiali, da est ad ovest, da nord a sud, sono ormai arrivate ad un punto apparente di non ritorno e nessuna soluzione, tra quelle che vanno in voga in questi ultimi anni, potrebbe essere salvifica.

Non c’è soluzione alla attuale crisi sistematica se non quella di derubricare i debiti accesi e creati bell’apposta, ma in questa maniera si rischierebbe la catastrofe per quanti hanno investito, involontariamente, in capitali fittizi, virtuali, inesistenti essi stessi vacui e senza la benché minima corrispondenza al mondo reale.
Pensiamo ad uno qualsiasi che ha investito un certo capitale in un fondo di risparmio, in cui siano incorporati alcuni strumenti derivati di cui non si conosce nulla, ma che una volta azzerato il debito l’investitore si troverebbe in mano solo cartaccia, senza nessun valore. Denaro, risparmi, sudore di una vita volatilizzato in un secondo, anzi in un milionesimo di secondo, tanto veloci sono oramai giunte oggi le possibilità di rendere ricco o povero un essere umano a causa di un suo simile. Ma sono cose che già si sanno, già digerite, e forse, in alcuni parti del mondo, già provate. Ma funzionerebbero applicate in una scala più grande?
Io credo di no.

Appare quindi, stando così le cose, che non vi sia soluzione e già negli anni ’90, in un rapporto della Shell, veniva evidenziato con una certa attenzione che nel prossimo futuro (si parlava del 2015/2020) si sarebbe incorsi  nella penuria di energia e siccome l’energia a tutt’oggi è per il 60/70 % prodotta dal petrolio questo significava che il petrolio sarebbe diventato via-via sempre più difficile da estrarre e sopratutto da trovare. L’energia per far girare il mondo è entrata in un profondo periodo di crisi e quella sistematica del mondo finanziario è lo specchio di quello energetico.

Nella sua corsa disperata ad accumulare e a sfruttare, l’uomo odierno ha perduto la sua totale comprensione di quello che lo circonda senza rendersi conto che questo lo porterà direttamente alla tomba. Si pensi al mercato in senso globalizzato come una immensa piazza dove tutti gli abitanti della terra si scambiano prodotti con il limite delle distanze. In questa visione, fatta propria dai liberal-globalisti, ogni prodotto è disponibile e facilmente scambiale , ma presuppone la facilità dei movimenti delle merci e delle persone cosa quest’ultima resa impossibile dalle varie dittature del mondo e dalle varie oligarchie finanziario economiche  che gestiscono i flussi di capitali lì dove è minore il costo dell’investimento. E’ palese che in questa condizione di mercato manipolato, la globalizzazione, vista come immenso mercato aperto, è un non senso, mentre per i loro ideatori è solo una chimera.  Se poi a questo vortice subumano di scambi commerciali ci mettiamo che per spostare qualche tonnellata di riso o di cotone si deve ricorrere all’energia da idrocarburi si capisce che il maggior costo è proprio l’energia stessa necessaria per produrre e trasportare che a sua volta viene compensata dal costo umano, quando necessario.

L’uomo è pertanto paradossalmente entrato in una fase di crisi di personalità, di riferimento, in cui i modelli a cui fare riferimento sono saltati perché precipitosamente sovvertiti.
Facciamo un passo indietro. Nei decenni passati l’unica vera fonte di energia era la cellulosa, necessaria per ogni attività umana, dal cibo al fuoco, all’energia. Tutto dipendeva dalla cellulosa e dai suoi derivati, nulla veniva sprecato e tutto veniva integrato. Pensiamo anche alle famiglie, a quelle medie della borghesia che dovevano avere le stufe sempre cariche di legna per scaldarsi, ma anche per cucinare, pensiamo alle attività industriali e artigianali che osservavano un modello di vita e produttivo che non era inteso al consumo, ma all’auto-consumo. Quello che oggi ogni azienda produce nella realtà 1/10 sarebbe utile e forse anche meno. Pensiamo ai cellulari, ai telefoni, alla tv o a qualsiasi altra scoperta (consumistica), come il frigo, il freezer, il forno a microonde, alle scarpe con suole di gomme (vi siete mai chiesti perché vadano tanto di moda quando fino a pochi anni fa erano considerate antigieniche, antiestetiche, dozzinali, utili solo per lavori di manovalanza). Pensiamo ai vestiti, alla composizione dei tessuti, ai filati ed ai processi di produzione degli stessi, oppure come vengono coltivati i campi di cotone o allevate le pecore per la lana (è da notare che molti lanifici italiani sono ormai chiusi e la lana delle nostre pecore viene gettata come rifiuto speciale anche se di ottima qualità) per non parlare poi dei processi di produzione agricola e alimentare in cui ogni segmento della catena produttiva e dipendente dal petrolio e da tutti i suoi derivati. Tutto è petrolio.

E’ evidente che la crisi sistemica del petrolio, sulla base di quanto detto, provocherà uno sconquasso inimmaginabile, devastazioni, ricaduta negativa su tutti le fasce sociali, a parte quella piccola nicchia di potere che sempre nei secoli è riuscita a mantenersi a galla sulle spalle della massa, impoverimento graduale, ma costante delle popolazioni e ritorno ad un periodo buio di tragedia sociale, in cui sanità, assistenza sociale e benessere diffuso saranno solo pallidi ricordi. E’ accaduto anche in questi tempi che in alcune zone del Cile per oltre 24 ore non vi sia stata l’erogazione della corrente elettrica, così come qualche anno fa a New York.

Facciamo mente locale e pensiamo a farci un caffè. Adesso semplicemente apriamo la scatola del caffè preleviamo alcuni cucchiaini e mettiamo la caffettiera sul fuco che abbiamo acceso con un banale clic. Dopo qualche minuto eccolo pronto, ma cosa accadrebbe se…semplice. Si acquista il caffè, il cui costo però schizzerebbe dalle attuali 8/10 euro/kg a probabili 20/30, una volta portato a casa in grani, perché anche la rivendita di caffè non ha energia elettrica, dovremmo macinarlo – a mano – e una volta raggiunta la quantità giusta per il nostro caffè potremmo metterlo sul fuoco, ma dovremo necessariamente avere una cucina che sia in grado di ospitare il fuoco, e non quello del gas (il prezzo delle bombole a gas – rare – schizzerà dagli attuali 25/30 euro a probabili 50/80 euro), ma quello a legna (anche in questo caso il costo della legna prenderà un’impennata notevole e possiamo supporre che si passerà dagli attuali 25/30 euro/q.le al doppio). E’ quindi necessario accenderlo, avere legna di piccolo taglio per l’inizio del fuoco e quella più grossa per poter cucinare e mantenerlo per un po’ di tempo. Ma anche in questo caso saremo costretti a rivedere alcune cose basilari: i nostri condomini non sono stati studiati per lo scarico dei fumi delle cucine a legna, i camini sono piccoli tubetti di qualche centimetro di diametro e convogliare i fumi della combustione a legna provocherebbe l’asfissia di tutti i condomini in pochi giorni. E’ evidente quindi che ogni cucina avrà un tubo che uscirà da una finestra per lo scarico dei fumi. E stiamo parlando solo di farci un caffè. Provate quindi ad immaginare a fare una cena, a dar da mangiare ai figli, alla famiglia. Ma dopo qualche ora arriva il buio e l’energia non c’è. Che si fa? Candele, lampade ad olio o a gas per i più ricchi, ma non è finita, perché bisogna lavarsi e lavare gli indumenti, mantenere le derrate alimentari (spariranno i grandi centri commerciali e risorgeranno i negozi dei quartieri, più vicini alle necessità dell’uomo, perché non potremo più mantenere 10 kg di carne in congelatore, ma scopriremo la possibilità della conservazione) e così via per ogni attività che adesso ci sembra un banale clic dell’interruttore.

Non sono dell’epoca delle candele e nemmeno delle lampade a gas, ma ho vissuto in quella di mezzo in cui gas, luce e acqua erano comunque un bene di lusso e queste cose, questi piccoli e lenti passaggi portano l’uomo a rivedere i suoi modelli di vita attuali. Tutto diventerà più lento, più umano, più naturale e ci farà riscoprire che tra una estate ed un inverno ci sono mesi di freddo, piedi ghiacciati, coperte che non scaldano (tutte di plasticaccia), vestiti che assorbono umidità, così che sapremo capire che c’è il caldo torrido, l’afa, le punture delle zanzare e le mosche che cresceranno a non finire per la penuria di insetticidi (tutti derivati del petrolio). Si scoprirà la lentezza della comunicazione, ma anche la velocità con cui si riuscirà a tessere amicizie e conoscenze. Il tempo rallentato porta a colloquiare e non ad isolarci come automi. Vedremo che per fare qualche chilometro ci potremo anche impiegare mezza giornata e ci accorgeremo che per inviare una lettera (di cellulosa) ci vorranno anche 10 giorni o forse più. Gli appuntamenti saranno dilatati e la fretta che ogni giorno ci attanaglia sarà un brutto ricordo del passato.

Forse, non tutto il male vien per nuocere e in questa crisi, in questo qualcosa che non va un lato positivo c’è, se non altro la riappropriazione della dimensione umana. L’importante è essere preparati che non tutto è infinito e che ciò che adesso abbiamo, domani potrebbe non esserci più, basta un clic…oppure, come i complottisti insegnano, siamo al punto di non ritorno secondo il picco di Hubber?

Fiat, Marchionne, Imprenditoria…e la società che fine ha fatto? (Parte II°)

10 ottobre 2011 2 commenti

SECONDA PARTE

E’ possibile quindi trovare una via d’uscita?

In queste condizioni, senza nessuna regola e senza un lavoro attuato di comune accordo e sopratutto all’interno di una comunità europea amministrata dai fautori del mercato libero e della libera e spietata concorrenza, non ci son altre soluzione che la guerra commerciale fino all’ultima goccia di sangue. Il più forte vincerà sempre e comunque sul più debole. E’ la legge della giungla, ma è anche la conseguenza di una politica economica e commerciale che non ha voluto tenere conto dei rapporti di cambio tra il mondo occidentale e quello orientale. Infatti come possiamo competere con paesi il cui costo della manodopera è volutamente tenuto ad un livello così basso che nemmeno nel nostro dopoguerra era possibile? Come possiamo pensare di potere avere una competitività aggressiva con paesi con prezzi delle merci dai valori improponibili per una società odierna occidentale? Pensiamo alle semplici scarpe fatte in Cina o in Vietnam in cui si riescono anche a spuntare prezzi di poco inferiori a 3/5 dollari al paio, mentre successivamente troviamo sui scaffali le stesse scarpe vendute a 100/150 euro. Sono evidenti i divari e la grossa fetta di guadagno che nel percorso produttivo, hanno avuto i diversi attori. Ma anche la stessa Cina si trova adesso nelle stesse condizioni di spuntare prezzi più bassi rispetto a quelli che fino a qualche anno fa li vedeva primi nel mercato. E’ in atto infatti una delocalizzazione proprio del settore delle scarpe in Africa, in Nigeria, dove lì i prezzi, a causa della infinita povertà di quella popolazione, potranno compensare gli aumenti dei costi in patria cinese. Però anche questo espansionismo cinese è in continuo attrito con le realtà africane poiché «contano solo le materie prime: l’uomo africano e il suo sviluppo integrale importano poco. In queste condizioni è impossibile creare un mondo che favorisca e promuova la convivenza». Va comunque detto che rispetto agli sfruttatori europei ed americani, i cinesi, da bravi commercianti, qualche piccola cosa la riescono anche a dare, come la costruzione di chiese, la stampa di bibbie o altre piccole cose che hanno il sapore delle collanine e degli specchietti che gli europei portavano ai popoli barbari nelle Americhe.

La stessa cosa è accaduta anche nella patria del libero commercio e del libero scambio e così in Usa centinaia di migliaia di persone si sono trovate a casa senza un motivo e senza un ammortizzatore sociale: le aziende Usa spinte anch’esse dal maggior guadagno e dalla facilità con la quale potevano sbarcare in oriente hanno chiusa baracca e burattini, tagliando di netto i rapporti interni con le proprie maestranze.

E’ evidente che la prima perdita in assoluto è la qualità della manodopera che nel corso degli anni si era affinata, si era migliorata ed aveva perfezionato tutto un insieme di caratteristiche che faceva dell’Italia un luogo invidiato. Ma l’impresa non sa resistere all’odore del profitto e le forze politiche non sanno imporre una sana politica della difesa del lavoro e del mercato interno se non scendendo a compromessi che non fanno contenti nessuno, ma che hanno portato allo sfascio del lavoro per tutti.

E’ possibile che in questo marasma si possa trovare una soluzione, non facile per alcuni, ma sicuramente più idonea alla collettività, che dal lavoro e dalle attività industriai riceve il suo sostentamento. Una possibilità è sicuramente la responsabilità dell’imprenditore e un’altra è quella del lavoratore. Non voglio entrare in concetti politico sociali a favore di nessuno dei due, perché ogni uno è un elemento costituente dello stato e partecipa allo stesso con le proprie forze.

Sappiamo quindi che dal codice civile (Art. 2082) si definisce imprenditore colui che esercita un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi, mentre il lavoratore è colui che svolge un’attività manuale o intellettivo a scopo produttivo.
Sostanzialmente tra le due figure le differenze stanno in alcune parole “attività economica organizzata” togliendo le quali, le definizioni si equivalgono.

L’onere dell’imprenditore è quello di svolgere un’attività economica organizzata, mentre quella del lavoratore è quella di svolgere un’attività a scopo produttivo: manca il termine organizzata, ovvero il lavorate è quello che non organizza al fine di produrre, ma compie un lavoro che lo porterà a produrre. No so voi, ma sembra che si sia voluto battere l’acqua nel mortaio.

Le due figure, secondo l’attuale sistema, sono quindi agli opposti e mai potranno convergere agli stessi risultati. Nella realtà sappiamo che le due figure non sono disgiunte e che una non può esistere senza l’altra, tutte e due sono tra loro reciproche, con compiti diversi, ma con lo stesso punto di arrivo: la produzione e quindi il profitto.
Va da se quindi che in una revisione di questo sistema “capitalistico” e, si badi bene, non feudale, ad ogni sobbalzo dei mercati e del flusso dei capitali quello che ne subirà gli effetti negativi sarà il lavoratore e il piccolo imprenditore-lavoratore. In questo sistema è quindi necessario capire che esso si autoalimenta per quello che potremmo definire il “respiro-del mercato” in cui ad espansioni interne di mercato si contrappongono diminuzioni e restrizioni in altre zone e il mantenimento di questo schema permette, ovviamente all’imprenditore, di non essere mai responsabile delle sue attività all’interno della collettività in cui esso si colloca, perché come abbiamo visto l’unico scopo dell’imprenditore è solo ed esclusivamente “organizzare” il profitto. Per contro al lavoratore non resta che la semplice fruizione della sua attività produttiva, senza la quale egli non potrà percepire il punto comune dei due attori del sistema produttivo.

E evidente che in queste condizioni la società non avrà mai la possibilità di miglioramento e di espansione atta a portare un beneficio a tutti i componenti della società stessa, poiché durante quei momenti di espansione l’attenzione sarà puntata alla massimizzazione dell’utile, mentre nei momenti di restrizione l’attenzione sarà focalizzata alla riduzione della voce “costo” che è una componente del profitto stesso: minor costi maggiori profitti.

In epoca medioevale in un periodo che va dal 780 al 1500 nella zona compresa tra Rovigo-Chioggia-Padova esisteva un immenso territorio, buona parte del quale paludoso, sommerso dalle acque salmastre della laguna veneziana e soggetto alle innumerevoli inondazioni dei diversi fiumi che lo solcavano. In questo territorio i padri Benedettini di Santa Giustina a Padova iniziarono un estenuante lavoro di bonifica e di risanamento che durò per quasi 600 anni. In questa lunga e certosina opera forti della loro eredità cistercense, riversarono la forza e la dedizioni alle migliaia di famiglie che in quelle terre inospitali (la malaria era la regina incontrastata) cercavano un sostegno ed un riparo per una vita onorevole.  (I padri benedettini e la loro attività agricola in saccisica)
L’opera eccelsa di questi padri fu quella di coinvolgere tutte le forze lavoro dell’epoca fornendo loro tutto quello di cui avevano bisogno: attrezzi agricoli, ripari, case, sostegno alimentare, oltre ad una paga giornaliera. Nessuno era escluso ed ognuno portava il suo contributo per il miglioramento della collettività e in cambio la comunità benedettina non lesinava a dare in comodato pezzi di terra a quelli che intendevano stabilirsi permettendo a questi di integrarsi nel territorio migliorandolo con il proprio lavoro: potremmo definirla una società di mutuo soccorso, nella quale ogni elemento della stessa partecipa anche marginalmente, al suo miglioramento.

L’esempio seppur scarno, è sufficiente per capire che in una società nessuno è estraneo al suo perfezionamento ed ognuno è responsabile – nella società – per l’attività che egli svolge. Non c’è uno migliore dell’altro in senso assoluto, ma tutti, ugualmente, anche se in misura frazionale, contribuiscono al fine di migliorarsi e di migliorare il luogo in cui vivono. Non si tratta di entrare nei meandri del becero comunismo o di un nazionalismo esasperato, ma semplicemente dare a tutti la possibilità di partecipare alla crescita economica-sociale e personale di una società, nessuno escluso.

Per fare questo però sono necessari dei cambiamenti radicali. Uno tra i primi è la responsabilità sociale dell’imprenditoria che attualmente la vede estranea, e compartecipe alle difficoltà solo marginalmente, perché in essa è sempre presente lo sguardo in quei luoghi dove l’egoismo e l’avidità umana possano esplicarsi al massimo. Questa responsabilità non si ottiene semplicemente con un semplice tratto di penna, ma con un’attività educativa che sia funzione dell’uomo, della famiglia e della scuola, mancando i quali si ottiene quello che abbiamo sotto gli occhi.

I tempi però sono ormai limitati e non v’è spazio per troppe sofisticherie, perché non solo potremmo perdere l’occasione, ma saremmo costretti a fare un salto all’indietro con conseguenze catastrofiche in tutti i settori. Come già detto la perdita di migliaia di posti di lavoro, la conseguenza carenza di impieghi stabili e della possibilità di mettere a frutto le proprie esperienze porterà nel corso degli anni ad un “imbarbarimento” di quella classe di persone che erano invece il perno principale produttivo dell’Italia: si pensi, ad esempio, al settore artigianale, al tessile, a quello calzaturiero, senza dimenticare i distretti del legno di Manzano, della Brianza o Marchigiano che nel corso di decenni hanno sfornato prodotti invidiati e acquistati solo perché italiani. Ma non sono solo questi i componenti del sistema produttivo italiano, ma anche quello alimentare ed agricolo che per l’effetto della forzata industrializzazione dell’Italia (legassi Fiat e settore dell’acciaio e chimica) e dell’apertura ad est della comunità europea, ha visto l’abbandono delle campagne con il conseguente degrado del territorio. Degrado tanto maggiore quanto più evidente con i dissesti che riscontriamo ad ogni stagione con qualche semplice pioggia.

Questa mancata responsabilità politico-sociale ed imprenditoriale rende assolutamente necessario correre ai ripari, il più rapidamente possibile. Sono finiti i tempi delle stupide ed inutili discussioni che quotidianamente assistiamo o sulle avventure di qualche politico ormai al tramonto; sono quindi necessarie prese di posizione e la ricerca di soluzioni che diano al complesso Italia una via d’uscita da una distruzione che non avrà ritorno. Tutti sono chiamati in causa, perché è un problema comune che coinvolge tutti. E tutti dovremo rivedere le nostre necessità, i nostri doveri e i nostri diritti, imprenditori e banche comprese.
E’ un non senso pensare che tutti siano agricoltori, tutti industriali o tutti dottori. Ogni persona ha le sue capacità di esprimersi e di essere per quel che è, e queste vanno sempre sostenute ed incoraggiate al fine di migliorare la società a cui apparteniamo. In questa revisione sociale la parte del padrone la fa l’Imprenditoria che deve essere sostenuta ed incanalata a supportare le forze sociali senza quel aiutino che lo stato e la falsa politica sociale ha fino ad ora adottato. Ogni attore dello stato deve assumersi le sue responsabilità e rendere conto alla comunità di ciò che fa e di ciò che non fa.
E’ troppo facile prendere baracca e burattini ed abbandonare quelli che fino a ieri hanno concorso al benessere: do ut des!

Fiat, Marchionne, Imprenditoria…e la società che fine ha fatto? (Parte I°)

Disastro sanitario libico o premeditazione stile “Piombo Fuso”??

3 settembre 2011 8 commenti

A seguito del commento di una lettrice mi sono spinto a cercare notizie circa la sparizione di 1500 bambini dalla Libia. Al momento non si sa se si tratta di una notizia fasulla o dell’esagerazione mediatica dell’altra notizia che avevo riportato tempo addietro riguardante il sequestro di 105 bimbi da Misurata, in cui si vedevano coinvolte anche alcune navi italiane e che, come sempre accade in Italia, nessun quotidiano o telegiornale ha voluto rivelare.

Si scopre invece che l’umanità della guerra di Libia da parte delle forze belligeranti (Italia, Francia, Inghilterra e le latre della Nato a seguire, senza dimenticare gli Usa) nell’imporre la risoluzione 1973 della no-fly-zone ha  imposto direttamente la dichiarazione di morte di moltissimi bambini ammalati negli ospedali di Tripoli e delle varie città della Libia.

Le uniche autorità sanitarie permesse ad operare, proprio per rispettare l’ordine dell’Onu, erano la Croce Rossa internazionale e Medici Senza Frontiere. La prima deve coprire vastissime aree, mentre MSF sono rimasti in pochi senza sostegno lavorando in una situazione dove manca di tutto: dalle bende, alle medicine di prima necessità, ai vaccini che per i bambini ai primi anni sono vitali.

L’embargo occidentale sta riducendo la Libia a quello che è Gaza, ma in scala maggiore e l’umanità delle operazioni della Nato impedisce che ci sia il rifornimento delle medicine necessarie. Più volte gli addetti sanitari degli ospedali libici hanno fatto richiesto urgente di medicine e vaccini, senza mai però ottenere nessuna risposta.

Questa è la rappresentazione umanitaria che Frattini e l’altro cialtrone di Napolitano continuano a ripeterci, alla quale fa eco l’altro criminale mafioso sionista di Sarkozy che le azioni della Nato devono durare comunque fino alla completa liberazione della Libia ( forse intende attuare un’altra operazione stile Piombo Fuso su suggerimento dei suoi mentori israeliani?). Pare infatti che la Nato prolunghi la sua attività fino alla fine di ottobre o dell’anno in corso e questo la dice lunga sulle operazioni militari che vede il nostro prossimo medio-oriente in totale rivolta. Nel frattempo i vari ribelli della CNT si sono accomodati all’Eliseo accolti dai vari manigoldi europei per avere il denaro necessario, a loro dire, per risollevare l’economia della Libia e sopratutto, dicono, per portare il sostengo sanitario lì dove manca. Hanno anche una faccia di tola che non ci si aspetterebbe, no?

Ma se sono stati loro, con l’aiutino anglo-francese, a buttare il cerino nel pagliaio adesso che si stanno bruciando le dita vogliono anche avere l’acqua per spegnerlo? Io gli passerei una bella tanica di benzina raffinata e che si facciano un bel falò. Però, nelle stanze ovattate dell’Eliseo, il mafioso di Sarkozy ha già ottenuto il 30%, ripeto il TRENTA PER CENTO delle forniture di petrolio dalla Libia. Vorrei ricordare, per chi ancora non lo sapesse, che questa immagine che avevo già postato qui, era la situazione della ripartizione delle forniture del petrolio libico.

E’ bene notare quale era PRIMA la percentuale che andava alla Francia (il 6%) contro il valore che invece l’Italia poteva vantare (38%). Ora, se i numeri dicono sempre la verità, sarei curioso di sapere cosa potrebbe giustificare questo cambiamento di rotta che ci vede minoritari nel rifornimento di petrolio (appena un 10%) contro quanto invece ha siglato la Francia.

Chissà se quel deficiente (dal latino deficere: scarso al bisogno) di Frattini e dell’altro demente senile di Napolitano avranno sottoscritto una assicurazione per pagare la differenza. Purtroppo ad essere beatamente deficienti non sono solo questi due campione di merda italiana, come l’ha definita l’altro stampo da pippe di Berlusconi, ma l’intero sistema Italia. Dalla destra alla sinistra. E noi popolo imbelle e vigliacco che andiamo alle loro manifestazioni li applaudiamo li inneggiamo!!!…ma a valangate di merda dovremmo inneggiarli, a sprangate di stronzi in testa dovremmo applaudirli altro che palle, questa immonda crosta incancrenita che ci gestisce non merita nulla di più.
Chiedo venia per la scurrilità ma quando è troppo è veramente troppo.

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