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La Befana
Il Natale era trascorso nella tranquilla vita di campagna, festeggiando la venuta del Salvatore e i primi giorni di gennaio rappresentavano per i bambini un momento di conclusione e di inizio: arrivava la Befana e tutti facevano i conti con quanto di bene o male avevano fatto in famiglia, con gli amici o a scuola.
Tutti pensavano, raccontavano o giustificavano alcune marachelle e pensavano alla letterina da scrivere a questa vecchia.
Fuori il tempo, spesso impietoso, non lasciava spazio al gioco se non a qualche lunga corsa in mezzo ai campi ghiacciati e ricoperti di uno spesso strato di brina o di neve per dar sfogo all’energia trattenuta nei mesi invernali precedenti. Altri, i più fortunati, che avevano i campi con i fossi colmi d’acqua, pattinavano su quel ghiaccio facendo capitombole inverosimili, ma accompagnate da fragorose risate.
I vestiti erano semplici, poveri e non sapevano trattenere il caldo del corpo, ma la voglia di giocare, di correre, di saltare e di essere immersi in una natura vetrificata era enormemente più forte del freddo che bloccava le caviglie, che congelava le mani, che rendeva i visi rossi e gli occhi luccicanti. Alcuni avevano dei semplici cappotti di lana, altri dei maglioni a strati spesso dei fratelli più grandi e le scarpe, di cuoio, una volta imbevute d’acqua e dell’umido dei campi, diventavano dei blocchi di ghiaccio per i piedi.
Un freddo assoluto che penetrava come una lancia in gola, che bloccava le articolazioni, ma che stimolava a pensare cose sempre più fantasiose per riscaldarsi.
Allora correvano tutti assieme nelle stalle e lì, nell’angolo più caldo, cercavano il ristoro, il tepore che avrebbe rianimato la folle vita dei bambini. Era una ruota, un entrare ed uscire dalle stalle e spesso qualche scappellotto e una pedata arrivava dagli anziani, stanchi di quel andirivieni senza senso.
Il freddo bloccava le attività dei campi. I contadini si adoperavano a riparare gli attrezzi che li avrebbero visti impegnati in primavera, oppure davano una mano alle mogli per sistemare quelle parti della casa che necessitava di qualche riparazione. Nulla era fermo, ma fuori il tempo sembrava immobile.
I giorni a volte erano nebbiosi e la nebbia così fitta che si congelava sui cappotti e sulle mani, mentre la luce del sole che raramente faceva capolino nelle ore centrali, non riusciva a farsi largo e i bambini passavano così dalla notte al giorno senza uno stacco preciso, come in primavera o d’estate. I giorni delle feste scorrevano in attesa di quello magico momento.
Arrivava la Befana e se qualche cosa di brutto s’era fatto sapevano che la dolce vecchia avrebbe comunque donato qualche piccolo regalo in mezzo a tanto dolce di carbone nero.
Alla sera, dopo una cena frugale, andavano a letto presto e nell’attesa del sonno, nella stanza riscaldata da una piccola stufa, fantasticavano in quello che avrebbero ricevuto. Le immagini che la stufa disegnava con i suoi crepitii, le sue luci e ombre andavano a scavare nelle mente magiche idee, tutte collegate con quanto avevano chiesto alla Befana.
In cucina i genitori sistemavano la stanza, preparavano la cena per la Befana: un bicchiere di vino, un pezzo di pane, qualche fetta di salame ed una sedia sulla quale poteva riposarsi, infine appendevano al camino alcune catene – quelle usate per appendere le pentole – che avrebbero dovuto facilitare la discesa e la risalita dal camino, ma l’attesa del momento non faceva dormire bene i bambini, perché a notte inoltrata udivano strani rumori che spesso agitavano quei sonni innocenti: spesso la mamma accorreva al richiamo del fanciullo a tranquillizzare e a sostenere l’aspettativa, ma l’agitazione era troppo forte e il tempo troppo lento per aspettare, ma la stanchezza, alla fine, aveva il sopravvento.
La notte scorreva veloce e al mattino, di buon ora, i bimbi si alzavano immersi in una stanza che sembra irriconoscibile rispetto alla sera precedente: il pensiero di quello che li attendeva, il freddo penetrante e i vetri ghiacciati dal vapore emanato dai corpicini, dava a quel giorno tutto un sapore particolare. Di corsa e senza pensare correvano giù dalle scale per precipitarsi in cucina, dove la vecchia aveva mangiato e…posto i regali tanto agoniati, ma la mamma sapeva indugiare e così il papà, severo e fermo, chiedeva se si erano lavati le mani ed il viso, ma vedendo le loro faccie ancora stropicciate dal sonno, con un buffetto li lasciava correre verso la cucina…
Era la fantasia che si era fatta realtà, le idee che potevano concretizzarsi, i pensieri che tutto quello che un bambino ha in testa è vero. Mille colori, pacchi dorati, rossi, gialli e blu; oggetti che non avevano un carattere definito e che non sapevano indicare cosa fosse il contenuto. L’ansia e l’attesa di toccare arrivava al colmo fintanto che la mamma e il papà, sussurrando di fare piano-piano, dicevano che forse la Befana era ancora nei paraggi e non si poteva fare chiasso o urlare, ma attendere e avvicinarci con prudenza a quelle meraviglie per non spaventarla, forse perché stanca o forse perché qualcuno doveva essere punito. Alla fine, si guardava nella cucina: le impronte di fuliggine sul pavimento, il bicchiere mezzo vuoto, alcune fette di salame mangiate in fretta e il pane mangiucchiato erano le prove del passaggio di quella speciale vecchietta.
Non era possibile dubitare!
Allora i bambini guardavano dalla finestra e cercavano nelle figure in lontananza se potevano intravvedere ancora la figura della Befana che purtroppo era già volata in altre famiglie.
L’Europa impone: NO al NATALE!

Natale di Giorgione
Pare una barzelletta per tutti quelli che per anni hanno vissuto questa festa che ha origini antichissime e che fonda le sue radici nella nostra storia romana e successivamente nella millenaria storia del cristianesimo.
Esiste l’ordine dall’alto, della Commissione Europea (che rammento NON è nominata da nessun governo europeo) che ha imposto all’Europa la cancellazione della festa natalizia. La notizia, che troviamo su “La Stampa” brevemente è la seguente:
La Commissione Europea ha prodotto più di tre milioni di copie di un diario dell’Unione Europea per le scuole secondarie che non contiene nessun riferimento al Natale, ma include festività ebraiche, indù sikh e musulmane.
Certo la libertà di culto è sacra così come lo era in tempo romano, ma quella a cui ora stiamo assistiamo è l’imposizione della de-romanizzazione dell’Europa e la conseguente riduzione della cultura cristiana. Le leggi europee stanno agendo come un tremendo maglio macina tutto e i risultati di questo immondo modo di agire li stiamo verificando e toccando con mano tutti i giorni.
Quello che è accaduto con la Riforma luterana e successivamente calvinista nel nord Europa, nella cattolica Inghilterra ed Irlanda, viene pedissequamente applicato anche in questo tempo. Le stragi compiute dai riformatori in Germania, Olanda, ma sopratutto Inghilterra ed Irlanda e da i loro sostenitori, si stanno esprimendo adesso anche attraverso questi atti che negano l’esistenza di un sentimento culturale e tradizionale comune.
In buona sostanza, l’Europa costituita da popoli che fondano la loro cultura sul cristianesimo, è destinata ad accettare l’ebraismo, l’islamismo, l’induismo ed altre varianti religiose, purché NON siano cristiane. Una bella faccia di tola questi della commissione europea (il minuscolo è d’obbligo), no??
Come li potremo definire queste croste di qualche cesso di periferia, pagati profumatamente con i nostri soldi che decidono sulle nostre teste sulle NOSTRE TRADIZIONI e sulla NOSTRA CULTURA???
E’ forse la mano longa delle logge massoniche che tradizionalmente combattono il cattolicesimo? Non è da sapersi, ma anche MTV pare avere qualche ingerenza sulla questione:
Hanno raso al suolo la scuola, la famiglia, la coppia, i sentimenti e il Natale, mercificando tutto e tutti, hanno livellato il pensiero portandoci ad assomigliare al nulla ma noi, vere bestie da macello non meritiamo la nostra cultura. Dobbiamo accettare la scure del macellaio, perché il goym non è degno di vivere se non quello di servire il suo padrone messianico. Nessuno ne parla, nessuno, nemmeno il Santo Padre, forse anch’egli fratello dei grandi fratelli, ma nemmeno la stessa chiesa, quella che pur con tutti i se e ma, ha difeso l’occidente sostituendosi come baluardo a sostegno della nostre origini oppone un flebile lamento.
Tutti supini al pensiero dominante.
Natale, una festa dissacrata.
Come ogni anno arriva il Natale.
Una festa che alla fine non è altro che la sempre e solita festa. Ma festa di cosa?
In ogni città i diversi mercatini imperversano, la gente corre a frotte a comperare (adesso si dice shopping) per la festa di Natale! Mamme, bambini, gente qualunque che si assiepa lungo le vetrine lucenti di brillantini, festoni per assaporare una festa. Ma di che cosa?
Cos’è il Natale? Non me ne vogliano i cattolici, ma quello che una volta era la festa della Natività oggi è diventato il mercimonio degli oggetti più disparati: dalle mutande, alle scarpe, agli inutili attrezzi per la cucina o per la casa che mai verranno usati o mostrati. Tutto ciarpame inutile, pagato a caro prezzo e solo per fare un regalo, un pensiero o un obbligo. Ma nulla più!
Il Natale, così come la famiglia, la scuola, la società, i valori del rispetto e della tolleranza e della misericordia, sono stati sovvertiti in obbligo alle leggi di mercato. Tutto, in pochissimi anni, è stato raso al suolo, amalgamato ad un semplice mercato del bestiame, in cui il prezzo di un chilo di carne equivale a quello del pensiero per un figlio o per i propri cari. Il vilipendio della festività più cara al mondo cristiano e a quello del mondo contadino, è stato reso una buffonata: una semplice comparsa della commedia della legge di mercato.
Negozianti che si arabattano a cercare scorciatoie per attrarre più clienti possibili, orari da schivizzazione per gli impiegati ed i commessi, domeniche e sabati dedicati alla massiccia corsa agli acquisti, code chilometriche in auto per guardare vetrine che migliaia di volte abbiamo visto e che sono sempre le stesse. Tutto solo ed esclusivamente per festeggiare una cosa sola: il denaro, anzi i guadagni di chi ci rapina. Oggi che è la vigilia ho visto i moscardini a 38 euro/chilo contro i normali 4/5 euro che si pagano normalmente nei mercati del pesce.
E’ corretto? Dal mio punto i vista direi che non fa una grinza, ma altri, forse, potrebbero aggiungere che nella festività del Natale si celebra la famiglia e quanto non è stato possibile fare nel corso dell’anno. Falsi!
Lo sapete che non è così, ma che questa festa, come tutte le altre, è una semplice scusa per tutte le manchevolezze che nel corso dell’anno sono state compiute da ognuno di noi ed allora nella festa comandata si cerca riparo con un regalo, con un oggetto inutile che non serve a nessuno e nemmeno a chi lo riceve.
Anzi chi lo riceve capisce benissimo che non è pensato, ma che è l’obbligo che sentite verso la vostra manchevolezza nei suoi riguardi, quindi doppiamente falsi ed ipocriti.
Quanto ipocrisia e falsità vestita di pellicce di animali sacrificati per il nostro sudicio ed immondo perbenismo. Confondiamoci nella folla grigia delle pecore che vanno al mattatoio e manteniamo un profilo basso, così, nella speranza che il macellaio non ci veda, ma alla fine anche i l nostro sangue sarà versato. Eppure, lì, poco lontano c’è uno spiraglio, un buco nella staccionata che potrebbe essere la via della salvezza e della nostra via, ma siamo pecore, inermi e condannate a seguire il gregge, non siamo in grado di vedere oltre alla punta della coda della pecora che ci precede.
Mercato si diceva sopra, ma il mercato non è tutto, esso è parte di un grande disegno di scelte che altri fanno per noi. Adesso siamo i padroni del mondo, così sembra che crediamo, ma siamo in fila al negozio per acquistare quello che tutti hanno; organizziamo la cena dove sulla tavola si ereggono simboli dei quali nemmeno conosciamo la loro vera origine e che scambiamo per addobbi, ma che nascondo nel loro intimo aspetti e segreti a noi sconosciuti ed estranei.
Natale falso e sudicio!!!
Eppure, nella festività di questo giorno una fiamma arde per riscaldare, ma non è quella del mercatilismo o del messianismo ormai dilagante, ma quella più piccola e sempre ardente della speranza e della verità , che tende al calore di tutte le cose, alla luce e a una nuova vita. Non è cristianesimo, né giudaismo e nemmeno zoroastrismo, ma la semplice speranza del nudo contadino che nei segni imperscrutabili del tempo e della terra percepisce il corso degli anni e i segni della nuova vita.
I tutto questo non v’è nulla di commercio e di coscienza intesa nel senso di gnosi, ma la sapienza che molto non è conosciuto e ciò che si conosce è infinitamente piccolo di fronte a quanto accade.
La cultura serpeggiante
Nello sbirciare in rete ho trovato questo piccolo pezzo di Ida Magli che recita: “L’immagine sulla quale si fonda il rapporto di Dio con il suo popolo prediletto è un’immagine sessuata e sessuale. Israele è la Sposa di Dio. Il patto di alleanza avviene attraverso una offerta sessuale: l’offerta del prepuzio.”
Non voglio entrare nei meandri psicologici e teologici che l’autrice esprime nel suo libro “La Madonna“, ma mi preme sottolineare una certa dicotomia linguista e caratteriale del suddetto pezzo che spesso contribuisce alla creazione di falsi dogmi e false interpretazioni.
Qualche giorno fa, il 22 di novembre, si è celebrata la giornata contro la violenza sulle donne e si sono attuate tavole rotonde, incontri atti a evidenziare, sottolineare e additare che ancora oggi, nel XXI° secolo, accadono delle assurdità: l’uso del corpo della donna come simulacro del maschio che se ne serve. Non è possibile essere indifferenti a storie che giornalmente ascoltiamo o leggiamo, ma allo stesso tempo molta stampa e molti media televisivi chiosano sul marciume umano di come e dei mezzi utilizzati per stupri e violenze varie. Non c’è scampo per le donne, da qualsiasi parte esse si muovano trovano sempre e comunque l’atto violento, morale e fisico che viene loro fatto pesare impunemente. E così nel lavoro come nella famiglia, il corpo e la mente della donna subiscono una tortura che dura dal momento della sua creazione, per chi ci crede, ma lo dice anche la Bibbia. Possiamo non credere ad un testo che ci è stato imposto si dal primo vagito?
Già! La Bibbia, la cultura occidentale identifica le sue origini teologico-ebraiche e poi cristiane sull’antico e nuovo testamento, anche se nella realtà lo stesso Marcione identificava un cristianesimo come scisma interno dell’ebraismo che si affrancava dall’indole violenta ed antropomorfa che si rileva nel libro ebraico. Ma proprio nell’identificazione teologico-antropomorfa del vecchio testamento trae origine nelle popolazioni occidentali la cultura della prepotenza umana del maschio sul corpo e sulla mente della donna. Molte donne subisco i più efferati atti di violenza, di usurpazione e non ultimo di evirazione privandole di una parte del loro corpo per essere sottomesse al potere de maschio. Abominevole!!!
Allo stesso tempo e senza nessun trauma in tutto il mondo accade anche ai maschi una cosa del tutto simile, così che nella cultura ebraica, in virtù del patto divino il popolo d’Israele sacrifica se stesso e come segno dona i giovani prepuzi al Dio-Maschio.
Si trova quindi che specialisti di questa pratica siano dei pii rabbini con il preciso compito di tagliare quella pelle in più sul pene del neonato risucchiando con la bocca il sangue che sgorga e mescolando lo stesso con vino, pane azimo per la festività della Pesach e del successivo pranzo Seder.
Il rito sacrificale, patto dell’alleanza con Dio, è allo stesso tempo scaramantico per tutti i presenti all’evento e il sangue del prepuzio è il simbolo della rinnovata alleanza che si cosparge, mescolato con acqua, anche ai presenti la celebrazione che ne compiono abluzioni (1). E’ pacifico che questa tradizione religiosa, seppur sorretta da nobili idee, è per il maschio esempio di crudeltà e di sopruso al pari di quella delle menomazioni fisiche subite dalle donne. Non v’è differenze, perché credenze e i rituali che ne derivano hanno tutti lo stesso scopo: sottomettere, esercitare il potere sul più debole, annientare edulcorando l’atto con una simbologia più che medioevale, sicuramente arcaica.
Non è tollerabile che nelle culture occidentali, da qualsiasi parte si analizzino, si attuino opere di siffatta bassezza morale e se le religioni, le credenze i paganesimi sono a sostegno di quegli atti. In questa parte di mondo che vogliamo definire civile, non possiamo considerare un atto di serie B ed uno di serie A. Tutti indistintamente vanno messi sullo stesso piano perché tutti usano la violenza sul più debole.
Nel frattempo, però, non s’è notato nessuna procura che si sia interessata di quanto accade anche a quella parte di popolazione maschile.
(1) A.Toaff – Pasque di Sangue – Ed. Il Mulino
Cultura, nazione e popolo.
Beh, a leggere il titolo verrebbe da pensare che si sta leggendo un pistolotto, di quelli che appena cominciato farebbero venire una noia infinita, invece è una semplicie deduzione tratta da alcune idee condivise all’ora di cena di un sabato sera con la propria consorte.
Cultura, una parola che ha diversi connotati: arte, poesia, musica, scultura e archittettura e, in tempi odierni, multimedialità.
La cultura è permeante in ogni individuo, dal più scemo del villaggio al più erudito e forse nel più scemo c’è quella parte di cultura che ai più eruditi scema in un qualche cosa di archetipico. Eppure nella stessa cultura si estrae il succo di un gruppo di persone, si caratterizza il pensiero comune, quel trait-d’union che collega l’erudito allo studioso.
La cultura permea tutti gli italiani, così come tutti i tedeschi, i francesi e non parliamo degli inglesi che stanno sempre sopra a tutte le culture come l’olio. Eppure la nostra cultura, quella italica, è una cultura frammentata, scomposta, formata da colori diversi, ma sempre unita.
E’ un raggio di luce dal colore vivace, vivido e sempre presente: iridescente nelle sue più varie sfumature, ma originata da una luce comune. Difficle da definire se romana, ellenica, egizia o spagnola, tedesca o barbara. E’ la nostra cultura, un coacervo, che nell’arco dei millenni ha saputo forgiare esempi di sublime bellezza nelle varie forme dell’arte. Nessuno al mondo è paragonabile alla nostra cultura! Non è narcisismo nazionalista sfrenato, ma la semplice vista di uno come tutti gli altri che, annusando come un cane da tartufo, scopre le immense bellezze di questa povera e sfortunata Italia.
E’ sufficiente fare un salto nel nostro più prossimo passato per scoprire che tra il 1300 e il 1500 l’Italia, scomposta come i colori dell’arcobaleno, ha prodotto i più grandi artisti che uomo abbia mai potuto vedere. Si pensi ad un Giorgione che nella sua epoca ha potuto conoscere il Verrocchio, il Tiziano, Il Campagnola, Leonardo da Vinci, il Pinturicchio, il Vasari, il Bellini e tanti altri che si sono sviluppati e hanno contribuito alla bellezza ed alla prosperità dell’arte italica. Tutti divisi, ma tutti uniti da un unico seme: quello della condivisione e della trasfigurazione metafisica di un ideale che assumeva i connotati di una unica idea. Gli uni e gli altri che, rimescolando e confrontandosi nei propri lavori, assaporavano le sfumature e le controversie ad azzardate interpretazioni artistiche. Una vera esplosione culturale che non ha esempi in nessuna parte del mondo conosciuto di allora così come in quello attuale.
Questo semplice e piccolo spaccato è la nostra cultura, ora dedicata a pochi e sempre più annichilita da persone mediocri, da mecenati che vedono nel loro pseudo amore per il prossimo il proprio arricchimento e la propria aurea di potere, per nulla culturale, ma solamente narcisistica. Nessun potente odierno si sa attorniare da cultura, né da musici, né da pittori, né da scultori, né da poeti, ma solamente da povere derelitte prostitute o da infimi travestiti e narcisisti omosessuali che poco hanno da condividere con la bellezza dell’anima umana. No, oggi come ieri, questi potenti, assurti al grado più alto della loro prepotenza, si sono seduti sullo scranno del loro guardiano accettando la semplice ed iniqua arte del linguaggio più basso, di quello che solo la pancia può capire, perché poca è la loro intenzione al bello. Essi però non sono la maggioranza, sono solo una parte di questa Italia e non sono nemmeno rappresentativi del pensiero comune, per fortuna! Ma rappresentano la crema più immonda che viene risucchiata come dagli idrojet delle società di pulizia dei pozzi neri.
No! Nel pensiero comune non ci sono loro e nemmeno quelle porcilaie cubiche, quadrate, immonde e passate come esempi illuministici di fulgore artistico: anche un bambino all’asilo è capace di tale elevatezza artistica, ma non lo è mai paragonabile. No! Nel pensioero comune non ci sono loro, ma quelli che dell’Italia hanno dipinto, cantato e musicato le sue virtù e le sue bellezze. Nel pensiero comune, anche di quelli che al massimo prendono un solo giornale alla settimana, la cultura nascosta, quella taciuta e quella dominante, è la nostra. Quella splendente, quella presente, ma sempre decadente. E così anche se Pompei rovina, Ercolano affonda, la Cappella Sistina annerisce per i troppi visitatori, solo per citare le più conosciute, il pensiero comune va in questi luoghi, in quella idea della vera altezza artistica che nessuno potrà toglierci.
Eppur non è così! L’immonda idea è che il pensiero comune deve essere sradicato, annientato annullato, cancellato e gli esempi si susseguono giorno dopo giorno: così Pompei, così musei in rovina, così siti archeologici dissestati, così cantine con reperti che spariscono senza nessun responsabile e la giustificazione è sempre la stessa: abbiamo troppe cose a cui badare e il personale è insufficiente. Ma il vero problema è che chi gestisce la nostra cultura vuole che essa sia annientata, annullata e dissolta nel nulla, perché un popolo senza cultura, senza storia non è nessuno: zero assoluto, tabula rasa.
Lo si può maneggiare, lo si può modellare a proprio piacimento e senza nessun ritegno: così che abbiamo degli omosessuali che anelano alla convivenza riconosciuta legalmente, così’ che la famiglia viene disconosciuta, così’ che la scuola viene distrutta e via dicendo su tutti quei valori in cui, invece, l’arte ha soffermato la sua attenzione. L’arte è contro i potenti, è la voce fuori dal coro, è la controcorrente, è un movimento che interagisce per verificare e riadattare il pensiero comune, ma l’arte in questo, in quello che accade in Italia, non ha nulla da dire se non quella di buttare uno sbuffo di nero su una tela che non verrebbe comperata nemmeno dal più ignorante commerciante.
L’etimologia della parola Nazione è molto significativa. Essa deriva dal latino natio, nascita, in quanto nato in un certo luogo, come complesso di persone aventi interessi e cultura comune, appartenenti ad un unico popolo. In questo caso ci sono diverse opinioni al riguardo e Shlomo Sand nel suo bellissimo libro “L’invenzione del Popolo Ebraico” definsice abbastanza bene cosa possa significare il termine di nazione e popolo ( “ethnos“) che è la stessa cosa.
Che cose è la nazione Italia? Un nulla, anzi una bellissima cosa tenuta assieme da invisibili fili che da oltre 3000 anni produce e dona al mondo la luce della semplice bellezza e della società arcadica. Nella sua semplicità, terrena e mistica, essa ha prodotto nell’arco dei millenni le cose più mirabolanti che essere umano abbia mai visto. La lex, la cultura, il senso civico, il rispetto, i grandi progetti, ma anche le innumerevoli innovazioni, i grandi pensieri, i grandi artisti. Possiamo rinunciare a tutto questo come una mescola confusa ed eterogena senza ricondurre alla prepotenza di un’antica radice romana?
Assolutamente no! La nazione Italia è quella attorno la quale le altre, piccole e miserrime, prosperanti di luce riflessa, hanno saputo fare profitto delle nostre idee, dei nostri uomini, delle nostre risorse umane e fisiche del territorio. Così che dai tempi lontani come in questi, si sono succedute diverse invasioni, diversi oscurantismi culturali, ma mai capaci di annientare il nostro ed unico pensiero: il rispetto, la legge e la comunione.
Sembra anacronistico leggere cose del genere e sicuramente lo è visto con gli occhi del XXI° secolo, ma possiamo confrontare lo spessore italico, fatto di millenni di storia con una parentesi di qualche decennio da infami e infimi figuri? Secondo Shlomo Sand la nazione è un’invenzione per tenere unite diverse popolazioni e nel caso ebraico attraverso un pensiero comune, quello social-religioso. Ma se nel caso ebraico questo è pur vero, non lo è certamente per noi, che da questa asservita terra ne abbiamo assaporato le varie sfumature. E se così nel Talmud e nella Toarh non v’è rispetto che per la legge giudaica, per noi, invece vige quell’altra: la legge del rispetto, della conviuvenza anche se di fede o politica diversa, e non v’è nessuno al di sopra se non la misericordia di Dio.
Possiamo quindi affermare che la nazione Italia esiste ed è presente nelle pieghe più nascoste della nostra persona? Per alcuni sì, per molti no. Quello che lega gli italiani e tutti quelli che in questa terra sono nati sono poche cose: la variegata capacità della nostra cultura di percepire, di adattare e stravolgere qualsiasi pensiero dominante, spesso con costi umani enormi e spesso per uno stormir di fronda.
In questo immenso coacervo di culture, di colore e di pensieri potrebbe esistere il pensiero di un popolo? Ovvero, ha senso parlare di popolo nell’accezzione di un gruppo di persone appartenenti ad una linea di sangue comune? Sì.
E ancora, è pensabile che persone le cui origini si perdono nella notte dei tempi, molte delle quali estranee da questa terra, hanno invece determinato che questa è la loro terra?
Sono italiani o mezzi italiani con un piede ancora nella loro cultura d’origine?
Ma la nostra tradizione, che spazia dalla grecia alla islamica a quella barbara e via dicendo, la possiamo definire nostra o meglio, un adattamento che nel corso dei secoli ha smussato gli spigoli originali per adattarla alla propria tradizione del luogo ospitante? E tutti i rimescolamenti avvenuti nel corso dei secoli, da tutte le parti del mondo conosciuto, cosa e come ha modificato l’eventuale popolo esistente?
Un popolo italiano, almeno secondo queste povere ed incomplete domande non esiste. Esiste per la verità un insieme di persone di diversa provenienza che in questa terra hanno trovato la casa migliore in cui abitare, vuoi per la sua posizione geografica e per l’accoglienza delle genti esistenti, oppure, come nel passato, per l’occupazione operata con ferocia, con il terrore e le guerre. Il popolo italiano non c’è. Non è mai esistito, mentre esiste la cultura che permea questa terra, cultura diversa, variegata, opposta l’una all’altra, che s è forgiata nel corso dei secoli ed adattata pur mantenendo le origini delle sue radici e queste culture hanno reso questo brodo italiano, il migliore, almeno per il mondo occidentale. E’ sufficiente uscire da una città di pochi chilometri per trovare accenti diversi, parole diverse, usanze diverse per capire meglio queste differenze e se non bastasse basta passare da una regione all’altra per scoprire che molte cose vengono considerate in maniera diversa. Il popolo italiano quindi pur non esistendo è come la tavolozza di un pittore, molto colorata e con colori spesso contrastanti, ma che nel quadro finale compongono un magnifico equilibrio e sintonia cromatica. In questo senso quindi il pittore è il pensiero comune, i colori i componenti e il quadro l’espressione del popolo. Oggi, nostro malgrado il pittore è stato volutamente sostituito e questo è un’altro esempio della disgregazione esistente all’interno della nostra fasulla coalizione “etnica”. Non siamo ciò che vorremo, ma lo siamo se i pittore è un Giogione, un Bellini, o altri che da questi colori sa trarre il miglior dipinto. Purtroppo altri pensieri prevalgono su questa Italia e spesso non ce ne rendiamo conto dando per scontato l’uso che viene fatto dei colori. Molti, non italiani capiscono e sanno di questo, noi colori di una tavolozza no vediamo il pensiero del pittore e spesso siamo artefici involontari di un quadro che nulla condivide il pensiero originale.
Chaos and classicism
In questo periodo e fino al 9 gennaio 2011 al Guggenheim Museum si terrà una mostra dedicata al periodo compreso tra le due guerre mondiali. Una carrellata tra i diversi artisti che si sono espressi in quel periodo buio, ma produttivo della nostra storia. Da Picasso a Marinetti a Sironi a De Chirico a Léonce Rosenberg a Severini a Sironi a André Breton fino alla realizzazione di opere molto critiche sulle legge razziali.
Un percorso molto arduo, sopratutto per una società americana molto avvezza al compiacimento della comunità ebraica che a NYC è influente tanto che lo stesso New York Times ha definito la mostra grondante di sangue.
E’ curioso come la cultura anglosassone sia così attenta a criticare le opere della nostra Europa, quando all’interno di quel crogiolo di razze slegate che compongono gli Stati Uniti, al massimo, riescono a comporre arte sotto forma di escrementi inscatolati, o al meglio, pitture scomposte da foto come il candido artista di Andy Warhol. Senza dimenticare l’arte povera e colorata di Jasper Johns, di quella metafisica (?) Rauschenberg e di tanti altri imbratta tele hanno anche popolato la nostra Europa ricevendo innumerevoli premi e denari compiacendo certe la corrente politica in voga.
La gente dice…