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Il silenzio è d’oro.
Ci alcuni processi, che da tempo si stanno celebrando in Italia e che vedono coinvolti in reati gravissimi soggetti di primissimo piano delle nostre istituzioni, di cui i media non parlano, come se non esistessero.
Primo fra tutti, il più nascosto, è il processo che si sta celebrando a Brescia a carico del Generale Delfino accusato di concorso nella strage di Piazza della Loggia. Imputati nello stesso processo troviamo Pino Rauti (suocero del sindaco di Roma Alemanno), Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi, Maurizio Tramonte e Giovanni Maifredi.
Ma, da lungo tempo, si sta celebrando anche il processo a Milano a carico del Generale dei Ros Gianpaolo Ganzer, del magistrato Mario Conte e di altri 23, tra ufficiali e sottufficiali dei Ros. L’accusa è di associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga, peculato e falso.
Altro Generale dei Carabinieri sotto processo, questa volta a Palermo, è il Generale Mori accusato, insieme al coll. Obinu, di favoreggiamento aggravato per aver agevolato Cosa Nostra, nello specifico di aver favorito la latitanza del boss Bernardo Provenzano.
Tre Generali dei Carabinieri sotto processo per reati gravissimi e i media, praticamente, non ne parlano.
Ma la cosa non è diversa per i processi a carico di politici, basti pensare al processo d’appello al senatore Marcello Dell’Utri, condannato in primo grado a per concorso esterno in associazione mafiosa a nove anni di reclusione e a due anni di libertà vigilata, oltre all’interdizione perpetua dai pubblici uffici.
Identica cosa per il processo ad Antonio Bassolino accusato, insieme ad altre 28 persone, tra cui alti dirigenti di Impregilo, di frode in pubbliche forniture, alla truffa aggravata e continuata ai danni dello Stato, abuso di ufficio, falso e reati ambientali commessi nel periodo in cui era Commissario Straordinario per l’emergenza rifiuti in Campania.
Altro processo di cui non si parla è il processo Hiram, ovvero un processo che vede coinvolti, in un’associazione a delinquere finalizzata ad aggiustare o ritardare (al fine di far prescrivere i reati) i processi in Cassazione, mafiosi, massoni, avvocati, poliziotti e preti. Eppure, anche in questo caso nulla.
I media, che ci hanno sommerso di articoli e trasmissioni sui processi a Vanna Marchi, alla Franzoni, a Meredith, ecc… di questi processi non parlano.
Fonte: Solange Manfredi
Internet: libertà di stato.
Cosa accade di così strano da impostare un titolo del genere? E’ presto detto.
Da più parti, per la realtà sempre dalla solita parte, molte voci si uniscono al coro di porre un freno ed un limite alla possibilità di espressione nella rete. La voce fuori dal coro, se isolata, non rappresenta mai un elemento di disturbo, ma quando i coristi cominciano ad ascoltare tale voce e di conseguenza intonarsi a quella o quelle voci fuori dal coro, succede che il direttore del coro non ci sta più. Smette la musica e riporta tutto al silenzio.
E’ quanto accade nella tanto libera e democratica USA dove molti personaggi stanno facendo terra bruciata, inventando in un sistema che metta il bavaglio alla rete ed alle sue molteplici possibilità di influenzare le persone.
Il mese scorso il presidente Obama ha creato dal nulla la FCC (Federal Commission on Communications) un ente preposto al controllo ed allo studio di come regolamentare la rete e le comunicazioni in essa esistente. I providers, secondo il capo della FCC (Julius Genachowski), dovranno allinearsi ad una norma di comportamento di “trasparenza” e di “circolazione” praticamente imponendo velocità diverse a seconda dei contratti e dei valori degli stessi (contratto più costoso=alta velocità). E’ evidente in questo proposta una limitazione, per esempio: i blogger utilizzando lo spazio loro concesso liberamente subirebbero la penalità di non aver più accesso o visite nei loro blogs.
Un altro membro della FCC, Michael Copps, ha espresso la possibilità di poter intervenire in quei siti che non si sottoporranno al “community value test” declassandoli a siti più lenti e meno visibili nella rete. Lo scopo giustifcato dallo stesso Copps è che “…Stiamo negando ai cittadini le notizie essenziali (Quali? Quelle del potere costituito)di cui necessitano per prendere decisioni intelligenti nel dirigere il loro Paese”, come dire che al popolo le notizie devono venire solo da una voce, giusto per non creare confusione. La stampa libera è in attesa di essere bandita!
Il problema è quindi che la massa enorme di informazione che viaggiano nella rete, un pò alla volta, cominciano a scalfire quella crosta di disinteresse che caratterizza spesso la media della popolazione americana, fatto questo che preclude il potere delle note testate giornalistiche americane come la Fox News, CNN e New York Times. Quindi chi informa, chi mostra le vicende che accadono sotto altri aspetti, chi critica e dimostra la sua tesi è malvisto e condannato al silenzio, quando non peggio ad una pallottola alla nuca.
Ovviamente nulla avranno da temere i blogs dei vari club sportivi o quello per puttane o pedofili, quelli non verranno toccati, così come non verranno toccati quelli della Monsanto o della Bayer o di altre multinazionali che inquinano il pianeta, perché sono proprio loro i sostenitori di questa politica negazionista e liberticida.
In Usa, per chi non lo sapesse, c’è già un documento che ha il potere di introdursi nei diversi blogs o nelle chat con qualsiasi porcata di stato: è il Cybersecurity Act of 2009 (S.773), attraverso il quale lo stato americano, in emergenza cibernetica, può attuare quanto in suo potere. Il caso di Wikileaks è stato uno di questi.
La Befana
Il Natale era trascorso nella tranquilla vita di campagna, festeggiando la venuta del Salvatore e i primi giorni di gennaio rappresentavano per i bambini un momento di conclusione e di inizio: arrivava la Befana e tutti facevano i conti con quanto di bene o male avevano fatto in famiglia, con gli amici o a scuola.
Tutti pensavano, raccontavano o giustificavano alcune marachelle e pensavano alla letterina da scrivere a questa vecchia.
Fuori il tempo, spesso impietoso, non lasciava spazio al gioco se non a qualche lunga corsa in mezzo ai campi ghiacciati e ricoperti di uno spesso strato di brina o di neve per dar sfogo all’energia trattenuta nei mesi invernali precedenti. Altri, i più fortunati, che avevano i campi con i fossi colmi d’acqua, pattinavano su quel ghiaccio facendo capitombole inverosimili, ma accompagnate da fragorose risate.
I vestiti erano semplici, poveri e non sapevano trattenere il caldo del corpo, ma la voglia di giocare, di correre, di saltare e di essere immersi in una natura vetrificata era enormemente più forte del freddo che bloccava le caviglie, che congelava le mani, che rendeva i visi rossi e gli occhi luccicanti. Alcuni avevano dei semplici cappotti di lana, altri dei maglioni a strati spesso dei fratelli più grandi e le scarpe, di cuoio, una volta imbevute d’acqua e dell’umido dei campi, diventavano dei blocchi di ghiaccio per i piedi.
Un freddo assoluto che penetrava come una lancia in gola, che bloccava le articolazioni, ma che stimolava a pensare cose sempre più fantasiose per riscaldarsi.
Allora correvano tutti assieme nelle stalle e lì, nell’angolo più caldo, cercavano il ristoro, il tepore che avrebbe rianimato la folle vita dei bambini. Era una ruota, un entrare ed uscire dalle stalle e spesso qualche scappellotto e una pedata arrivava dagli anziani, stanchi di quel andirivieni senza senso.
Il freddo bloccava le attività dei campi. I contadini si adoperavano a riparare gli attrezzi che li avrebbero visti impegnati in primavera, oppure davano una mano alle mogli per sistemare quelle parti della casa che necessitava di qualche riparazione. Nulla era fermo, ma fuori il tempo sembrava immobile.
I giorni a volte erano nebbiosi e la nebbia così fitta che si congelava sui cappotti e sulle mani, mentre la luce del sole che raramente faceva capolino nelle ore centrali, non riusciva a farsi largo e i bambini passavano così dalla notte al giorno senza uno stacco preciso, come in primavera o d’estate. I giorni delle feste scorrevano in attesa di quello magico momento.
Arrivava la Befana e se qualche cosa di brutto s’era fatto sapevano che la dolce vecchia avrebbe comunque donato qualche piccolo regalo in mezzo a tanto dolce di carbone nero.
Alla sera, dopo una cena frugale, andavano a letto presto e nell’attesa del sonno, nella stanza riscaldata da una piccola stufa, fantasticavano in quello che avrebbero ricevuto. Le immagini che la stufa disegnava con i suoi crepitii, le sue luci e ombre andavano a scavare nelle mente magiche idee, tutte collegate con quanto avevano chiesto alla Befana.
In cucina i genitori sistemavano la stanza, preparavano la cena per la Befana: un bicchiere di vino, un pezzo di pane, qualche fetta di salame ed una sedia sulla quale poteva riposarsi, infine appendevano al camino alcune catene – quelle usate per appendere le pentole – che avrebbero dovuto facilitare la discesa e la risalita dal camino, ma l’attesa del momento non faceva dormire bene i bambini, perché a notte inoltrata udivano strani rumori che spesso agitavano quei sonni innocenti: spesso la mamma accorreva al richiamo del fanciullo a tranquillizzare e a sostenere l’aspettativa, ma l’agitazione era troppo forte e il tempo troppo lento per aspettare, ma la stanchezza, alla fine, aveva il sopravvento.
La notte scorreva veloce e al mattino, di buon ora, i bimbi si alzavano immersi in una stanza che sembra irriconoscibile rispetto alla sera precedente: il pensiero di quello che li attendeva, il freddo penetrante e i vetri ghiacciati dal vapore emanato dai corpicini, dava a quel giorno tutto un sapore particolare. Di corsa e senza pensare correvano giù dalle scale per precipitarsi in cucina, dove la vecchia aveva mangiato e…posto i regali tanto agoniati, ma la mamma sapeva indugiare e così il papà, severo e fermo, chiedeva se si erano lavati le mani ed il viso, ma vedendo le loro faccie ancora stropicciate dal sonno, con un buffetto li lasciava correre verso la cucina…
Era la fantasia che si era fatta realtà, le idee che potevano concretizzarsi, i pensieri che tutto quello che un bambino ha in testa è vero. Mille colori, pacchi dorati, rossi, gialli e blu; oggetti che non avevano un carattere definito e che non sapevano indicare cosa fosse il contenuto. L’ansia e l’attesa di toccare arrivava al colmo fintanto che la mamma e il papà, sussurrando di fare piano-piano, dicevano che forse la Befana era ancora nei paraggi e non si poteva fare chiasso o urlare, ma attendere e avvicinarci con prudenza a quelle meraviglie per non spaventarla, forse perché stanca o forse perché qualcuno doveva essere punito. Alla fine, si guardava nella cucina: le impronte di fuliggine sul pavimento, il bicchiere mezzo vuoto, alcune fette di salame mangiate in fretta e il pane mangiucchiato erano le prove del passaggio di quella speciale vecchietta.
Non era possibile dubitare!
Allora i bambini guardavano dalla finestra e cercavano nelle figure in lontananza se potevano intravvedere ancora la figura della Befana che purtroppo era già volata in altre famiglie.
Cultura, nazione e popolo.
Beh, a leggere il titolo verrebbe da pensare che si sta leggendo un pistolotto, di quelli che appena cominciato farebbero venire una noia infinita, invece è una semplicie deduzione tratta da alcune idee condivise all’ora di cena di un sabato sera con la propria consorte.
Cultura, una parola che ha diversi connotati: arte, poesia, musica, scultura e archittettura e, in tempi odierni, multimedialità.
La cultura è permeante in ogni individuo, dal più scemo del villaggio al più erudito e forse nel più scemo c’è quella parte di cultura che ai più eruditi scema in un qualche cosa di archetipico. Eppure nella stessa cultura si estrae il succo di un gruppo di persone, si caratterizza il pensiero comune, quel trait-d’union che collega l’erudito allo studioso.
La cultura permea tutti gli italiani, così come tutti i tedeschi, i francesi e non parliamo degli inglesi che stanno sempre sopra a tutte le culture come l’olio. Eppure la nostra cultura, quella italica, è una cultura frammentata, scomposta, formata da colori diversi, ma sempre unita.
E’ un raggio di luce dal colore vivace, vivido e sempre presente: iridescente nelle sue più varie sfumature, ma originata da una luce comune. Difficle da definire se romana, ellenica, egizia o spagnola, tedesca o barbara. E’ la nostra cultura, un coacervo, che nell’arco dei millenni ha saputo forgiare esempi di sublime bellezza nelle varie forme dell’arte. Nessuno al mondo è paragonabile alla nostra cultura! Non è narcisismo nazionalista sfrenato, ma la semplice vista di uno come tutti gli altri che, annusando come un cane da tartufo, scopre le immense bellezze di questa povera e sfortunata Italia.
E’ sufficiente fare un salto nel nostro più prossimo passato per scoprire che tra il 1300 e il 1500 l’Italia, scomposta come i colori dell’arcobaleno, ha prodotto i più grandi artisti che uomo abbia mai potuto vedere. Si pensi ad un Giorgione che nella sua epoca ha potuto conoscere il Verrocchio, il Tiziano, Il Campagnola, Leonardo da Vinci, il Pinturicchio, il Vasari, il Bellini e tanti altri che si sono sviluppati e hanno contribuito alla bellezza ed alla prosperità dell’arte italica. Tutti divisi, ma tutti uniti da un unico seme: quello della condivisione e della trasfigurazione metafisica di un ideale che assumeva i connotati di una unica idea. Gli uni e gli altri che, rimescolando e confrontandosi nei propri lavori, assaporavano le sfumature e le controversie ad azzardate interpretazioni artistiche. Una vera esplosione culturale che non ha esempi in nessuna parte del mondo conosciuto di allora così come in quello attuale.
Questo semplice e piccolo spaccato è la nostra cultura, ora dedicata a pochi e sempre più annichilita da persone mediocri, da mecenati che vedono nel loro pseudo amore per il prossimo il proprio arricchimento e la propria aurea di potere, per nulla culturale, ma solamente narcisistica. Nessun potente odierno si sa attorniare da cultura, né da musici, né da pittori, né da scultori, né da poeti, ma solamente da povere derelitte prostitute o da infimi travestiti e narcisisti omosessuali che poco hanno da condividere con la bellezza dell’anima umana. No, oggi come ieri, questi potenti, assurti al grado più alto della loro prepotenza, si sono seduti sullo scranno del loro guardiano accettando la semplice ed iniqua arte del linguaggio più basso, di quello che solo la pancia può capire, perché poca è la loro intenzione al bello. Essi però non sono la maggioranza, sono solo una parte di questa Italia e non sono nemmeno rappresentativi del pensiero comune, per fortuna! Ma rappresentano la crema più immonda che viene risucchiata come dagli idrojet delle società di pulizia dei pozzi neri.
No! Nel pensiero comune non ci sono loro e nemmeno quelle porcilaie cubiche, quadrate, immonde e passate come esempi illuministici di fulgore artistico: anche un bambino all’asilo è capace di tale elevatezza artistica, ma non lo è mai paragonabile. No! Nel pensioero comune non ci sono loro, ma quelli che dell’Italia hanno dipinto, cantato e musicato le sue virtù e le sue bellezze. Nel pensiero comune, anche di quelli che al massimo prendono un solo giornale alla settimana, la cultura nascosta, quella taciuta e quella dominante, è la nostra. Quella splendente, quella presente, ma sempre decadente. E così anche se Pompei rovina, Ercolano affonda, la Cappella Sistina annerisce per i troppi visitatori, solo per citare le più conosciute, il pensiero comune va in questi luoghi, in quella idea della vera altezza artistica che nessuno potrà toglierci.
Eppur non è così! L’immonda idea è che il pensiero comune deve essere sradicato, annientato annullato, cancellato e gli esempi si susseguono giorno dopo giorno: così Pompei, così musei in rovina, così siti archeologici dissestati, così cantine con reperti che spariscono senza nessun responsabile e la giustificazione è sempre la stessa: abbiamo troppe cose a cui badare e il personale è insufficiente. Ma il vero problema è che chi gestisce la nostra cultura vuole che essa sia annientata, annullata e dissolta nel nulla, perché un popolo senza cultura, senza storia non è nessuno: zero assoluto, tabula rasa.
Lo si può maneggiare, lo si può modellare a proprio piacimento e senza nessun ritegno: così che abbiamo degli omosessuali che anelano alla convivenza riconosciuta legalmente, così’ che la famiglia viene disconosciuta, così’ che la scuola viene distrutta e via dicendo su tutti quei valori in cui, invece, l’arte ha soffermato la sua attenzione. L’arte è contro i potenti, è la voce fuori dal coro, è la controcorrente, è un movimento che interagisce per verificare e riadattare il pensiero comune, ma l’arte in questo, in quello che accade in Italia, non ha nulla da dire se non quella di buttare uno sbuffo di nero su una tela che non verrebbe comperata nemmeno dal più ignorante commerciante.
L’etimologia della parola Nazione è molto significativa. Essa deriva dal latino natio, nascita, in quanto nato in un certo luogo, come complesso di persone aventi interessi e cultura comune, appartenenti ad un unico popolo. In questo caso ci sono diverse opinioni al riguardo e Shlomo Sand nel suo bellissimo libro “L’invenzione del Popolo Ebraico” definsice abbastanza bene cosa possa significare il termine di nazione e popolo ( “ethnos“) che è la stessa cosa.
Che cose è la nazione Italia? Un nulla, anzi una bellissima cosa tenuta assieme da invisibili fili che da oltre 3000 anni produce e dona al mondo la luce della semplice bellezza e della società arcadica. Nella sua semplicità, terrena e mistica, essa ha prodotto nell’arco dei millenni le cose più mirabolanti che essere umano abbia mai visto. La lex, la cultura, il senso civico, il rispetto, i grandi progetti, ma anche le innumerevoli innovazioni, i grandi pensieri, i grandi artisti. Possiamo rinunciare a tutto questo come una mescola confusa ed eterogena senza ricondurre alla prepotenza di un’antica radice romana?
Assolutamente no! La nazione Italia è quella attorno la quale le altre, piccole e miserrime, prosperanti di luce riflessa, hanno saputo fare profitto delle nostre idee, dei nostri uomini, delle nostre risorse umane e fisiche del territorio. Così che dai tempi lontani come in questi, si sono succedute diverse invasioni, diversi oscurantismi culturali, ma mai capaci di annientare il nostro ed unico pensiero: il rispetto, la legge e la comunione.
Sembra anacronistico leggere cose del genere e sicuramente lo è visto con gli occhi del XXI° secolo, ma possiamo confrontare lo spessore italico, fatto di millenni di storia con una parentesi di qualche decennio da infami e infimi figuri? Secondo Shlomo Sand la nazione è un’invenzione per tenere unite diverse popolazioni e nel caso ebraico attraverso un pensiero comune, quello social-religioso. Ma se nel caso ebraico questo è pur vero, non lo è certamente per noi, che da questa asservita terra ne abbiamo assaporato le varie sfumature. E se così nel Talmud e nella Toarh non v’è rispetto che per la legge giudaica, per noi, invece vige quell’altra: la legge del rispetto, della conviuvenza anche se di fede o politica diversa, e non v’è nessuno al di sopra se non la misericordia di Dio.
Possiamo quindi affermare che la nazione Italia esiste ed è presente nelle pieghe più nascoste della nostra persona? Per alcuni sì, per molti no. Quello che lega gli italiani e tutti quelli che in questa terra sono nati sono poche cose: la variegata capacità della nostra cultura di percepire, di adattare e stravolgere qualsiasi pensiero dominante, spesso con costi umani enormi e spesso per uno stormir di fronda.
In questo immenso coacervo di culture, di colore e di pensieri potrebbe esistere il pensiero di un popolo? Ovvero, ha senso parlare di popolo nell’accezzione di un gruppo di persone appartenenti ad una linea di sangue comune? Sì.
E ancora, è pensabile che persone le cui origini si perdono nella notte dei tempi, molte delle quali estranee da questa terra, hanno invece determinato che questa è la loro terra?
Sono italiani o mezzi italiani con un piede ancora nella loro cultura d’origine?
Ma la nostra tradizione, che spazia dalla grecia alla islamica a quella barbara e via dicendo, la possiamo definire nostra o meglio, un adattamento che nel corso dei secoli ha smussato gli spigoli originali per adattarla alla propria tradizione del luogo ospitante? E tutti i rimescolamenti avvenuti nel corso dei secoli, da tutte le parti del mondo conosciuto, cosa e come ha modificato l’eventuale popolo esistente?
Un popolo italiano, almeno secondo queste povere ed incomplete domande non esiste. Esiste per la verità un insieme di persone di diversa provenienza che in questa terra hanno trovato la casa migliore in cui abitare, vuoi per la sua posizione geografica e per l’accoglienza delle genti esistenti, oppure, come nel passato, per l’occupazione operata con ferocia, con il terrore e le guerre. Il popolo italiano non c’è. Non è mai esistito, mentre esiste la cultura che permea questa terra, cultura diversa, variegata, opposta l’una all’altra, che s è forgiata nel corso dei secoli ed adattata pur mantenendo le origini delle sue radici e queste culture hanno reso questo brodo italiano, il migliore, almeno per il mondo occidentale. E’ sufficiente uscire da una città di pochi chilometri per trovare accenti diversi, parole diverse, usanze diverse per capire meglio queste differenze e se non bastasse basta passare da una regione all’altra per scoprire che molte cose vengono considerate in maniera diversa. Il popolo italiano quindi pur non esistendo è come la tavolozza di un pittore, molto colorata e con colori spesso contrastanti, ma che nel quadro finale compongono un magnifico equilibrio e sintonia cromatica. In questo senso quindi il pittore è il pensiero comune, i colori i componenti e il quadro l’espressione del popolo. Oggi, nostro malgrado il pittore è stato volutamente sostituito e questo è un’altro esempio della disgregazione esistente all’interno della nostra fasulla coalizione “etnica”. Non siamo ciò che vorremo, ma lo siamo se i pittore è un Giogione, un Bellini, o altri che da questi colori sa trarre il miglior dipinto. Purtroppo altri pensieri prevalgono su questa Italia e spesso non ce ne rendiamo conto dando per scontato l’uso che viene fatto dei colori. Molti, non italiani capiscono e sanno di questo, noi colori di una tavolozza no vediamo il pensiero del pittore e spesso siamo artefici involontari di un quadro che nulla condivide il pensiero originale.
La gente dice…