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London School of Economics: “Non rimarrà nulla dell’Italia”

18 ottobre 2013 4 commenti

Questo articolo da solo esprime nella migliore maniera il futuro del nostro paese fintanto che una “forza” non contrasterà questo declino ineluttabile.

Non c’è speranza se non quella di una lenta agonia e di un disastro sempre maggiore in tutti i settori.

London School of Economics: “Non rimarrà nulla dell’Italia”.

Naufragare a Lampedusa, storia già scritta

8 ottobre 2013 1 commento

disperati

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Le ultime notizie del naufragio di centinaia di emigranti dall’Africa all’Europa pongono una seria presa di posizione. Da più parti della nostra politica si levano parole accorate di rammarico, di accoglienza e di pietà per quelle genti martoriate da guerre intestine e rivoluzioni interne.
Non c’è speranza e l’unico baluardo della libertà e democrazia sembra essere l’Europa.

Ma mettiamoci a ragionare in ordine sparso

SIRIA: 1916 – in corso d’opera

96 anni di massacri che si sono succeduti senza che alcun ente abbia posto termine. Gli interessi giacciono nel controllo di quella parte del medioriente che in base all’accordo Sykes-Picot avrebbero andare ai francesi ed inglesi, ma il costituito governo fantoccio, uscito dalla disfatta dell’Impero Turco, avrebbe promesso alle due nazioni di coltivare i loro interessi in quella terra. Gli interessi di quegli anni vengono successivamente adattati alle conseguenti alleanze con il Regno Saudita dell’Inghilterra e degli Usa e di tutte quelle nazioni uscite vincitrici dalla seconda guerra mondiale. L’Italia invece perdente accetta di essere il supporto logistico e spionistico delle superpotenze. Effetti: migrazioni massiccie in Turchia, Giordania, Iraq ed Italia.

LIBIA: 17 Febbraio 2011

Inizia la Guerra di Libia e a Bengasi prendono parte alle manifestazioni gli anti-Gheddafi libici e di li a poco le potenze di Francia, Inghilterra, Usa e Italia portano il democratico aiuto al popolo martoriato dalla dittatura sanguinaria e repressiva del Colonello Gheddafi e di tutto il gruppo di comando da lui instaurato. Nell’ottobre del 2011 viene giustiziato democraticamente il colonello Gheddafi permettendo l’instaurazione della democrazia e della libertà per tutto il popolo libico.
Attori: Usa, Israele, Francia, Inghilterra, Italia, Germania, Svezia, Olanda.
Effetti: libertà delle bande armate di assaltare, massacrare, stuprare, assassinare ogni persona che non sia inquadrata o che abbia il colore della pelle diverso, emigrazione di popolazioni.

TUNISIA: 2010 – 2011

Prende avvio la rivoluzione dei gelsomini (i nomi esotici, romantici per giustificare qualsiasi efferatezza) per disarcionare Zine El-Abidine Ben Ali, despota padrone assoluto, sanguinario.
Attori: Usa, Israele, Francia, Inghilterra, Italia.
Effetti: centnaia di morti in loco, emigrazioni dalle coste tunisine verso quelle italiane.

SOMALIA: 21 Gennaio 1991 – in corso d’opera

Inizia la guerra di Somalia contro il governo repressivo di Siad Barre e con l’aiuto dell’ONU, degli Usa e dell’Italia si poterà alla stabilizzazione della regione. Le stesse aziende americane (Conoco, Amoco, Chevron e Phiips) saranno il perno principale per la democratizzazione della Somalia. Nel 2007 gli Usa, gli esportatori della democrazia, compiono l’azione meritoria di pregio e onore per invadere una parte del paese ancora riluttante al processo iniziato.
Attori: Usa, Israele, Italia, Francia, Inghilterra
Effetti: migrazioni, carestie, devastazioni sociale, massacri senza fine, omicidi, squartamenti.

ETIOPIA ERITREA: 6 Maggio 1988 – in corso d’opera

Scoppia la guerra tra Etiopia ed Eritrea, decine di migliaia di morti tra le due parti e migliai di rifugiati che scappano da ambo le parti. La comunità internazionale assiste indifferente alla tagedia aggravata anche dalla siccità che ne aumenterà le vittime.
Attori: Usa, Israele, Francia, Inghilterra, Cina, Russia
Effetti: migrazioni, carestie, devastazioni sociale, massacri senza fine, omicidi, squartamenti.

YEMEN: 27 Gennaio 2011 – in corso d’opera

Scoppia la guerra nello Yemen tuttora in corso che vede affiliati di Al-Qaeda appoggiati dagli Usa, Gran Bretagna Israele contro le fazioni filo iraniane del Nord. Il motivo è sempre lo stesso: la democrazia!

NIGER: 1922 – in corso d’opera

Inizia la lunga guerra del Niger per il controllo delle risorse petrolifere e minerarie di questo paese che vede gli attori principali della destabilizzazione Usa, Francia, Olanda, Inghilterra, Russia, Cina ed Israele. Il motivo ufficiale è sempre lo stesso: manca la democrazia ed è necessario, per il benessere delle popolazioni instaurarla, volenti o no! Milioni di profughi si spostano da una parte all’altra del continente africano migrando lì dove la situazione sociale appare “più stabile”, percorrendo anche migliaia di chilometri fino alle sponde del Mediterraneo. La guerra è tuttora in corso.

CIAD: 1986 – in corso d’opera

Guerra del Ciad. Vede impegnati l’allora colonello Gheddafi a sostegno del Governo Transitorio di Unità Nazionale che si opponeva alla riunificazione dello stato. Guerra terminata, ma riaperta con la Guerra di Libia (vedi sopra).

MALI: 1962 – in corso d’opera

Una guerra senza fine per il controllo delle risorse di questa parte del deserto del Sahara.
Gli attori principali: Usa, Francia, Inghilterra, Israele, Italia.
Motivo: instaurare la democrazia al fine di sfruttare le risorse e la posizione geostrategica della regione.
Effetti: migrazioni, carestie, massacri perpetrati dalle fazioni in causa.

MAURITANIA: 1989 – in corso d’opera

Altra scenario di guerra per il controllo delle risorse petrolifere e minerarie.
Attori: Francia, Usa, Inghilterra, Cina, Russia e Italia che offre supporto logistico.
Effetti: migrazioni, massacri perpetrati dalle truppe islamiste sostenute dai paesi occidentali

SUDAN: 2003 – in corso d’opera

Scenario di guerra e terrorismo finalizzato sempre per lo stesso scopo: petrolio, controllo geostrategico.
Attori: Usa, Israele, Inghilterra, Italia, Francia, Iran, Turchia.
Effetti: migrazioni, massacri carestie

L’elenco potrebbe continuare con molti altri paesi africani, del medioriente e dell’oriente e la spinta che anima quelle persone ad abbandonare i loro paesi natali è sempre la stessa: carestie, sovrappopolazione, guerre, rivolte sociali, criminalità diffusa e permessa dai governi locali.

Come spesso ho scritto più volte, l’Italia nel Mediterraneo è una scialuppa di salvataggio per milioni di persone che fuggono e cercano riparo, ma è anche una enorme ponte di contatto per tutti i paesi rivieraschi, che ha la necessità di essere utilizzato non solo come aiuto umanitario per le popolazioni che cercano soccorso, ma soprattutto per cercare la collaborazione con quei paesi le cui frontiere non sono capaci di contenere questa onda migratoria.

L’attuale incidente avvenuto a Lampedusa è il risultato di anni, decenni di colonizzazione, di sfruttamento e di crimini contro l’umanità compiuti propri da quei paesi che sono cercati dagli stessi migranti: è paradossale!!!
Sarebbe come dire che un bambino stuprato cerca rifugio proprio nello stupratore, e sappiamo che così non è, per fortuna. Il bimbo, nella sua giovane semplicità sa riconoscere il male dal bene, mentre la massa, quella più gretta ed impaurita, non distingue tra la mano del soccorso da quella del carnefice: aberrante!!!

Ma tale e tanta l’ipocrisia delle istituzioni che nell’esperienza secolare colonizzatrice ha saputo mascherare le sue azioni predatorie in opere di misericordia come affermato dalla Boldrini "La repressione non risolve problema" sostenendo che "Con le uniche misure repressive non risolveremo mai questo problema. Chi fugge da guerre e dittature, non sarà fermato da leggi più dure. E’ un’illusione”. Ma non è la sola ad esprimere un senso pietoso per quelle genti, poiché tutti, dal papa a Napolitano, hanno parole melliflue e delicate per il disastro compiutosi.
Ma chi sono gli artefici di quel disastro se non gli stessi organi che hanno appoggiato le missioni di “pace” di “democrazia” di “liberazione” e saccheggio se non gli stessi organi istituzionali che adesso versano lacrime di coccodrillo?

Perché, per esempio, quella carampana della Boldrini non mette l’accento giusto nelle sue parole accusando i veri artefici, i veri responsabili dei disastri che si stanno compiendo in Africa che stanno ancora oggi seduti alla camera ed in Senato?

Perché quella vecchia cariatide di Napolitano, tanto attento ed esperto nella politica internazionale, non sottolinea che le azioni delle grandi nazioni hanno portato a questo risultato; perché non fare e portare avanti una denuncia alle Nazioni Unite per mettere in banchetta i veri responsabili?

Perché il Governo Letta, ma come lui anche quelli precedenti, non hanno imposto alla comunità europea una politica delle migrazioni che mettesse un freno e che NON inviasse armi o sostegno alle diverse fazioni che si massacrano?

I perché si sprecano e non verranno mai esauditi, perché esiste un piano ben preciso e congeniato per tutto questo immondo affare del traffico delle genti. E’ il piano Khalergi.

“DAS PAN-EUROPÄISCHE MANIFEST”: L’uomo del futuro sarà di sangue misto. La razza futura  eurasiatica-negroide, estremamente simile agli antichi egiziani, sostituirà la molteplicità dei popoli, con una molteplicità di personalità.

Lo scopo principale di questo piano è l’Unione Pan-europea e Kalergi ribadisce “il suo impegno al patriottismo europeo, a coronamento dell’identità nazionale di tutti gli europei. Nel momento dell’interdipendenza e delle sfide globali, solo una forte Europa unita politicamente è in grado di garantire il futuro dei suoi popoli ed entità etniche.” (Notare etniche e non più nazionali)

Siamo quindi difronte a degli eventi in cui gli stessi attori politici sono gli stessi che si muovono in funzione di questo rimescolamento razziale (melting-pot), ma se da un lato questo processo è anche un vantaggio per tutte le popolazioni, dall’altro esso produce immani disastri ed insormontabili incomprensioni data la velocità attraverso il quale esso si produce.

Noi italiani lo sappiamo molto bene, nel nostro sangue abbiamo moltissime razze, viste le innumerevoli invasioni che si sono succedute nell’arco di secoli, e non, come accade adesso, in pochissimi anni, e tutto questo è conosciuto dalle menti folli che stanno realizzando il piano che è funzione della velocità con cui si realizza questo rimescolamento: nessuna regola, sradicate le tradizioni, le culture fino ad assoggettare le genti in un unico impasto da sfruttare un pezzo alla volta a seconda delle necessità.

I disastri di Lampedusa si ripeteranno altre volte e sempre più di frequente nella totale indifferenza della Comunità Europea proprio in virtù di quel piano razzista e della mondializzazione voluta dalle logge massoniche ha permesso la morte in 25 anni di oltre 19 mila persone. E’ inutile piangere sui corpi delle persone che vengono straziati dalla violenza o da un naufragio, sono solo asciutte lacrime che non spostano una virgola nel capitolo della globalizzazione. (qui un elenco esaustivo)
Non è cinismo, ma semplice presa di coscienza dei fatti sui quali la gente comune è incapace di svolgere un’attività correttiva. E’ anche conseguenza  della nostra cultura aggressiva, predatrice, che ci ha imposto questa visione. Proviamo timore, pena e cerchiamo l’appiglio della condivisione per stemperare l’altrui sofferenza, ma poi alla fine nel nostro piccolo cranio rimaniamo chiusi e insensibili alle sofferenze di milioni di persone: mors tua vita mea dicevano i romani conquistatori. Un detto che dice tutto, ma che presuppone anche una presa di coscienza e correttezza intellettuale, cosa che questi scribacchini, questi straccivendoli di politici nemmeno conoscono.

Alimentazione programmata

5 ottobre 2013 2 commenti

scappa

A tutti noi, credo, piace mangiare bene e con prodotti di qualità, ma il mio passato trascorso tra i campi negli anni 50/60 è totalmente estraneo a quello odierno in cui sono ritornato.
La qualità del cibo è funzione della materia prima, questo è un assioma irrinunciabile, ma è anche una scusa per “insaporire” spesso le pietanze con sostanze misteriose.

Senza elencare tutte le sofisticazioni vendute è sufficiente sapere che, per esempio, gli ortaggi hanno subito le più estreme modificazioni genetiche a vantaggio dell’estetica e della forma, la prima per colpire l’acquirente che al 90% non capisce nulla, la seconda per avvantaggiare i commercianti nell’immagazzinamento e nei trasporti e tutto a scapito della qualità organolettica del prodotto. L’Olanda è il “principale produttore europeo” di pomodori, l’Olanda!
Una nota marca di mele provenienti dal trentino tempo fa pubblicizzava che mangiare una mela fa bene, soprattutto con la buccia: errore! Ovvero, sarebbero da mangiare con la buccia dato che la maggior parte di sostanze “buone” stanno proprio nella buccia, ma l’uso indiscriminato di pesticidi ne fanno un mortale morso (leucemie, linfomi, ecc.ecc.). Tutti i prodotti staccati dall’albero sono verdi e messi nei magazzini a temperatura e umidità controllata e settimanalmente, tramite l’uso di etilene o di prodotti similari e lampade, si provoca artificialmente la loro maturazione a scaglioni, in funzione delle richieste di mercato. Le mele che troviamo nei mercati al minuto sono spesso solo Fuji, Stark, Golden, Pink Lady. Qualche rara apparizione di mele Renetta e Annurca, mentre per tutte le altre che si trovavano nel passato zero assoluto, invendute relegate a qualche appasionato o nelle banche dei semi. Troppo brutte per essere invendute, incapaci di essere tutte della stessa forma o colore, non si adattano alla legge di mercato e vengono quindi escluse, seppur eccezzionali.
Se passiamo ad altri prodotti come latte, burro e formaggi dovremo necessariamente stendere un velo pietoso. Già detto altre volte, la produzione lattiero casearia italiana è paragonabile ad una fabbrica dove la vacca è l’elemento primario, ma anche il più abusato: vacche-macchine che non possono vivere più di due anni e devono mangiare una quantità di foraggio elevatissima e sempre per produrre circa 60/90 litri di latte al giorno (novanta!!!), dopo di che vanno abbattute. Vengono alimentate con mangimi costituiti da derivati di farine di soia, mais, cascami delle barbabietole, farine di pesci, farine animali (delle stesse vacche). Da notare che i sfarinati di soia, mais, barbabietole all’80% sono tutti di origini ogm provenienti dagli Usa. A questo si deve aggiungere i complessi vitaminici ed antibiotici per mantenere sane le vacche fino alla fine del ciclo di vita di due anni. Inoltre i vegetali che queste vacche mangiano sono stracarichi di pesticidi, erbicidi e dove credi che vadano questi elementi?

Il Grano, il pane, quello che sfama intere popolazioni è solo un miraggio di qualità. Nelle ultime due stagioni le aflatossine hanno infettato oltre il 60% delle produzioni nazionali rendendolo per lo più inutilizzabile, ma spesso rientra come mangime nella catena alimentare animale (c’è stato anche un’inchiesta in Veneto e le associazioni dei coltivatori, in accordo con il precedente ministro dell’agricoltura, aveva chiesto di aumentare i massimali permessi, così come accadde con l’atrazina nel rodigino e nel ravennate negli anni passati). Le varietà di grano usate un tempo, a gambo lungo e con un numero abbastanza basso di semi per spiga non esistono più, sostituite dal creso più basso e resistente all’allettamento (resistenza a non cadere con il vento) e a certe malattie. Anche questo, come tutti gli altri prodotti è soggetto a cospicui trattamenti erbicidi, pesticidi ed anti fungini e una volta raccolto la parte buona del grano viene destinata ad usi più estetici che alimentari, il resto per le farine.
Non parliamo del granoturco (mais) che è quello maggiormente manipolato (dal ceroso degli anni 80 come alimento per animali alle varietà odierne tutte indistintamente controllate da Sygenta, Monsanto, Bayer, Dupont e Dow) che a loro volta vendono i prodotti chimici per la difesa della pianta (erbicidi, pesticidi e defoglianti) e fertilizzanti (azoto, potassio e fosforo in varie combinazioni), ma che finisce nella catena alimentare del bestiame (dalle vacche ai suini, conigli, pollame ed anche pesce di allevamento) e umana.

Ora su un sunto del genere, che è pochissimo rispetto alla realtà, parlare di qualità del cibo mi sembra quasi una barzelletta nel senso che la stragrande maggioranza del cibo prodotto in Italia nella ristorazione o nei mercati fieristici è per lo più costituito da prodotto di massa, indifferenziato. C’è come una divisa alimentare in cui basta cambiare un bottone per definire la qualità del prodotto, ma la sostanza è sempre la stessa.
Cosa diversa, molto, ma non troppo, è l’agricoltura semplice, di nicchia, che non trovi nei mercati e sicuramente non nei banchi della agricoltura biologica. Essa è fatta da piccoli agricoltori, spesso in perdita, ma che traggono una parte del loro sostentamento nel portare avanti linee di culture dimenticate, così nella vite, nell’olio, nella produzione di carne bovina con razze ormai dimenticate, nei formaggi e via dicendo. Sono però produzioni talmente piccole che oltre ad essere appena sufficienti per la produzione locale spesso vengono acquisite da “alcuni” ristoratori o vengono “raccolte” da commercianti per poi rimarcare il prodotto che entra nella filiera del “made in italy”, ma che non saranno mai in grado di far fronte alle richieste effettive di mercato.
Basti pensare al Picolit un vigna che produce un vino di eccellenza, ma che non raggiunge le 300 mila bottiglie di mezzo litro. Eppure se ne trovano a migliaia in vari parti d’Italia, all’estero nelle enoteche più rinomate…da dove verranno???
Lo stesso vino Brunello, spesso mescolato con il vino nobile di Montepulciano, così negli olii che vengono mescolati con altri del Marocco, Turchia, Grecia, Tunisia. Insomma un guazzabuglio globalizzante a tutto spiano. Si pensi ad esempio a certi prodotti agricoli come l’aglio, la cipolla, il sedano, il prezzemolo, alle zucchine, ai peperoni, alle melanzane tutti prodotti manipolati e molti prevenienti dalla Cina.

L’alimentare quindi è chimica allo stato puro e alimentandoci non facciamo altro che incrementare le casse delle varie Monsanto. La qualità pertanto è un sogno, possibile in alcuni casi, ma talmente difficile da trovare che spesso si rimane delusi. Manca la cultura della qualità che spesso è delegata a dei guru della cucina che del prodotto e della sua produzione non conoscono nulla, oppure ai nomi blasonati in cui è la sola etichetta a fare mercato, perché scavando si trovano cose che sarebbe meglio non sapere. Ogni giorno siamo subissati di notizie immonde che ci riguardano da vicino. Così per le mozzarelle di bufala, per le fragole all’epatite, o al latte in polvere che proviene da paesi ignoti e reidratato in Italia per fare formaggi DOCG.

Un giorno parlando con un grosso agricoltore, si discusse sulla possibilità di un ritorno all’agricoltura “naturale”, con molta franchezza e con un pizzico di rammarico mi disse che per poter attuare una agricoltura del genere si dovrebbe fermare la produzione agricola per almeno 10 anni, tanti servirebbero ai terreni per potersi rigenerarsi dai pasticci chimici, ma allo stesso tempo sarebbe necessario allevare il bestiame di qualche anno fa, quelle linee di sangue non  più produttive e alimentarle con foraggio naturale (non trattato) che è difficile da ottenere visto la qualità della terra.
E’ un cane che si morsica la coda e una cosa non è possibile senza l’altra.

Siamo ad un tale livello di inutilità di regolamentazioni che stiamo rasentando il ridicolo: si va dal supermercayo che ti impne l’uso dei guanti per acquistare una verdura stracarica di pesticidi, oppure, come ho avuto modo di vedere in questi giorni, l’ASl che impone ad un agricoltore di usare un ambiente diverso per la vendita al minuto perché i prodotti potrebbero sporcarsi, oppure comuni che rilasciano permessi edilizi nei pressi di stalle e successivamente gli abitanti si lamentano dell’olezzo.

Siamo arrivati ad un livello di paranoia, follia mista tra codici, regolamenti e altre castronerie che meriterebbe veramente uno stop. Basti ricordare che la comunità europea aveva imposta all’Italia, patria della pizza, l’uso di ambienti totalmente asettici per confezionare le pizze…e questo per una regolamentazione che i nostri infami politici hanno accettato: il Codex Alimentarius.

Agricoltura senza ritorno?

4 ottobre 2013 2 commenti

aratura1

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E’ di questi giorni la notizia che la Coldiretti ha rilasciato: il 30% del cibo prodotto finisce nella spazzatura. Per la verità non è una notizia nuova, perché già tempo addietro avevo scritto qualcosa del genere (qui e qui), ma incuriosisce che anche oggi se ne parli.

Per poter capire qualcosa è necessario partire dalla base, ovvero da come si sviluppa il processo produttivo agricolo. Non si tratta di una lezione di agronomia, ma di qualche spunto per cercare di capire perché si gettano tante derrate alimentari.

Il contadino europeo, ma principalmente italiano, è chiuso in una gabbia che a prima vista sembra essere dorata. La gabbia principale è il contributo europeo per l’agricoltura (PAC) che prevede per ogni contadino una certa cifra per ettaro coltivato. Accade quindi che l’agricoltore coltiva la sua terra, vende il suo prodotto ricavandone un certo profitto e in più riceve dall’Europa un compenso ulteriore. E’ fantastico, penserete, vero? E invece no!

Nei fatti sin dall’inizio di questa gabbia dorata l’agricoltore deve iniziare a spendere denaro per potervi accedere, deve essere iscritto ad un sindacato (sempre presenti!!) e deve seguire delle regole “ferree” nella coltivazione del suo appezzamento. Successivamente inizia a lavorare la terra (aratura, erpicatura, ecc.ecc.) per prepararla alla semina; quindi procede alla semina, ma è obbligato ad acquistare delle sementi certificate, ovvero non può, per esempio, trattenere dal raccolto precedente quella quantità necessaria per la semina successiva come si usava fare nei decenni passati, inoltre la quasi totalità delle sementi (dalla soia al mais al frumento all’orzo) sono pretrattate con pesticidi direttamente sul seme così da evitare la formazione di funghi dannosi (micotossine). Vi sono quindi delle regole colturali da seguire, e a seconda del prodotto seminato il contadino prima o dopo la semina inizia ad irrorare il terreno con una serie sempre più pesante di sostanze chimiche. Troviamo quindi l’azoto, il potassio e fosforo, elementi essenziali per la crescita delle piante. Non è possibile dare una quantificazione reale dei fertilizzanti, perché dipende da moltissimi fattori come il tipo di terreno, il tipo di raccolto che precedeva, la stagione, le caratteristiche della varietà che si semina, l’esposizione, la pendenza ecc.ecc, ma mediamente i trattamenti fertilizzanti si aggirano attorno agli 80/150 kg/Ha.

Il contadino quindi procede nella sua azione con dei trattamenti in “pre-semina” di fitofarmaci volgarmente detti erbicidi, pesticidi che hanno i compito di accoppare tutte quelle erbe e animali concorrenti con lo sviluppo del seminativo. Successivamente, poco dopo la levata (quando cioè le prime foglie sono uscite dalla terra), si procede con una secondo trattamento di sostanze azotate/potassiche/fosforiche e con un trattamento di erbicidi che serviranno ad evitare la nascita di quelle erbe “infestanti” che cresceranno successivamente alla levata del seminativo. Se il tempo è clemente l’agricoltore avrà quasi sicuramente una buona produzione. Molte volte accade però che a causa di una stagione piovosa alcuni fertilizzanti (azoto) non vengano assorbiti dalle piante in tempo utile, perché dilavati dalle piogge e per tale motivo si potrà procedere con una terza/quarta fertilizzazione con conseguente eutrofizzazione dei corsi d’acqua.

A fine del ciclo produttivo l’agricoltore si troverà ad aver impiegato da un minimo 320 kg/Ha ad un massimo di 600 kg/Ha di fertilizzanti e tutto per dare forza al seminativo.

Il costo del lavoro non è però  solo a quello dell’acquisto del fertilizzante, ma all’impiego delle macchine per ogni attività e questo è un costo molto elevato che varia dalle 80/150 euro/ha. Alla fine pertanto, anche se succintamente descritto, l’agricoltore porterà la sua messe presso un consorzio agrario, un’azienda sementiera, oppure lo tratterrà per se in attesa di quotazioni di mercato favorevoli che lo vedranno costretto però ad ulteriori spese per il mantenimento della semente (pesticidi anti-fungini, pesticidi contro insetti “dannosi”, contro i ratti, protezioni meccaniche) essiccatoi.

Nel caso della soia le produzioni medie possono variare dalle 25/45 q.li/Ha con un valore di mercato medio di circa 30/35 €./q.le, mentre per il frumento si possono avere produzioni più abbondanti anche 60 q.li/Ha, ma con valori decisamente più bassi, circa 20 €/q.le, mentre per il granoturco (mais) le produzioni sono molto elevate, ma con valori decisamente bassi 18/19 €/q.le.

Ci sono da tener presente alcune cose. Le sementi impiegate al 90% derivano dalle aziende internazionali (Sygenta, Monsanto, Bayer, Dow) che a loro volta sono anche fornitrici di erbicidi, concimi e pesticidi e, come detto più sopra, il contadino non è in grado di poter trattenere una certa quantità per seminarla l’anno successivo: non troverebbe nessuno che gliela comprerebbe (fatto salvo quelli che cercano di eludere questa catena di controllo) e viene giustificato questo diniego per evitare che nella catena produttiva finiscano produzioni cariche di aflatossine. C’è da evidenziare che in questi ultimi 3 anni i casi di micotossine sono aumentate esponenzialmente senza una ragione precisa e stranamente queste aziende non hanno dato una risposta coerente visto che le sementi sono di loro produzione, ma hanno incolpato le siccità o l’eccessiva piovosità con danno diretto per l’agricoltore.

Il villico ora ha consegnato la sua merce e dopo un mese potrà vedere il denaro che gli spetta dalla vendita effettuata. Vendita che però è subordinata al mercato delle “merci”(comodities) che viene gestito dal Commodity Future Trading Commission e dal CME Group che a loro volta tengono relativamente conto degli andamenti globali delle produzioni agricole di soia, frumento, mais e altro. Le suddette autorità mondiali sono anche gli stessi soggetti che, oltre a controllare il mercato agricolo, si attivano nella speculazione finanziaria permettendo agli operatori bancari di comprare e vendere le derrate alimentari in funzione del solo valore economico e non delle necessità del reale mercato, in poche parole pura speculazione tanto che l’anno scorso i prezzi della soia hanno sfiorato i 54 €./q.le contro un prezzo più o meno normale di circa 30/35 euro/q.le. Quest’anno, per esempio, la Cina ha fatto incetta di soia con acquisti fino a 7 milioni di tonnellate,  in Usa, il maggior produttore di soia, nonostante la siccità e le migliaia di ettari bruciati e la domanda altissima di soia, il prezzo si sta stabilizzando attorno ai 35 €/q.li: c’è qualcosa che non quadra, vi pare?

Il contadino è quindi spinto, volente o nolente a produrre sempre di più e non per una questione di richiesta del mercato, come dovrebbe essere, ma solo e semplicemente per poter pareggiare i costi sempre più alti nella catena produttiva e guadagnare un piccolo posto al sole. Non si parla ovviamente dei grandi proprietari terrieri come Benetton, i Visentin, i Della valle, la regina d’Inghilterra, o dei Gruppi assicurativi, ma dei piccoli produttori con massimo 10/30 ettari di terra. A questo misero e spesso negativo guadagno, al produttore viene dato l’obolo europeo del contributo agricolo che viene anche versato ai grandi produttori con valori che superano le centinaia di migliaia di euro. Oltre a questa beffa ingannevole il produttore italiano, così come quello francese e spagnolo, si trova concorrente con le produzioni ucraine, romene, cecoslovacche, polacche e russe, i cui i prezzi di produzione e della manodopera sono oltre la metà inferiori a quella italiana e dove il controllo produttivo e infinitamente più basso. Si tenga inoltre presente che l’85% dei contributi europei va al 15% dei proprietari terrieri e si parla di decine di miliardi di euro, mentre al piccolo coltivatore rimangono solo le briciole, inoltre quello che molti non hanno ancora capito è che i contributi europei vengono presi dalle tasche delle tasse degli europei per mantenere questa immensa folla di latifondisti a scapito della qualità, favorendo invece una omologazione indifferenziata della produzione stessa. Basti pensare alle mele che acquistiamo (tutte uguali), ai pomodori (tutti uguali), ai pani a prezzi esosissimi (da 2 a 8 euro al chilo) che vengono prodotti semicongelati nei paesi dell’est senza nessun controllo e importati.

La concorrenza è spietata, senza esclusione di colpi e lì dove un tempo si coltivavano spighe del biondo grano che davano un pane saporito o una pasta dal gusto equilibrato e rotondo adesso abbiamo semi e produzioni livellate senza soluzione di continuità e con qualità organolettiche spesso coperte da regole comunitarie che favoriscono solamente i grandi gruppi produttivi.

Un tempo nelle diverse coltivazioni la semina era effettuata con file abbastanza rade e con una quantità di semi per metro quadro molto bassa. Ora, nel caso del grano, per esempio, si usano anche 400 semi. La differenza era che allora la lotta contro le erbe infestanti veniva attuata dall’uomo con la zappatura che si faceva entrando nel campo e zappando tra le file del grano o del mais fino a togliere tutte quelle erbe che concorrevano con la pianta seminata. La chimica era solo relegata ai fertilizzanti e spesso, per chi aveva anche la stalla, il letame era il principale fertilizzante. Anche adesso il letame è usato per lo stesso motivo, ma non è più il letame di 30/40 anni fa. Le deiezioni animali sono inquinate di antibiotici, ormoni per la crescita e tutta una serie di medicine usate per evitare il danno dell’animale. La flora batterica espulsa dalle bestie è anch’essa inquinata e il processo di umificazione della sostanza organica contenuta nelle deiezioni porta spesso ad alterare il terreno in maniera contraria a quella desiderata.

Come si può constatare non è un trattato di agronomia, ma una semplice descrizione, magari criticabile, di come oggi si conduce l’agricoltura e per quali scopi. L’agricoltore, se un tempo lavorava la terra per la famiglia e per il futuro dei propri figli adesso, invece, opera soprattutto per il surplus, ovvero per quella parte di reddito che è al di fuori delle necessità della famiglia, ma che permettono ai loro componenti di acquistare oggetti di insignificante valore. I terreni coltivati non sono più diversificati in colture diverse, ma unificati in monocolture. Ecco quindi che in primavera vediamo migliaia di ettari coltivati a grano, colza, orzo, sorgo, senza nessuna differenziazione; passando le stagioni e verso l’autunno incontriamo immense distese di granoturco o di barbabietole.

Questa, vi assicuro, non è agricoltura, ma industrializzazione agricola esasperata spinta al fine di speculare sui prezzi delle derrate alimentari. Ma il piccolo, quello di prima, non ha scelta, deve assecondare l’andamento di mercato e scegliere di scendere a patti con il diavolo (il mercato), fatto salvi quei piccoli poderi autosufficienti dove l’intelligenza umana, e la buona pratica agricola, sa equilibrare l’uso della terra alle necessità umane, ma parliamo di piccole entità, di frazioni infinitesimali dell’intero processo produttivo.

Molto spesso mi capita di conoscere persone che spingono sull’acceleratore produttivo incontrando però l’ostacolo della natura. Capita che, nonostante l’accanirsi di pesticidi, diserbanti, fertilizzanti, la terra – snaturata – non risponda come ci si aspetterebbe e le produzioni crollino. Gli agricoltori si inerpicano quindi in disquisizioni assurde senza capire che non serve produrre di più di quello che la terra può dare, ma serve produrre ciò che il mercato richiede e se la terra lo permette. La produzione quindi non è un numero sempre spinto a quello più alto, ma è un valore che si misura sulle necessità umane.

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