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Inquinamento, il mio punto di vista
Il mondo che conosciamo oggi è quasi completamente pervaso da radiazioni di ogni genere, da quelle radio, elettromagnetiche e cosmiche ed è sufficiente vedere le varianti delle onde in cui i nostri corpi sono soggetti per capire che ogni giorno veniamo bombardati da quantità enormi di onde di vario genere. Le varianti tra queste sono per lo più infinite e nessuno è in grado di consigliarci se siano salutari o dannose.
E’ sufficiente dare uno sguardo alle cose che ci circondano, anche in casa. Dal frigorifero, al forno a microonde, alla cucina elettrica, al forno elettrico senza dimenticare gli immancabili televisori (ormai ce ne sono sicuramente più di due in ogni casa. Se poi passiamo alla tecnologia di questi ultimi 10 anni allora le cose si fanno ancor più pesanti. Pensiamo al cellulare, al pc, al modem, ai vari dischi esterni, al WiFi, alle cuffie senza fili, alle vaie ciabatte in cui sono attaccate innumerevoli spine, agli impianti stereo, ai vari altoparlanti interconnessi con gli impianti televisivi o con lo stereo, ai vai mixer audio o per produrre musica.
Insomma da qualsiasi parte ci si sposti in casa si affonda in un mare di onde di vario genere. E quello che mi lascia sconcertato è che non c’è soluzione in senso assoluto, ovvero sarebbe sufficiente rinunciare a tutti questi oggetti e forse potremo in parte pensare di essercene liberati, ma nella realtà non è vero. Gli impianti di riscaldamento al giorno d’oggi funzionano e comunicano le varie temperature con onde radio, il cellulare del vicino riceve le chiamate dalle varie centraline telefoniche e se poi avete qualche banda di ragazzi giovani al piano superiore o inferiore che freneticamente lanciano messaggi al mondo intero avete fatto tombola.
- monitor e apparecchi con schermo video (3 – 30 kHz),
- radio AM (30 kHz – 3 MHz),
- riscaldatori industriali ad induzione (0,3 – 3 MHz),
- termoincollatrici a radiofrequenza, marconiterapia (3-30 MHz),
- radio FM (30 – 300 MHz),
- telefonia mobile, emittenza televisiva, forni a microonde, radarterapia (0,3 – 3 GHz),
- radar, collegamenti satellitari (3 – 30 GHz)
E parliamo solo di un appartamento , perché se dovessimo scendere in strada non ci sarebbe salvezza: cavi elettrici, telefonici, trasmissioni via etere delle informazioni, centraline telefoniche, videosorveglianza con onde radio, e chi più ne ha più ne metta. No, non c’è scampo e nonostante questo non si legge da nessuna parte quale sia il tasso di inquinamento ambientale elettromagnetico ammissibile (già dire che c’è un tasso di inquinamento ammissibile è un controsenso), ma nella società moderna, quella che corre veloce, si paga lo scotto dell’avvelenamento in piccole dosi pur di far contenti i vari mega produttori di inquinamento. Se non erro qualche settimana fa a Report della Gabanelli (L’onda lunga) fu fatto una trasmissione sull’inquinamento ambientale dei cellulari con il risultato che non se ne fece nulla. Silenzio di tomba.
Il mio primo cellulare fu acquistato nel 1999, era un Nokia 7110 pagato una follia. Non che ne avessi bisogno, ma quando serviva fare una chiamata si usavano allora le molte cabine telefoniche. Capitò però che in occasione di un appuntamento a cui ci tenevo particolarmente mi trovai all’uscita dell’autostrada Milano-Venezia in un luogo che non aveva nessuna cabina telefonica, o meglio ce n’erano moltissime, ma tutte senza telefono. La cosa mi parve strana all’inizio, ma capii in seguito che la Telecom stava smantellando tutto l’intero sistema di telefonici pubblici, che per decenni aveva funzionato egregiamente; anche i bar, i luoghi pubblici, se erano liberati delle cabine telefoniche. Tutto lo stato italiano si era ridisegnato la mappa telefonica a vantaggio del telefonino. Forzatamente costretto acquistai il suddetto imprecando come una iena per l’obbligo costoso al quale ci si doveva assoggettare per poter lavorare o semplicemente comunicare.
Apro una piccola parentesi su questo oggetto particolarmente odioso.
Negli anni della telefonia pubblica le attività funzionavano in maniera molto semplice. Chi era in azienda e sapeva che doveva viaggiare per lavoro organizzava la sua attività in modo tale che nulla fosse lasciato al caso. Era un’attività pianificata e non eccedeva in risorse umane e tanto meno in particolare intelligenza. Anche il più sempliciotto dei fattorini era in grado di produrre una pianificazione tale da compiere in una mattinata una ventina di commissioni tra banche, poste, corriere espresso, camera di commercio e quant’altro senza la necessità di telefonare. Lui si organizzava e l’azienda gli forniva il necessario per espletare la sua attività. Così per lui e tanto più gravoso per i commerciali che viaggiavano mattina e sera, così come per i dirigenti.
Nei casi di maggior dubbio e o difficoltà si reperiva un telefono pubblico e con qualche gettone si chiariva la questione, tutto era già stato pianificato precedentemente.
Adesso invece, e il cellulare è un’ottima scusa, si parte lasciando molte attività incomplete e delegando al cellulare la possibilità di concludere quello che non s’è concluso in azienda, ma tralasciando spesso buchi e incompletezze che devono poi essere sanate al ritorno. Si lavora di più, e si lavora male non avendo mai un attimo di respiro e sopratutto un tempo per riflettere, pensare, organizzare e progettare. Il telefonino seppur molto comodo per alcuni versi, ha reso l’uomo nel suo complesso, meno autonomo, più bestia nel senso peggiorativo del termine, incapace di organizzare un piano che abbia una visione di 2 ore. E’ chiaro quindi che in questa visione, che non è solo mia, ma di molti imprenditori, la produttività e l’efficienza teorica che il cellulare ha falsamente portato è molto più bassa di quella di 10/20 anni fa.
Eppure siamo immersi in un mondo di cellulari si parla di oltre 5 miliardi di telefonini in un mondo di 7 miliardi persone. Un vero affare per le grandi multinazionali! Evidentemente una tale cifra mette in ombra il male che questi oggetti possono causare al fisico umano. Però, quando siamo con gli amici e magari vediamo un filmino ci accorgiamo della sua presenza senza che ce ne rendiamo conto: prima dello squillare del cellulare lo schermo si riga, l’audio cambia e dopo qualche secondo il telefono suona, mistero! Ci si ride sopra, ma ci si scava la fossa.
Stando così le cose e vedendo come esse proseguono è facile dedurre che ogni cosa che ci circondi, se deve comunicare con un’altra lo fa con le onde radio che non si vedono, non si sentono, non hanno colore, ma ci sono. Le città sono diventate delle foreste di antenne e nessuno, ormai ci fa più caso. Quello che però appare schizofrenico in questo sistema sociale da baraccone è che ci sono anche le associazioni contro l’inquinamento elettromagnetico e tutti gli appartenenti hanno comunque il cellulare, il computer, le antenne WiFi. In pratica è come andare nella sede degli alcolisti anonimi ed essere accolti con un brindisi di prosecco o di barolo o di grappa. E’ assurdo, non vi pare? Però funziona così. Ci lamentiamo dell’inquinamento, ma tutti, bene o male, inquiniamo. Il fatto è che non sappiamo quanto male facciano questi inquinamenti e meno è visibile e rilevabile più facilmente il nostro contributo all’avvelenamento elettromagnetico aumenta.
In tutto questo c’è chi ci guadagna: dalle compagnie telefoniche, ai rivenditori, ai produttori di cellulari, alle software house, oltre all’indotto che alimenta questa selva di inutilità. Ma è il mercato, qualcuno oppone; è la civiltà che avanza e che progredisce per il benessere collettivo, altri aggiungono; sono le necessità umane che spingono a questo, non si può farne a meno.
Ma siamo sicuri? Oppure è la solita presa per i fondelli? Anche all’epoca dell’eternit e quindi dell’amianto dicevano che non era pericoloso per la salute; anche all’epoca delle grandi imprese del settore chimico dicevano che quei fumi erano vapore acqueo, insignificante, ma poi procuravano tumori e varie patologie. Anche all’epoca della fabbricazione della diossina dicevano che non c’era nessun problema, poi abbiamo avuto Seveso con i disastri ancora evidenti e Bopal. Ma l’imperativo è non intromettersi negli affari del mercato, poiché se qualcuno muore, sta male, si intossica, se nasce qualche storpio fa parte delle regole del gioco.
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