Alluvione: “il triste tributo che paghiamo ai cambiamenti climatici”.
Abbiamo assistito alla potenza della natura e come essa sia capace di agire e cancellare in pochi momenti, quanto la superbia umana erige con tanto orgoglio.
In Liguria come in Toscana alcuni paesi sono stati spazzati dall’imperversare del “mal tempo” e a nulla sono valse le precauzioni dei comuni colpiti. In un batter baleno, quello che prima erano dei ridenti paesi, ora sono un ammasso di macerie e fango e disperazione della popolazione che dopo anni di sacrifici e duro lavoro si è vista cancellare il proprio passato.
In questa situazione imprevedibile, in cui l’uomo soccombe alla forza della natura, i cambiamenti climatici sembrano essere la causa principe degli eventi e nulla può l’uomo per contrapporre la sua forza a quella naturale. Egli è solo un piccolo fruitore, spesso senza rispetto e senza coscienza, animato dal proprio opportunismo e dalla propria convenienza.
Ed ecco che ancora oggi, a distanza di un anno dall’alluvione del Veneto, si ripete l’ennesima scena drammatica: case distrutte, strade impraticabili, campi sconvolti, terreni devastati.
Da uno studio dell’Istituto Superiore per la Protezione e le Risorse Ambientali risulta che il 70% dei comuni è a rischio frane, ciò vuol dire che 5.708 su 8.101 comuni prima o dopo verranno devastati da frane incombenti, fenomeni alluvionali per qualche piccola pioggerellina. I dati non solo allarmanti, ma rappresentano lo stato di disfacimento del territorio, all’interno del quale la dissolutezza dei responsabili pubblici e dell’impresa privata non ha la minima preoccupazione che le attività, le costruzioni, le cementificazioni a lungo andare produrranno sempre più disastri e sempre più vittime. Complici di questo scempio si aggiungono lo spopolamento delle campagne delle colline e dei monti.
I discorsi sono sempre gli stessi: incuria, indifferenza, non visibilità, disinteresse, ignoranza, interessi privati e pubblici che collidono con la stabilità del territorio. Quante volte abbiamo assistito alla distruzione di case costruite sui greti dei fiumi o sulle golene, quante volte abbiamo visto nelle città, ma anche nei paesi, fontane d’acqua sgorganti dalla rete di scarico idrico. Eppure di fronte a questi eccessi e a questo malversare c’è qualcuno che imputa il danno agli eventi climatici ed ai suoi cambiamenti, per altro indimostrabili.
Proprio ieri il nostro amato Presidente della Repubblica delle Banane ha commentato le morti dell’alluvione ligure e toscana “E’ il triste tributo che paghiamo ai cambiamenti climatici…”. Triste tributo????? Io mi chiedo se questo gerontopolitico comunista-massone sia scemo dalla nascita o pensa che tutti siano talmente deficienti da accettare la storiella del cambiamento climatico. Nessuna parola sulle responsabilità pubbliche e locali, nessuna accusa e nessun rimprovero contro quelli che hanno sovvertito la natura e contro quelli che l’hanno devastata con costruzioni inique, con cementificazioni a tutto spiano, con creazioni di quartieri dormitorio inutili, con la desertificazione delle montagne e di vaste aree della pianura, con la mancata pulizia degli alvei dei fiumi e dei canali di scolo.
Una persona con la testa al suo posto avrebbe detto altro, si sarebbe dispiaciuta e avrebbe aggiunto che con il potere in sue mani avrebbe spinto le forze politiche ad intervenire, una volta per tutte, a sistemare questo annoso e gravissimo aspetto della nostra amministrazione territoriale. Invece l’uomo di Londra, l’uomo del sistema bancario, l’uomo che lavora contro gli interessi italiani accusa il cambiamento climatico!
Non ho parole, altrimenti diventerei offensivo.
Ci troviamo quindi ancora, anno dopo anno, a dover fare i conti con la solita minestra dei disastri, dei danni e dei miliardi che serviranno a ripristinare, eppure le soluzioni stanno tutte lì sul tavolo e basterebbe sforzarsi di agire, per il bene dell’intera penisola e non solo per la sua sistemazione idraulico-forestale, ma anche e sopratutto perché queste attività rappresenterebbero una utile valvola di sfogo per un impiego a lungo termine. Sistemare una nazione dal dissesto idrogeologico impegnerebbero attività per oltre 50 anni e le ricadute in termini di efficienze si avrebbero non solo sul risparmio oggettivo, ma sopratutto per quella parte dell’industria che è sempre stata quella più bastonata: il turismo.
Provate a pensare di visitare i giardini di Boboli a Firenze, la Reggia di Napoli, o gli scavi di Ercolano dopo anni di incuria: ci entrereste? Avreste piacere di vederli o provereste una sensazione di repulsione per l’incuria e il disordine?
Le prime osservazioni che si sentono spesso fare a questi ragionamenti sono sempre le stesse: mancano i fondi, non ci sono capitali e nessun privato investirebbe nel sistemare fiumi o torrenti. Vero! Ma uno stato serio ha cura della sua casa così come il massone-comunista di Napolitano ha cura della sua vecchiaia e ai primi acciacchi corre dal medico a farsi curare.
Sono in perfetta consonanza.
Non abbiamo cura del territorio (casa nostra) come delle antichità (casa dei nonni) e lasciamo andare a pezzi Pompei.
Credo sia un aspetto che dipende dall’identificazione che l’Italia ha fatto con i suoi “liberatori”, non abbiamo solo imparato a masticare chewingum e bere cocacola, abbiamo subito introiettato un’idea di gigantismo e gioventù – loro non hanno un passato, loro hanno tanto territorio.
Noi non siamo così, ma da decenni troviamo che il modo americano è in tutto quello da copiare e quel che loro non fanno, non lo facciamo neppure noi.
ps. lo so che sembra un discorso folle, le analogie sono un modo di pensare che non è più molto usato, e poi è un commento, trovo antipatico diffondermi troppo. voglio solo rassicurare che non sto delirando..
In parte hai ragione, credo. Però se andiamo indietro nel tempo ci accorgiamo che le vestigia del passato qui da noi non sono mai state considerate che semplici pietre. Anni fa ero ospite di alcuni amici in Germania a Francoforte, mi sembra Hanau, ma non ricordo bene e lì c’erano alcuni ruderi, veramente delle pietre buttate, ma quello che mi ha sorpreso e favorevolmente impressionato era la loro conservazione, la maniera con cui ogni pezzo era catalogato e descritto in tre lingue (italiano esclusa!!).
Prima di quel viaggio fui in Sicilia ad Agrigento a visitare alcuni scavi della magna Grecia e romani. Mai come allora provai un senso di disgusto e di disprezzo per l’incuria e il disinteresse della gente comune e delle autorità per quel patrimonio inestimabile. Qualche anno fa, invece, fui visitatore in Toscana a Roselle (Grosseto) stessa musica e stesso disastro. Tutto lasciato andare e sopratutto tutto in mano ai soliti tombaroli…uno schifo assoluto. Mi sono incazzato con i guardiani e chiesi loro di protestare con la sovraintendenza delle belle arti di Firenze, da cui dipendono, ma la risposta fu che tanto non avrebbero fatto nulla, perché sono anni che la gente protesta e non accade nulla…
Questa è l’italia.
So di cosa parli, quei due luoghi italiani li avevo visitati anche io anni fa, nessuna differenza dai campi vicino (per inciso la stessa constatazione che ho fatto più di recente a Creta- si vede che chi più ha meno cura…) Può darsi che il ns male nazionale sia stata per molto tempo la scarsa istruzione, che ovviamente produce scarsa coltura. L’ho pensato perchè hai citato la Germania, un paese dove la presenza del protestantesimo forse ha dato una maggiore spinta allo studio personale. La cristianità italiana, forse ovunque, ha delegato molto al clero.
o magari noi italiani siamo proprio gente di cattivo gusto….