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Gheddafi morto, si apre il vaso di Pandora.

21 ottobre 2011 2 commenti

Il cerchio si sta chiudendo, le ultime pedine sono state posizionate e le attività frenetiche dei servizi e dell’intellighenzia delle diverse potenze internazionali stanno rifinendo le ultime modalità per far cadere l’altro dittatore di Assad per poi passare al vero scenario che si aprirà nel mediterraneo.

In questo prospettiva allucinante – decisa e sostenta dai grandi economisti, strateghi e politici di fama internazionale – le forze messe in campo sono pronte a sferrare e a cercare il vero motivo per provocare e spingere la grande Repubblica Islamica dell’Iran nelle mani dei suoi carnefici: Usa ed Israele.

Nel frattempo, mentre le bestia infernale si lecca le fauci dal pasto infernale del sangue di Gheddafi, le nuove teste di ponte anglosassoni e francesi puntano ai capisaldi della ricchezza interna libica fomentando e innescando una battaglia tra poveri e prezzolati al soldo di un barile di petrolio o di qualche lingotto d’oro, poveri illusi.

Tutto l’occidente – quello che ha combattuto una guerra preventiva, una guerra per difendere la popolazione – esulta di fronte all’efferatezza del massacro, del vilipendio che ricorda quanto accadde all’epoca della seconda guerra mondiale con Mussolini. E’ il totem, il simulacro talmudico, l’offesa peggiore che un branco di pecorai zoticoni, incolti, guidati da un ladro, stupratore, saccheggiatore, pedofilo di Mosè compì a suo tempo di solito usa nei riguardi dei goym. E’ la punizione per il ribelle che ha osato imporre un’idea diversa di stato e nazione  che ha cercato di dare un volto nuovo alla Libia.

Ma per fortuna che non tutto il mondo editoriale è soccombente all’idea massacratrice che ormai pervade l’umanità giudaicizzata.

Da La Stampa di Massimo Gramellini

Non c’è mai nulla di glorioso nell’esecuzione di un tiranno. La vendetta resta una pulsione orribile anche quando si gonfia di ragioni. Ci vogliono Sofocle e Shakespeare, non gli scatti sfocati di un telefonino, per sublimarla in catarsi. Gli sputi, i calci e gli oltraggi a una vittima inerme – sia essa Gesù o Gheddafi – degradano chi li compie a un rango subumano.

Dal governo del baciamano ci si sarebbe aspettati qualche parola di pietà nei confronti del vecchio sodale tramutato in un cencio sporco di sangue. Invece è toccato leggere le parole del ministro degli Esteri Frattini, che appena tre anni fa chiamava Gheddafi «un grande alleato dell’Italia» e adesso definisce la sua barbara fine «una grande vittoria del popolo libico». Davvero «grande» anche lui, il signor ministro con delega alla coerenza e alla sensibilità. La Russa non poteva essergli da meno e infatti non lo è stato. Ha detto: «Dobbiamo gioire». Per la nuova Libia, immagino. Ma con che razza di cuore si può abbinare un verbo di festa alle immagini di un corpo trascinato sull’asfalto? Ho vanamente cercato parole simili nelle dichiarazioni dei ministri francesi, tedeschi, americani. Forse i nostri sono solo più ruspanti: parlano prima di pensare, o anche senza pensare, né prima né dopo. Al confronto giganteggia persino il filosofo di Palazzo Chigi ed ex amicone del rais. Il suo «Sic transit gloria mundi» sulla volubilità della condizione umana (Gloria Mundi non è il nome di una ragazza) sembra voler dar voce, se non a un presentimento, a un tormento interiore.

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